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Friday, 13 December 2019 00:00

Gli inverni di Cartesio

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Il poeta che in Europa si è più avvicinato al pensiero scientifico, esplorando le conquiste della neurobiologia, del cognitivismo, della psicanalisi, della fisiologia, è senz’altro il tedesco Durs Grünbein, nato a Dresda nel 1962, e oggi residente a Berlino.

Il suo approccio positivista (anzi, decisamente materialista) alla scrittura, non gli ha impedito di produrre versi di profonda risonanza emotiva, sia nella ricostruzione della propria storia familiare e sentimentale, sia nelle coraggiose prese di posizione politiche, animate da una vivace vena sarcastica e da un generoso, sebbene risentito, slancio utopistico.
L’ultimo volume pubblicato da Einaudi, I bar di Atlantide, raccoglie quindici saggi, alcuni autobiografici, indaganti gli anni «grigio cenere» dell’adolescenza nella Germania orientale, altri in cui offre ai lettori una lucida decifrazione del senso e della funzione della scrittura poetica.
“Scrivere poesie è anzitutto un esercizio di radicale autoesplorazione”: da questo assiduo e severo scandaglio interiore, ogni poeta, “eremita in mezzo alla società”, impara “a essere solo, non conforme, senza obblighi verso nessuno, ‒ verso nessun potere esterno, verso nessun principio superiore (religioso o filosofico), neppure verso una corrente letteraria predominante”. Purché la poesia non si riveli puramente ornamentale o cerimoniosa, ma sappia mostrare “i propri muscoli, il proprio ghigno irriverente, la dolcezza che si prova nel distruggere le forme”, allertandosi nell’osservazione dell’attimo rivelatore, dei dettagli sparsi nelle “piccole cose tragiche come pure nelle grandi cose comiche della vita”, siano esse cataclismi naturali, teorie cosmiche, la passione per lo sport subacqueo o il darwinismo.
Grünbein riesce a mettere in collegamento qualsiasi acquisizione culturale (sua personale o dell’umanità intera) con il prodigio dell’invenzione poetica. Il processo mentale che conduce alla composizione di una lirica viene smontato nei suoi labirintici e arcani percorsi, dalla genesi alle scelte formali fino al risultato conclusivo. Particolarmente in un saggio, Il mio cervello bionico, vengono utilizzati gli estremi risultati della neurobiologia e della fisiologia per approfondire i meccanismi che determinano le opzioni stilistiche di chi scrive in versi. “Il poetare comincia come stratificazione di stadi della coscienza dapprima del tutto senza senso che il singolo deve attraversare a fatica o a passo di danza, senza curarsi di causalità e cronologie”. In modo frammentario, a scatti, “in balia dei suoi attacchi improvvisi”, recuperando memorie, immagini, esperienze, passioni amorose o ideologiche, il poeta trasforma gli stimoli più vari e confusi in visione, sincronizzando “in un atto di immaginazione fulminea” la sua percezione personale con il pensiero di tutti, al fine di organizzare “nello spazio più esiguo il massimo dei riferimenti”.
Nel precedente volume, Strofe per dopodomani e altre poesie (Einaudi, 2011) aveva osato tentare in versi una definizione estetica della poesia: “Filosofia in metrica, musica / d'allegri salti / da parola a cosa. // La miglior guida, al momento dell'esodo da questa / notte umana”. Perché il poeta è, e deve continuare a essere, anche filosofo, in grado di conciliare cielo e terra, l’ideale con il concreto, realizzando “una mescolanza di amore per l’aldiqua e di curiosità per la metafisica”.
Poeta-fenomenologo che lavora per arricchire l’immaginario degli esseri umani.
Di questo originale e difficile percorso intellettuale, sospeso tra ricerca, meditazione, denuncia, sogno, elaborazione formale, è testimonianza il primo libro pubblicato sempre da Einaudi nel 2005, a cura di Anna Maria Carpi: Della neve, ovvero Cartesio in Germania.
In quarantadue canti e duemila versi, Durs Grünbein narra la nascita del razionalismo attraverso la figura di Cartesio, primo interprete filosofico della modernità. La scelta del matematico, astronomo e filosofo francese fu determinata senz’altro dal ruolo fondamentale da lui giocato nella storia del pensiero occidentale, ma probabilmente ebbe anche un rilievo la memoria del poemetto pubblicato da Samuel Beckett nel 1930, Whoroscope, in cui il drammaturgo irlandese tratteggiava un Cartesio superstizioso ed esoterico alle prese con dilemmi metafisici e culinari, mentre affida al suo servo Gillot la cottura di un uovo, esibendosi poi in un’esposizione erudita sul concetto di tempo, tra citazioni colte e provocazioni blasfeme e scurrili.
Gillot è anche il co-protagonista del libro di Grünbein: giovane servo e allievo di René Descartes, sua controparte ingenua e impulsiva, destinato a rappresentare il sano buon senso popolare e la fisica concretezza rispetto all’astrazione concettuale del maestro-padrone.
Il primo canto si apre appunto con Gillot che sollecita con insistenza Cartesio ad alzarsi dal letto, per approfittare della gelida giornata nevosa, particolarmente adatta a un produttivo lavoro di riflessione e scrittura: “Destatevi, Monsieur. Tutta notte che nevica. / Fin dove arriva l’occhio è bianca la pianura, / è tutta un cono bianco. Sono gli alberi / che il grande arrangiatore con invernale mano ha ingentilito. // … Forse la neve aiuta – a capire cos’è la percezione. // … Placato ogni pensiero, un invito a studiare”.
È l’inverno del 1619. Il giovane René passa alcuni mesi in una cittadina della Baviera, sommersa dalla neve e insanguinata dalla Guerra dei Trent’anni: massacri, saccheggi, incendi, stupri, ruberie. “Guerra e furia di lupi ‒ / L’artiglio del demonio attraversa l’Europa”. Costretto all’inazione, si mette a riflettere su alcuni problemi di algebra e di geometria, prendendo in considerazione tutto ciò che vede e sente, senza mai prescindere dai suoi fondamentali processi cerebrali.
Il cogito cartesiano ha infatti la prevalenza su qualsiasi altro argomento: “Io mai fantastico. // …Io sono un realista. //… Non mi serve l’esterno. Ho da guardarmi dentro. // … Io sono solo spirito. // … Io sono – sì. Ma cosa? / Tengo in pugno soltanto – ciò che ho pensato io, io convenuto. // … A me va contre coeur ogni fuga dal mondo”.
Il mondo e la mente, essere e pensare.
Senza mai prescindere dalla fisicità del corpo, steso nel bianco del letto, mentre fuori è tutto candido di neve, gelo e silenzio. Un corpo che ha necessità materiali e sessuali, che mangia e piscia, si ammala e delira, rimanendo tuttavia un inciampo nell’attività preminente dell’elucubrazione mentale (“Banale è questo corpo. / Il cervello è al coperto – però i bisogni chiamano”).
La regola che dà ordine al caos si afferma sovrana (“In tutto regna numero e rapporto. Felicità: di essere impregnati / di coerenza”), e manifesta la sua gratitudine a chi ha indicato al mondo la strada della ragione: Euclide, Archimede, Copernico, Keplero, Galileo – il più grande, che per motivi di sicurezza va nominato con lo pseudonimo di Stephanus, onde evitare censure ecclesiastiche.
Gli aneddoti della tediosa esistenza condotta in Germania da Cartesio rivelano in lui sfumature di carattere oscillanti tra empatia e insensibilità: se Gillot piange per amore, lo scienziato disserta sulla composizione chimica delle lacrime; se il servo si confessa impietosito dalla sofferenza degli animali, subito il padrone sottolinea la loro natura sub-umana; se musica, luce e pittura appaiono miracoli ai sensi, ecco che vanno ridimensionati alla loro struttura materiale. L’osservazione della luna è ridotta ad abbagli ottici, una noce sgusciata viene paragonata alla dissezione del cervello, il rogo di Giordano Bruno contraddice ogni spiritualità cristiana. Spietato, il razionalista francese non concede a sé e agli altri la minima indulgenza verso credenze consolatorie.
Durs Grünbein, sulla base di fonti storiche, dei diari e degli appunti di René Descartes, ne ha ricostruito la biografia a partire dai mesi trascorsi a Neuburg fino agli anni vissuti alla corte svedese della regina Cristina, dove morì di polmonite nel 1649, circondato dal seguito protocollare di striscianti e ottusi leccapiedi (intense e commoventi le pagine finali sull’agonia: “E il mondo intorno è neve”). 
Da una neve all’altra, da un ghiaccio all’altro.
Anna Maria Carpi nella postfazione giustamente suggerisce che l’inverno rappresenta qui una metafora della condizione moderna, inaugurata proprio con la separazione cartesiana fra res cogitans e res extensa: “Muovendo dalla ‘tabula rasa’ dell’inverno, sentieri sublimi della conoscenza razionale portano al progressivo raffreddarsi dei rapporti dell’uomo con se stesso e coi suoi simili”.
Nella sua versione, la curatrice rende il verso alessandrino del poeta tedesco, elasticamente classicheggiante, con diverse aggregazioni di settenari, quinari ed endecasillabi, al fine di mantenerne il ritmo incalzante. Compito non facile, tradurre Grünbein, perché in lui all’indubbia maestria formale, si aggiunge una rara competenza scientifica, e un abbagliante enciclopedismo, alleggerito dall’arguzia e dall’ironia.





Durs Grünbein
Della neve ovvero Cartesio in Germania

a cura di Anna Maria Carpi
testo tedesco a fronte
Einaudi, Torino, 2005
pp. 280



Bibliografia:
A metà partita: poesie 1988 - 1999, Einaudi, Torino, 1999
Il primo anno. Appunti berlinesi, Einaudi, Torino, 2004
Strofe per dopodomani e altre poesie, Einaudi, Torino, 2011
I bar di Atlantide e altri saggi, Einaudi, Torino, 2018

Samuel Beckett, Poesie scelte, Einaudi, Torino, 1999

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