“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 03 January 2019 00:00

Due ombre della letteratura uruguaiana fin de siècle

Written by 

La collana “Gli eccentrici” di Arcoiris pubblica in rapida successione due opere uruguaiane tra il XIX e il XX secolo: il numero 33 è La battaglia della tapera di Eduardo Acevedo Díaz; il 34 è Acque dell’Acheronte di Julio Herrera y Reissig, entrambi tradotti da Loris Tassi e finanziati dal Ministero dell’Educazione e della Cultura dell’Uruguay.

I racconti di Acevedo Díaz sono tratti dalla recente edizione dei Cuentos Completos pubblicata a cura di Pablo Rocca. Tutte le date di prima pubblicazione sono riportate in nota all’interno del racconto – conosciamo la puntualità e la precisione del direttore della collana Loris Tassi – e vanno dal 1870 al 1911. Si tratta quindi di ripercorrere le ossessioni letterarie di un autore, la sua relazione primaria con l’ambientazione selvatica e conflittuale del primo secolo d’indipendenza dell’Uruguay (conquistata, tra varie vicissitudini, tra il 1817 e il 1828), in particolare nel periodo di assoggettamento alla provincia del Brasile e alle successive ribellioni. Sono racconti che, da una parte, riprendono il grande scontro tra civiltà e barbarie caratteristico del romanticismo latinoamericano e in particolare rioplatense (di autori fondamentali come Domingo Faustino Sarmiento ed Esteban Echeverría, entrambi argentini); dall’altro riattivano l’elemento simbolico del gaucho, la sua lotta coraggiosa, solitaria e malinconica perché destinata alla sconfitta. Il tutto, però, rivitalizzato dalla costante tinta gotica e fosca, dal perturbante di una narrazione in bilico tra l’epica e l’incubo.
I tre racconti che integrano il volume di Julio Herrera y Reissig, invece, fanno della necrofilia modernista, del legame tra Eros e Thanatos, il tema centrale. Anche qui, si tratta della selezione dei tre racconti presenti in Poesía completa y prosas, pubblicato nel 1998 e a cui va il merito di aver comunque valorizzato – ma forse è il compito storico di questa contemporaneità – la produzione in prosa di un autore a lungo conosciuto quasi esclusivamente per la lirica. I racconti, scritti nel primo decennio del Novecento, riportano fedelmente una serie di pratiche moderniste connesse alla thanatophilia: la conoscenza di erbe e fiori, la dipendenza dalle droghe (ma non solo, in generale il rapporto con il pharmakon), l’evocazione di miti presenti in testi sacri, il misticismo e lo spiritismo, i luoghi della follia e i giardini (che spesso coincidono). Si tratta di un’onda lunga della letteratura tardo romantica e modernista, i cui maestri sono stati Rubén Darío, Leopoldo Lugones e Horacio Quiroga, mostri sacri della letteratura in lingua spagnola tra il XIX e il XX secolo (in più ci sarebbe uno squisito eccentrico, Eduardo L. Holmberg, di cui Arcoiris ha recuperato Le ossa e La casa indemoniata).
Tuttavia, volendo dare un quadro d’insieme delle due opere, di certo presentano un Uruguay lontano, sconosciuto, selvaggio (nel caso di Acevedo Díaz) e raffinato (nel caso di Herrera y Reissig), e per entrambi sublime. Se consideriamo il desiderio di sapere dei narratori di Acque dell’Acheronte e il male o il delirio a cui vanno incontro – in particolare il primo, in cui il desiderio è la perdizione –, scopriamo un Paese lugubre, in cui la geografia degli spazi, il sistema di riferimenti culturali e letterari sono collegati al concetto della morte. Da questo punto di vista, anche i racconti di Acevedo Díaz rispondono alla stessa organizzazione del sapere, sebbene derivino da una tradizione letteraria diversa, in parte autoctona (la gauchesca), in parte nord e latino americana (la narrazione della frontiera, dello scontro ideologico o della lotta per l’egemonia). I racconti La Cueva del Tigre e La battaglia della tapera sono emblematici in questo senso. Nel primo, i valorosi Charrúa vengono ingannati da Fructuoso Rivera che, dopo averli invitati a partecipare alla guerra col Brasile e a spartire il bottino, attira in una trappola il cacicco Charrúa e cerca di sterminare tutti i trecento guerrieri. All’inizio la narrazione riprende la teratologia americana nella descrizione dell’alterità indigena – “l’armata, come una tigre assetata di sangue, sceglieva la prede migliori” (p. 15). La metafora della tigre, già presente in Sarmiento, introduce immagini ormai saldamente romantiche come quella del vampiro: l’indigeno assetato di sangue (anche in La prigioniera di Esteban Echeverría è visto in questo modo) è dotato di un appetito pantagruelico e tremendo. Mentre scorre la narrazione, alle doti guerresche si affianca la magia: le curanderas, e feticci del male, alcuni spiriti maligni chiamati Gualiches. Si introducono quindi, elementi magici e/o demoniaci che rinviano le fantasie patrie di Acevedo Díaz allo stesso repertorio finisecolare di Herrera y Reissig. Spiriti, fantasmi e irrazionale minacciano (o mettono in discussione) la boria moderna. Le ombre e i fantasmi orditi dai due autori scalfiscono i paradigmi della modernità. Il progresso scientifico, i ritmi di produzione e l’unità della nazione si convertono in mostri o allucinazioni. Sono narrazioni sovversive di un periodo letterario in cui l’irriverenza e l’eccentricità erano due capisaldi fondamentali; sono due raccolte di racconti da scoprire, da leggere in un fiato e di cui, per certi aspetti, fare tesoro.




Eduardo Acevedo Díaz
La battaglia della tapera
Traduzione Loris Tassi
Arcoiris. Salerno, 2017
pp. 68


Julio Herrera y Reissig
Acque dell'Acheronte
Traduzione Loris Tassi
Arcoiris, Salerno, 2017
pp. 52

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook