“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 11 June 2020 00:00

Sul rifiuto dell’ortodossia yddish: “Unhortodox”

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È davvero sconveniente per una donna di fede ultra-ortodossa chassidica cantare a voce alta, studiare musica o la Torah.
Esty si sente diversa, canta con la nonna paterna e con lei condivide il segreto delle lezioni di piano.
Esty ha magnifici capelli ramati e un corpo minuto, quasi infantile, rigido e teso come il suo bel viso mai rilassato.

Esty ha diciannove anni e vive a New York, la capitale culturale dell’Impero, la New York di Sex and the City, l’America delle suffragette e di Angela Davis.
Esty abita nel quartiere di Williamsburg, a Brooklyn, con la sua gente, che in nome della spiritualità e della purezza segue severissime regole di vita.
Unhortodox è la bella serie in quattro puntate, prodotta da Netflix, che racconta la storia di Esty e, attraverso i suoi occhi, la vita all’interno di una comunità tanto lontana dai nostri canoni.
Lo sguardo della regista è schierato e giudicante. È corretto?
E noi con quali occhi dovremmo guardare le scelte di vita di altri esseri umani? Il politically correct è un lubrificante ipocrita per i nostri pensieri o la giusta maniera? E quanto siamo lontani dai loro rigidi tabù legati al sesso, noi che ne permettiamo lo sfruttamento e ogni pratica violenta?
Le ortodossie si somigliano, se non nei contenuti, nell’imposizione dei dogmi e nella domiciliazione del pensiero tra i ristrettissimi confini dei testi sacri e non.
Maschi o femmine poco importa, entrambi finiscono per piegarsi alle tradizioni e ai valori della comunità d’appartenenza, nuotando, più o meno felici, nel suo liquido amniotico, caldo, deresponsabilizzante, confortante.
Nella comunità Satmar di Esty Shapiro, nessun chassidico frequenta le università o studia scienze, evoluzionismo o dinosauro sono termini estranei al suo lessico, legati come sono ad un pensiero scientifico proibito.
Si parla l’ebraico, gli uomini lavorano, studiano la Torah e cantano in pubblico i loro inni bellissimi. Le donne no.
Le donne sono destinate al matrimonio e a partorire figli, tanti,  per restituire al popolo i sei milioni di fratelli sterminati dai nazisti.
Uomini e donne non si frequentano, tranne che coi parenti, cosicché i giovani non conoscono i turbamenti dell’amore o i piaceri del sesso.
I matrimoni sono combinati dai genitori con l’aiuto delle sensali e Esty, a diciannove anni, è in età da marito, e nonostante tutto spera in un cambiamento felice col matrimonio.
Yanky Shapiro è lo sposo che le viene presentato, giovane, insicuro, sottomesso al volere materno.
Dopo la cerimonia dal rito antico a Esty vengono rasati i capelli, oggetto di desiderio, e da quel momento indosserà una parrucca o un turbante e modesto, spento, sarà il vestire suo e di tutti, attento a non turbare coi colori della vita l’altro sesso.
Il matrimonio la deluderà profondamente, l’inflessibilità dell’educazione ricevuta e l’inesperienza di Yanky renderanno penosa ogni intimità tra i due, finalizzandola al mero, forzoso, concepimento. Senza figli la donna non ha ruolo né potere all’interno della comunità e al pari di una merce guasta può essere resa per il cambio, e capita che lo stesso giorno in cui Esty scopre di essere incinta il marito le comunica di aver chiesto il divorzio.
Prima del matrimonio Esty è cresciuta con la nonna paterna e a lei è legata fortemente. Sa che la madre l’ha abbandonata per inseguire la sua idea di vita e risiede in Germania con la compagna, ma la stessa madre, prima del matrimonio, arriva per consegnarle i documenti attestanti la sua nazionalità tedesca.
La casa, la comunità con le sue pressanti aspettative, si stringono ora come una prigione intorno ad Esty. Non le resta che la fuga solitaria verso la Germania. Atterrerà a Berlino dove, per una serie di circostanze, si rifugerà nel conservatorio della città stringendo amicizia con un gruppo eterogeneo di allievi giunti in cerca di libertà.
Leah, la madre, l’aiuterà a sfuggire ai suoi inseguitori e a presentarsi all’audizione per l’accesso al conservatorio e, insieme ai suoi amici musicisti, l’ascolterà cantare a piena voce un magnifico inno Yddish.
Il canto libera la voce di Esty nel mondo, mostra la sua passione e la determinazione a cercare la propria strada.
Esty avrà un ultimo, commovente, incontro col marito giunto a Berlino, insieme al brutale cugino Moishe, per riportarla a casa, ma, come Esty, Yanky è cambiato, desidera riconquistarla ed è pronto a sfidare la sua comunità. Si mostrerà  fragile, tenero, vittima egli stesso di un sistema disumanizzante che sopprime e omologa ogni diversità ai suoi fini.
Esty rimarrà a Berlino, scoprirà le tenerezze dell’amore, studierà musica e avrà il suo bambino.
Paradossalmente la Germania, luogo e memoria di atroci sofferenze per il suo popolo, si rivela a lei come il posto dell’accoglienza, del colore, della musica e della libertà.
La serie Unorthodox, ispirata all’autobiografia di Deborah Feldman, ortodossa fuoriuscita, è stata ideata da Anna Winger e Alexa Karolinski. Ben diretta da Maria Schrader, non perde ritmo e tensione necessari al personaggio interpretato dalla straordinaria attrice israeliana, Shira Haas, contornata da un buon cast di attori a noi poco noti.
Shira è Esty Shapiro e non se ne può immaginare un’altra.
Col suo volto mutevole, dolente e puro, di venticinquenne che sa dimostrarne diciannove o anche di meno e di più, dà concretamente voce e corpo al personaggio, restituendone ogni sfumatura.
Accurata la ricerca e la rappresentazione di ambienti, costumi, tradizioni e lingua e la definizione di alcuni personaggi. Restano nella memoria la deliziosa e imperturbabile figura dell’esperta consigliera matrimoniale tuttofare, le scene del matrimonio con le danze di soli uomini e sole donne abbigliate alla stessa maniera, tutte con le stesse scarpe, l’inquieto e ambiguo cugino Moishe, e l’arrivo a Berlino di Yanky con il suo cappello di visone nella custodia, lo shtreimel delle feste, qui simbolo del suo ingenuo spaesamento.
Delicata nel mostrare una realtà poco esplorata, la regista fa di Esty “l’eroe solitario”, declinato al femminile, di tanta narrazione letteraria e cinematografica ispirata al Bildungsroman, coraggiosa e decisa nell’affermare se stessa oltre ogni ostacolo e dolore.  





Unhortodox
regia Maria Schrader
soggetto Deborah Feldman
sceneggiatura Anna Winger, Alexa Karolinski, Daniel Hendler
con Shira Haas, Jeff Wilbush, Amit Rahav, Langston Uibel, Tamar Amit-Joseph, Alex Reid, Ronit Asheri, Yousef “Joe” Sweid, Aaron Altaras, Dina Doron, Gera Sandler, Aziz Deyab, David Mandelbaum, Delia Mayer, Feliz Mayr, Eli Rosen, Safinaz Sattar, Isabel Schosnig, Laura Beckner, Harvey Friedman, Lenn Kudrjawizki, Yousef Sweid
fotografia Wolfgang Thaler
montaggio Hansjörg Weißbrich, Gesa Jäger
musiche Antonio Gambale
produzione Real Film Berlin, Studio Airlift
distribuzione Netflix
paese Germania
lingua originale inglese, yddish, tedesco
colore a colori
anno 2020
durata 4 puntate da 53-55 min.

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