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Saturday, 11 May 2013 02:00

L'amante delle nuvole ovvero lo straniero

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“Che senza accorgertene, Teodoro, tu abbia portato non uno straniero [xénon] ma un dio […]? […] Forse […] sei seguito da […] un dio confutatore [elenchtikós]”1.

Queste sono le prime parole che Socrate pronuncia ad apertura del Sofista platonico. In esse è racchiuso già tutto il senso di ciò che lo 'straniero' implica: egli è estraneo, ma anche divino; qualcosa che, in quanto sacro, è separato2 e che, proprio perché santo, è dispensatore di doni e di punizioni.
È proprio questa multiformità ad essere oggetto di analisi in Straniero di Umberto Curi.

 

Una prima visuale

 

Chi è lo straniero? A venirci subito incontro, nel testo di Curi, è un poemetto in prosa tratto da Lo spleen di Parigi di Charles Baudelaire: Lo straniero. Esso ci mostra lo straniero come qualcosa di enigmatico, impossibile da definire attraverso le categorie che solitamente adoperiamo per giudicare noi stessi e ciò che ci sta intorno: lo straniero non conosce padre e madre, non ha amici, è apolide, non ama la bellezza, l’oro; ama ciò che è più lontano da noi e, per questo, incomprensibile: ama le nuvole.

 

Oltre il principio di piacere, verso lo unheimlich

 

Lo straniero non è solo questo: è un essere variopinto e sfaccettato o, quantomeno, doppio. A tal proposito costituiscono un utile sostegno due opere di Sigmund Freud: Il perturbante e Al di là del principio di piacere.
Nel marzo del 1919 il padre della psicoanalisi imprime una svolta alle proprie teorie. In una lettera indirizzata a Loù Andreas-Salomè, egli afferma di aver intrapreso la lettura di Schopenhauer e di essere interessato al grande tema della morte. Parte da qui la stesura di Al di là del principio di piacere, un testo che riconosce come origine dei complessi inconsci non solo il piacere, ma anche il dolore e, in ultima istanza, la morte.
Nel maggio dello stesso anno, tuttavia, Freud abbandona lo sviluppo di questo libro per riprendere un tema già abbozzato sei anni prima inTotem e tabù. Il testo rievocato si concentra su di un concetto ben preciso: lo unheimlich. Come sottolinea lo stesso Freud, le altre lingue europee riescono a far emergere solo un aspetto della più vasta gamma semantica del termine: se è vero che unheimlich rimanda alla sfera dello spaventoso e di ciò che genera angoscia, è pur vero che eccede questa sfera.
Per spiegare il concetto di unheimlich, Freud si serve di un esempio letterario: l’Uomo della sabbia di E.T.A. Hoffmann. Nathaniel, il protagonista di questo racconto, è ossessionato dalla figura di un mostro che cava gli occhi ai bambini che non si addormentano per tempo. Tuttavia egli vuole conoscerne la vera identità. Questa si palesa - quando egli è bambino - sotto le vesti dell’avvocato di famiglia Coppelius. Dopo tale scoperta, Nathaniel dimentica la storia dell’Uomo di sabbia. Ma, durante gli anni universitari, il mostro ricompare sotto le mentite spoglie, per la mente del protagonista, del venditore di lenti Coppola e dello scienziato Spallanzani, per poi ripresentarsi come Coppelius alla morte di Nathaniel.
Ebbene, secondo Freud è questo il perturbante: ciò che si mostra lontano e mostruoso e che – nondimeno – ci attira. Ma non è tutto: perturbante è ciò che è doppio, il sosia ovvero “la ripetizione degli stessi tratti del volto, degli stessi caratteri, degli stessi destini, delle stesse imprese delittuose e perfino degli stessi nomi attraverso più generazioni che si susseguono”4. Il sosia è doppio non solo perché è una riproduzione, ma anche perché ci “perturba”: in certe letterature, il sosia rappresenta ciò che ci è prossimo ma che altresì ci minaccia.
Eppure ciò che ci perturba non è fuori di noi, bensì in noi stessi. A tal proposito Freud cita il caso dell’”uomo dei topi”: quest’uomo era stato ricoverato in un istituto idroterapico ed aveva desiderato la morte di un anziano paziente. Quando l'evento effettivamente si verificò, egli si convinse di aver agito sulla realtà uccidendo il vecchio. Ora, “l’intima duplicità del pensiero, il suo essere un modo di rappresentazione della realtà, ma insieme anche un modo di produzione della realtà stessa, suscita effetti tanto più perturbanti quanto più inattesa e sorprendente è questa scoperta”5. Ecco finalmente, in tutta la sua estensione, lo unheimlich.
Freud rivoluziona inoltre la teoria psicoanalitica sostenendo che, in qualche modo, il principio del piacere è, al pari dello unheimlich, doppio, ma non nel senso di una visione dualistica: non c'è da una parte una tensione al piacere e dall'altra una, speculare, alla morte; piuttosto il principio di morte è già da sempre all'interno del principio del piacere. Quindi ad essere perturbante è lo stesso principio primo della psiche umana.

 

Una lingua morta per un principio vivo

 

“Vi è un’unica lingua nella quale è possibile incontrare un termine che corrisponde esattamente alla polisemia di unheimlich. Questa lingua è il greco classico. E il termine è xenos6.
In un percorso che coinvolge testi di Omero, Eschilo, Euripide, Erodoto e Platone (ma anche di un autore latino come Ovidio), è questa l’idea che Curi vuole trasmetterci.
Lo straniero, infatti, per il mondo greco arcaico e classico, è sacro, al punto che i greci sono convinti che talvolta gli stessi déi si travestano da stranieri per punire chi non rispetta le norme di ospitalità7; ma xenos non è solo l’ospite (nella duplicità semantica che questo termine acquisisce anche in italiano), xenos è altresì l’intruso, colui che – pur greco – muove guerra contro la città-stato a lui straniera.
La parola pharmakon può essere d’aiuto per rendere più chiaro il senso di xenos: lo straniero, infatti, può essere benefico oppure tossico ed è per questo che non è possibile sapere in anticipo se ciò che egli ci porta sia un dono (doron) oppure un dolore (dolos).

 

Tra bello e brutto, uno e due, essere e non essere

 

Solo due divinità sono multiformi come la parola che stiamo ricercando. La prima è Dioniso, “dio doppio per antonomasia, nato due volte e morto a seguito dello sparagmos, vale a dire della scissione, della divisione intervenuta nell’unità del suo corpo”8, quel dio che prepotentemente riuscì ad aprire una breccia nell’arte greca perché “in origine soltanto Apollo è il dio ellenico dell’arte, e fu la sua potenza ad ammansire Dioniso che veniva all’assalto dall’Asia, al punto che fra essi poté sorgere la più bella lega fraterna”9. Dioniso, come si vede, è portatore di tutti i tratti dello straniero.
L’altra divinità, quella su cui si fissa maggiormente l’analisi di Curi, è Eros. La figura di questo dio è delineata dai personaggi del Simposio platonico. Ad essere interessanti sono due discorsi. Il primo è quello di Aristofane, che narra il mito dell’originaria natura umana, nel quale l’uomo viene descritto come symbolon, termine che indica la metà di un oggetto utilizzato come segno di riconoscimento tra due persone e la cui autenticità era dimostrata dal perfetto incastro con l’altra parte. L’uomo, in quanto symbolon, non vorrebbe altro che ricongiungersi alla sua propria metà.
L’altro discorso è quello di Socrate. Il filosofo di Atene esordisce dichiarando che di Eros dirà solo la verità e che quindi si affiderà alla voce di una xene: Diotima, sacerdotessa di Mantinea. Ella descrive Eros come qualcosa che partecipa sia della ricchezza che della povertà, sia della ignoranza che della sapienza. Ma soprattutto Eros partecipa sia della bruttezza che della bellezza, ed è per questo che ricerca incessantemente il bello. “Eros è ti metaxy, non come un generico “intermedio”, ma nel senso specifico di qualcosa che partecipa dell’uno e dell’altro termine costituente la polarità in questione”10.
C’è però di più: come detto in precedenza, lo straniero è dispensatore di doni. In questo caso la straniera di Mantinea ne offre due: uno palese, ossia la descrizione verace di Eros; l’altro poco evidente e rischiarato da questa dichiarazione di Socrate: “E lei mi confutò [elenche] con quegli stessi argomenti con cui io ho confutato lui [Agatone], ossia dicendo che […] Eros non risulta essere né bello né buono”11. Si può ipotizzare da ciò che la sacerdotessa doni a Socrate anche il cosiddetto “metodo elenctico”, ossia confutatorio.
Anche lo straniero di Elea del Sofista dona qualcosa al filosofo ateniese. In primo luogo è solo grazie al suo aiuto che si riesce a giungere ad una definizione del sofista. Ma questa è solo una piccola parte di tutto ciò di cui è debitore Socrate. Molto più importante è l’atteggiamento che lo straniero ha nei confronti di Parmenide: “Sarà necessario mettere alla prova, torturandolo, il discorso del padre Parmenide e a costringerlo con la forza ad ammettere che ciò che non è, sotto qualche rispetto è, e ancora, che ciò che è, a sua volta, in qualche modo non è”12, egli dice. È un grande dono questo, ma implica – come tutti i doni degli stranieri – anche un enorme dolos, tra l’altro non sottolineato da Curi: infatti, se si ammette la duplicità nell’essere e nel non essere, questa coinvolgerà anche il piano delle idee, le quali non potranno più ammettere l’autopredicazione di se stesse: non si potrà, ad esempio, dire ancora che “l’idea di bellezza è la bellezza in sé” e ciò, come già era stato nel Parmenide (in cui è ancora uno straniero a parlare), mette in discussione tutto l’impianto ontologico del giovane Socrate (ossia del giovane Platone).
Infine siamo costretti ad ammettere che “i generi si mescolano fra loro e che l’essere e il diverso filtrano attraverso tutti e reciprocamente; che il diverso, in quanto partecipa dell’essere, proprio in virtù di questa partecipazione è, ma non è però ciò di cui partecipa, in quanto ne è appunto diverso, ed essendo diverso dall’essere, è necessariamente e nel modo più chiaro non essere; mentre l’essere, dal canto suo, partecipando del diverso, sarà diverso dagli altri generi ed essendo da tutti quelli diverso, non sarà ciascuno di essi né tutti gli altri insieme, ma sarà solo se stesso, sicché è fuor di dubbio che l’essere, moltissime volte e in moltissimi casi, non è, come pure appunto gli altri generi, uno per uno e tutti quanti insieme, da molti punti di vista sono, da molti non sono”13; si tratta della cosiddetta “dialettizzazione delle Idee”14.

 

Noi stranieri. Daru, Mersault e Socrate

 

Non ci resta che accogliere un ultimo dono da Curi. Chiediamoci, per l’ultima volta, se sia proprio vero che lo straniero è solo fuori di noi.
Analizzando alcuni testi di Albert Camus, è possibile scoprire come a questa domanda venga opposto un secco rifiuto. Curi analizza un racconto de L’esilio e il regno intitolato L’ospite. Il protagonista è Daru, un maestro che vive in Algeria. Un giorno il gendarme còrso Balducci porta con sé in quella casupola un prigioniero algerino e ordina a Daru di trasportarlo l’indomani alla stazione di polizia. Il maestro accoglie il prigioniero come un greco classico, ossia lo ristora e gli offre un letto in cui dormire. Il giorno dopo, tuttavia, anziché condurlo a Tinguit dalla polizia, lascia il prigioniero ad un bivio e gli intima di scegliere se consegnarsi alla polizia oppure fuggire verso la libertà. Tornato alla scuola, Daru vede il prigioniero che si avvia verso Tinguit e scopre che, per quanto abbia trattato quest’ultimo nel modo migliore, è lo straniero che ha concesso a lui un dono doloroso: “Daru guardava il cielo, l’altipiano e, più lontano, le terre invisibili che si prolungavano fino al mare. In quel vasto paese, che aveva tanto amato, era solo”15. L’esilio, l’essere soli, è il dono dello straniero.
L’altro testo di Camus preso in esame è proprio Lo straniero. Ciò che colpisce nella figura di Mersault, secondo le parole dello stesso autore, è la sua estraneità racchiusa nel fatto che il protagonista non sta al gioco. Egli è condannato poiché non accetta la falsità del mondo in cui vive; è, in questo senso, un martire della verità e la sua mancanza di emozioni non è altro che la maschera che nasconde la sua vera essenza. Quanto è vicino questo straniero all’altro martire della verità, colui il quale “assomiglia moltissimo a quei Sileni, messi in mostra nelle botteghe degli scultori […] che, quando vengono aperti in due, rivelano di contenere dentro immagini di dèi”16, ossia Socrate.

 

 

 

 

Conclusione

 

Durante questo excursus molto è stato tralasciato e molto altro non è stato chiarito in modo definitivo. Ad esempio non abbiamo preso in considerazione tutte le implicazioni con la realtà contemporanea, pure presenti nel testo di Curi.
Ma a contare è che, alla fine, siamo riusciti a prendere al laccio lo straniero, quella razza di essere tra le più indomabili, multiformi e cangianti, la più "ampia, starei per dire la più variopinta"[17] che esista. Ma possiamo esserne certi?

 

 



1) Platone, Sofista (216 a-b), tr. it. B. Centrone, Torino 2008, pp. da 3 a 5.

2) La parola 'sacro', stando all'etimologia, deriva dal latino dotto sac-ru(m) che, a sua volta, viene dalla radice indoeuropea sac- oppure sak- e che ha significato proprio di diviso, separato ovvero di recinto. Cfr. quanto dice Omar Calabrese:  http://www.archiviosemiotica.eu/IT/_EncycloPubByThema.asp?id=a7bf97fed-8624-486b-ab68-1f2a041f7f90&motCle=&nom=&src=1356_4175_formel_it&theme=ae2824a22-17ce-4892-8f5e-e600425f3e6e&video=Etimologia+del+sacro.

3)  Il poema si intitola Lo Straniero.

4) S. Freud, Il perturbante, in ID., Opere (Vol. 9), tr. it. C. Musatti, Torino 1977, p. 95.

5) U. Curi, Straniero, Milano 2010, p. 47.

6) Ivi, p. 55.

7) Casi emblematici di violazione delle norme dell’ospitalità sono descritti nell’Odissea di Omero. A torto Curi sostiene che questa violazione sia da ascrivere al solo Polifemo, perché, come dice Andrea Capra, "Circe, Calipso, Lotofagi e Sirene cercano di trattenere Odisseo attraverso forme varie di seduzione: ecco dunque la categoria delle tentazioni seduttive. Ciclopi, Lestrigoni, Scilla e Cariddi attaccano fisicamente e cercano di mangiare Odisseo, e formano dunque la categoria delle aggressioni antropofagiche", venendo meno al precetto espresso da Menelao di far mangiare lo straniero ma di lasciarlo andare appena ne esprima il desiderio (Cfr. A. Capra, Il canto e le Muse, in AA. VV., Alla fonte delle Muse. Introduzione alla civiltà greca, Torino 2007, p. 288).

8) Ivi, p. 75.

9) F. W. Nietzsche, La visione dionisiaca del mondo, in ID., La filosofia nell’epoca tragica dei greci. E scritti 1870 – 1873, tr. it. G. Colli, Milano 2003, p. 52.

10) U. Curi, Straniero, cit., p. 91.

11) Platone, Simposio (201 e), tr. it. G. Reale, Milano 2006, p.175.

12) ID., Sofista (241 d), cit., p. 119.

13) ID., Sofista (234 b), tr. it. F. Fronterotta, Milano 2008, p. 457.

14) A causa della complessità di questa lettura dei “dialoghi dialettici”, posso solo rimandare ad alcuni testi: G. Casertano, Il nome della cosa. Linguaggio e realtà negli ultimi dialoghi di Platone, Napoli 1996; M. Bianchetti e E. S. Storace (a cura di), Platone e l’ontologia. Il Parmenide e il Sofista, Milano 2004.

15) A. Camus, La caduta . L’esilio e il regno, tr. it. S. Morando, Milano 1966.

16) Platone, Simposio (215 a-b), cit., p. 223.

17) ID., Sofista (234 b), cit., p. 83.

 

 

 

 

 

Umberto Curi
Straniero
Raffaello Cortina, Milano, 2010
pp. 174

 

AA. VV.
Alla fonte delle muse. Introduzione alla civiltà greca
Bollati Boringhieri, Torino, 2007
pp. 396

 

Albert Camus
La caduta. L’esilio e il regno
traduzione italiana a cura di Sergio Morando
Garzanti, Milano, 1966
pp. 220

 

Sigmund Freud
Opere (Vol. 9.) L’Io e l’Es. E altri scritti (1917 – 1923)
traduzione italiana a cura di Cesare Musatti
Bollati Boringhieri, Torino, 1977
pp. 655

 

Friederich Wilhelm Nietzsche
La filosofia nell’epoca tragica dei greci. E scritti (1870 – 1873)
traduzione italiana a cura di Giorgio Colli
Adelphi, Milano, 2003
pp. XIX - 294

 

Platone
Simposio
traduzione italiana a cura di Giovanni Reale
Bompiani, Milano, 2006
pp. 288

 

Platone
Sofista
traduzione italiana a cura di Bruno Centrone
Einaudi, Torino, 2008
pp. LXXI – 264

 

Platone
Sofista
traduzione italiana a cura di Francesco Fronterotta
Rizzoli, Milano, 2008
pp. 520

 

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