Print this page
Saturday, 01 December 2012 17:12

Il drappo rosso della Madre

Written by 

L’Elicantropo ci accoglie in una luce polverosa. Gli attori sono già sulla scena, ombre livide, mentre prendiamo posto sui seggiolini o (i meno fortunati) sui cuscini rossi del gremito teatro.
Lo spettacolo inizia. Le figure si muovono ritmicamente come i personaggi meccanici di un presepe. Le figure sono livide, non si distingue cosa fanno, ma si percepiscono distinti i suoni del lavoro, metallici, ritmici, con una loro musica.
La Madre, Pelagia Vlassova, domina la scena, icona livida anch’essa.

Il dramma didascalico si dipana come previsto, la “storia di un apprendistato”, il cammino di risveglio della coscienza di classe nella madre dell’operaio. La Madre è simbolo, icona, smaterializzata, alienata in quanto persona e anche in quanto madre, pura parola e gesto, strumento del partito, fino alla fine, finché avrà la forza di portare la bandiera.
L’opera è stata scritta tra il 1930 e il 1931 e rappresentata la prima volta il 14 gennaio 1932, anniversario dell’assassinio di Rosa Luxemburg. Un tempo lontano e non solo perché sono trascorsi ottant'anni. Non è cambiato troppo il mondo da allora, se pensiamo in termini di rapporti economici e proprietà dei mezzi di produzione, ma è cambiato molto. I soggetti sociali sono cambiati. Esiste ancora Pelagia Vlassova, moglie di un operaio e madre di un operaio?
Il dramma è tristemente anacronistico e noi postumi possiamo sorridere nel vedere smentite le parole del maestro, sulla incapacità dei Russi di fare la rivoluzione (roba da Occidente secondo lui, da Tedeschi...). Sorridiamo di meno nel pensare come non sia servito a troppo il sacrificio delle compagne che hanno rinunciato a tutto in nome dell’Idea, della rivoluzione, quella terza cosa che unisce la Madre a suo figlio Pavel, ipostasi quasi divina, sostituto della religione, nuova religione quasi.
La lezione di marxismo di Brecht potrebbe stancare o risultare, purtroppo, inevitabilmente fuori tempo, quasi come i diffusori di Lotta Comunista, ma qui interviene la potenza del teatro, a cominciare dal suo più antico e fondamentale elemento, la maschera, che aliena l’attore da sé e lo trasforma nell’altro da sé.
La potenza del teatro solleva con leggerezza il tema e l’assunto politico, il tentativo di sollevare le coscienze di un’epoca, la nostra, che sembra smaterializzare l’esistenza e volatilizzare la produzione.
La rappresentazione è pienamente convincente, equilibrata nell’alternarsi di tragedia e umorismo, moto collettivo del coro e moti dei singoli personaggi. Ci si lascia incantare dalla musica delle parole, si ride e ci si emoziona, si ammira la capacità di creare lo spazio scenico, gli spazi, con pochi semplici elementi, sempre gli stessi, e i cartelli di rame che segnalano il cambio di scena (la fabbrica, casa di Pelagia...).
Lo spettatore, assolto al suo compito di costituire la minoranza critica e consapevole, può abbandonarsi al piacere di una curata e intensa messa in scena. Può farsi trasportare dalla musica e ascoltare le parole d’ordine affidate, per fortuna, al coro, come si conviene all’epica. Può emozionarsi quando dal livido colore/non colore del fondo (dagli abiti ai volti cerei dei personaggi) si staglia potente e fiammeggiante il rosso eterno della bandiera.

 

 

 

 

La madre
di:
Bertold Brecht
con: Imma Villa, Antonio Agerola, Cinzia Cordella, Marco Di Prima, Annalisa Direttore, Valeria Frallicciardi, Michele Iazzetta, Cecilia Lupoli, Aniello Mallardo, Giulia Musciacco, Marianna Pastore, Antonio Piccolo
Regia: Carlo Cerciello
Assistente regia: Edoardo Sorgente, Tonia Persico
Scene: Roberto Crea
Assistente scenografo: Michele Gigi
Costumi: Anna Ciotti, Anna Verde
Trucco: Gennaro Patrone, Imma Ferrari
Musiche originali: Hanns Eisler
Assistente musicale: Mario Autore
Drammaturgia musicale: Paolo Coletta
Foto: Andrea Falasconi
Grafica: Gennaro Monforte
Produzione: Teatro Elicantropo, Anonima Romanzi, Prospet
Durata: 1h 30’
Napoli, Teatro Elicantropo, 30 novembre 2012
in scena dal 11 ottobre al 2 dicembre 2012

Latest from Caterina Serena Martucci

Related items