“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 25 April 2013 02:00

Erranti storie di imperituri respiri

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Erranti storie di imperituri respiri a cura di Marco Moscato

Pièce d’esordio per il Golem Teatro che, per la rassegna Dis…continua… , debutta con Janara.
Mistero, ricerca, tradizione, leggenda, pregiudizio, in una storia in(de)finita. Una storia senza tempo, che nel tempo stesso va cercando antichi respiri, vagiti di una verità che esiste dall’era della vita. Vita, ergo bene/male. L’uno esiste, se ugualmente accade per il suo esatto contrario. Imprescindibile catena ontologica: quale umanità, senza? Un’umanità che conosce il male, esige dialetticamente di (ri)conoscere il bene. Ugualmente, appunto, al contrario.

In questa sottile, (at)tentatrice, performante esigenza, si svolge il destino degli uomini. Innocenza e colpa, paura e desiderio, potenza ed atto, nascosti sotto la luce della vita. Una storia senza trama, perché il male non ne ha.
Janara ha il corpo donna, così come da tradizione: nere le vesti, altrettanto le sue carni; spalancati gli occhi, ora per sedurre, ora per catturare il bene di cui ha sete e fame. Sa che di lei dicono, da sempre. E s’infuria, dimenandosi, soffrendo, e parlando lingue diverse: una sola voce in molteplici pensieri, energie, identità. Janara è nel dolore di una fanciulla che, per amore, ha ceduto troppo presto alle lusinghe di uno sconosciuto piacere: quanta fretta nel giudizio delle comari, nei calcoli da luna piena, nella scelta tra il riparo di un matrimonio o di una vecchia ruffiana con i ferri di sempre già caldi. Per una vita, al riparo dalla vita. Con la morte. Evidentemente il male.
Le storie si confondono, e Janara entra nel corpo di bianco vestito della fanciulla: bianca è la pelle, come l’abito da sposa che l’infelice si trascina avvolgendo l’ancor fragile grembo gravido.
Alla sofferta insidia di Janara corrisponde il dolore dell’altra. Degli altri colpiti da un’inspiegabile incapacità di autocontrollo: sotto i colpi del male subito, se ne rendono anche artefici, procurandone. Come il male di un uomo che, nell’incivile desiderio di sentirsi tale, esige che una giovane donna si sottometta al suo piacere, quello che le impone di dargli.
Altri come donne, uomini, bambini. Janara è anche qui, nell’innocenza di una bambina che dice di sì al mammone, e che sa raccontarlo solo alla luce dei giochi in cortile, per non dovervi dare l’importanza che silenziosamente teme.
Stoffe sparse che dicono di vite e di racconti. Tra una sedia ed un giaciglio di stracci insanguinati, intrecciando l’ispida stoppa, Janara si dimena, incapace di trovar requie. All’ombra di una luce d’arancio, del colore del fuoco; come di una quiete che attende la tempesta.
Su di un telo si alternano sagome, come a dire che anche altri ci sono. Si narra, anche così, in scena. Si narrano erranti storie sopravvissute all’oblìo del tempo. A memoria delle umane radici. Perché quest’umanità in fondo, in quanto fenomeno di vita, si appartiene tutta.
Nel bene. Nel male.
Al di là la fede che, diversamente, si esista ancora.

 

 

 

 

Janara
drammaturgia e regia
Giovanni Del Prete
con Francesca Iovine, Silvia Del Zingaro
musiche Vincenzo Oliva
audio e luci Giovanni Granatina
Aversa, Golem Teatro, 21 aprile 2013
in scena il 21 aprile 2013 (data unica)

 

 

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