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Friday, 05 October 2018 00:00

Un uomo e il suo Circuito. I numeri d'una contraddizione

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Una lettera (e la sua introduzione generale)
Il 25 gennaio del 2017 l'A.R.T.I – l'Associazione Reti Teatrali Italiane, presieduta da Carmelo Grassi – condivide pubblicamente la lettera che ha indirizzato “al legislatore” per offrirgli “il punto di vista degli operatori impegnati nella distribuzione”.

Il documento inizia descrivendo “la specificità dell'opera teatrale rispetto ad altri prodotti dell'ingegno”: è la presenza degli spettatori a fare la differenza – in teatro “il pubblico è coautore” infatti si legge, è “parte del processo creativo” si legge ancora –; prosegue poi ricordando che il teatro è “un'esperienza che non ha solo un valore culturale ma anche sociale e civile” e che la possibilità di accedere a uno spettacolo è un diritto e che questo diritto – proprio in quanto tale – non può essere garantito solo a coloro che risiedono nelle grandi città o lungo le direttrici principali del sistema dello spettacolo dal vivo ma riguarda e appartiene anche a chi abita altrove, in prossimità dei margini, lì dove il puntino sulla carta geografica è quasi invisibile: “Un teatro con le luci accese” e “che propone contenuti di qualità” – sostiene l'A.R.T.I. – “rappresenta un presidio insostituibile” per “le comunità periferiche e i centri minori”; è “da queste semplici considerazioni” dunque “che emerge l'importanza dei Circuiti” e cioè di quelle “strutture di interesse pubblico” che sono nate proprio per “garantire la diffusione degli spettacoli in grandissima parte del territorio italiano”.
Sono il decentramento culturale istituzionalizzato i Circuiti; compartecipano alla coniugazione in concreto di un dettame costituzionale e democratico; rappresentano un'opportunità formativa irrinunciabile.



Una lettera (e i suoi numeri)

La lettera dell'A.R.T.I. continua “prendendo in esame i dati relativi ai maggiori dodici Circuiti riconosciuti dal MiBACT” (che coprono Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino, Friuli, Emilia Romagna e Toscana, Marche, Lazio, Campania, Puglia, Sardegna) e lo fa per farci comprendere la maniera quantitativa, “professionale e capillare”, nella quale questi stessi Circuiti stanno esercitando il proprio ruolo: si occupano, nel complesso, di 730 teatri; “nel 2015 hanno realizzato 6.330 recite”; hanno investito “1.650.000 euro nei compensi agli autori” e “25.876.824 euro nei compensi alle compagnie con un'erogazione media a cachet di 4.027 euro”. Dalla lettera deduciamo anche il prezzo medio del biglietto (undici euro e diciannove centesimi), il numero di dipendenti con contratto a tempo determinato e indeterminato (155), quanti sono gli enti locali con cui collaborano (429); sappiamo inoltre quanto hanno ricevuto nel 2015 dal Ministero tramite il FUS (5.864.200 euro), quanto dalle Regioni (8.274.184,13 euro) e quanto invece da Province e Comuni (14.391.466 euro) – in totale dalle istituzioni i Circuiti hanno quindi ottenuto un sostegno di 28.529.850,13 euro – e infine apprendiamo quanto hanno generato in termini finanziari abbonamenti e biglietti venduti (16.549.714 euro) e a quanto ammonta “la dimensione economica complessiva”: “sommando i bilanci degli organismi considerati, senza considerare l'indotto dei consumi sul territorio, si arriva a un volume di risorse totale per l'anno 2015 di 49.193.184 euro”. “Si tratta di un settore che funziona” dice quindi la lettera, un settore che – “se valorizzato, superando alcune criticità” – potrebbe ulteriormente “espandere i suoi effetti virtuosi a vantaggio dell'intero sistema e soprattutto dei cittadini”.



Una lettera (e le sue giuste richieste)

A questo punto l'A.R.T.I. indica al legislatore le “criticità” da affrontare con urgenza.
La prima: occorre “un riequilibrio fra il settore della produzione e quello della distribuzione”: “la distribuzione” infatti “è stata oggettivamente depauperata dal decreto ministeriale del luglio 2014, che incentiva la stanzialità degli spettacoli riducendone la diffusione”.  Il riferimento, per essere chiari, è alle alte percentuali di repliche che il DM impone di fare nella propria regione ai Nazionali, ai TRIC e ai Centri di Produzione: si sta di più in casa, lo sappiamo, saturando il mercato locale mentre si gira (e si ospita) di meno e gli spettacoli che davvero hanno una tournée sono ormai pochi.
La seconda: occorre un maggior equilibrio tra “i criteri qualitativi e quelli quantitativi, con particolare riguardo al rinnovamento della scena e ai giovani artisti”. Per carità, va benissimo “premiare i risultati relativi al pubblico e al suo incremento” badando al “tasso di presenza” e cioè allo sbigliettamento – sostiene l'A.R.T.I. – ma “tale indicatore non può” né deve in alcun modo “disincentivare il sostegno alle giovani compagnie e l'apertura alle esperienze meno consolidate che spesso trovano, proprio nei Circuiti, l'unico canale per la sperimentazione, la crescita e il riconoscimento economico del proprio lavoro”.
La terza: occorre “maggiore riconoscimento per l'attività di promozione e formazione del pubblico, un ambito in cui gli indicatori sono largamente sottostimati o mancano del tutto”. “Le oltre seimila aperture di sipario nel corso della stagione” non sono infatti un'attività d'intrattenimento, sostiene l'A.R.T.I., ma rappresentano un “impegno generoso nel dialogo permanente” che dev'esserci “tra teatro e pubblico”, dialogo che – attraverso la qualità degli spettacoli e con l'ausilio di “approfondimenti specifici, laboratori, letture nelle biblioteche e negli spazi di aggregazione sociale” – mira a rendere gli spettatori più critici rispetto ai fatti d'arte e alla vita sociale, aumentandone la possibilità di presenza e d'intervento sul reale.
Insomma: “Si tratta di riconoscere l'identità dei Circuiti” in quanto “istituzioni che perseguono finalità di pubblico interesse nella distribuzione dello spettacolo dal vivo, favoriscono la formazione degli spettatori e il sostegno alla creatività dei giovani artisti nei territori di riferimento, in collaborazione con gli enti locali”.
Equilibrata eterogeneità distributiva; alta qualità dell'offerta; assunzione del rischio artistico e rifiuto della mera commercialità come parametro principale sul quale basare la propria azione di sistema; presenza di compagnie che sono all'inizio del loro percorso, sostegno ai nuovi lessici, convivenza intergenerazionale perché – nel tempo – si assista a un ricambio progressivo della proposta autorale e performativa; messa in relazione costante tra gli spettatori e la sperimentazione teatrale perché lo sguardo verso il palco diventi più consapevole, curioso e aperto al confronto con l'inedito. È questo che l'A.R.T.I. indica al Ministro come priorità; è questo a cui già bada oggi nel concreto – così ribadisce, d'altro canto, nella lettera – e che vuole realizzare con ancora più forza domani.



D'altronde
La lettera dell'A.R.T.I. riprende ciò che è scritto nei manuali e nei libri dedicati al sistema teatrale del nostro Paese: “i Circuiti sono assieme un effetto, una causa e un elemento di personalizzazione della spinta al decentramento teatrale e la loro missione principale è legata alla distribuzione” scrive Mimma Gallina in Ri-Organizzare teatro; “determinano una circuitazione che deve riguardare varie forme di lessici teatrali, con un'attenzione particolare ai linguaggi contemporanei” sottolinea Lucio Argano ne La gestione pubblica dello spettacolo dal vivo; “possono” (devono) “costituire quella cerniera fra il garantire diritti uguali su tutto il territorio nazionale per le imprese dello spettacolo e l'assicurare ai cittadini-contribuenti-spettatori di una regione un servizio ai migliori livelli artistici, valorizzando anche le risorse del territorio” rimarca Franco D'Ippolito in Teoria e tecnica per l'organizzatore teatrale; “la normativa vigente” – sottolineano ancora Gallina e D'Ippolito ne Il teatro possibile – segnala la funzione che è stata loro assegnata: “non soltanto distribuire spettacoli, favorendo pari opportunità di consumo in aree geografiche poco o niente servite dal mercato, ma programmare” spettacoli e attività “che permettano la più ampia partecipazione dei cittadini al teatro, nel contempo intervenendo sul gusto corrente del pubblico per accrescerne la capacità di giudizio”. “Non ci si può dunque limitare a distribuire spettacoli in un sempre maggior numero di piazze e di teatri” ma occorre “andare oltre la compilazione dei cartelloni” tenendo “dritta la barra della qualità” ricordandosi – tra l'altro – che “la funzione di un teatro comunale o comunque di una programmazione pubblica è o dovrebbe essere molto diversa rispetto a quella di un teatro privato”. Il motivo per cui Ministero, Regioni, Province e Comuni danno soldi – i nostri soldi – a chi gestisce un Circuito risiede quindi nella capacità sì di compilare una programmazione perché avvenga l'incontro tra i teatranti e quanti più spettatori è possibile ma questa programmazione non può essere finalizzata (ed essere valutata) solo in rapporto allo sbigliettamento, la distribuzione non può essere oligopolistica né distratta verso le nuove generazioni (deve infatti “contribuire al rinnovamento della scena italiana e del pubblico che frequenta le sale”) e ha l'obbligo di “instaurare rapporti di corresponsabilità rispetto alle politiche di sviluppo culturale del territorio”.
E d'altro canto, in cerca di ulteriori conferme: sapete, secondo le tabelle del Ministero, quali sono i principali “obiettivi operativi dei Circuiti”? La qualità del progetto artistico, l'innovazione dell'offerta e la valorizzazione della creatività. E sapete, sempre secondo i parametri del Ministero, quali sono i più importanti criteri presi in esame dalla Commissione Prosa perché un Circuito ottenga la propria parte di FUS? La “qualità artistica del progetto come articolata e coerente proposta multidisciplinare” (sei punti); la “qualità professionale degli artisti e delle compagnie ospitate” (cinque punti); la “valorizzazione nella programmazione della creatività emergente” (quattro punti) e “l'innovatività dei progetti e l'assunzione del rischio culturale” (quattro punti). È ciò a cui un Circuito deve badare; è ciò che deve tradurre in azione quotidiana, perseverante, necessaria.



Le parole del “mio” Circuito
Lo Statuto del Teatro Pubblico Campano – e ciò che è scritto nell'Home Page del sito – risulta coerente con la normativa vigente, con le funzioni che il Ministero assegna ai Circuiti e con i propositi espressi per lettera dall'A.R.T.I.: il TPC dichiara infatti di “perseguire l'obiettivo” di “facilitare e sostenere le produzioni campane di qualità e assicurarne la distribuzione”, di “formare nuovo pubblico” con “particolare riferimento al mondo giovanile” e di “incoraggiare e supportare nuove metodologie didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, con particolare riguardo alla ricerca di nuovi mezzi di espressione teatrale” – leggo nell'Home Page – mentre l'articolo 3 dello Statuto – dedicato alle attività, alle finalità e agli scopi del Teatro Pubblico Campano – specifica che l'Associazione “ha la finalità di promuovere e qualificare la cultura e tutte le forme d'arte esistenti perseguendo lo scopo di valorizzare lo spettacolo dal vivo facendo ricorso a tutte quelle espressioni artistiche riconducibili alle attività performative, a quelle che utilizzano i più recenti linguaggi multimediali e ad ogni altra forma innovante di creazione d'arte”. Ribadisce poi – l'articolo 3 – che il TPC punta “alla formazione dello spettatore onde contribuire al consolidamento e alla crescita di un pubblico consapevole” e che bada all'“aggiornamento” costante della proposta artistica, la cui “valorizzazione” risponde a due criteri inderogabili: “una programmazione di qualità” e “la pluralità dell'offerta culturale” che viene diffusa sul territorio.



I numeri del “mio” Circuito

Il Teatro Pubblico Campano ha per soci la Regione Campania, due Province (Salerno e Benevento), un Consorzio e trentuno Comuni; ha quindici dipendenti a contratto (2 full time a tempo indeterminato; 10 part time a tempo indeterminato; 2 part time a tempo determinato e 1 full time a tempo determinato) e l'insieme dei dipendenti comporta una spesa di 377.835,51 euro, a cui vanno aggiunti 104.982,89 euro di oneri sociali. Il TPC funge quindi da soggetto di intermediazione tra le amministrazioni e i produttori di spettacolo dal vivo e in quanto tale cura la stagione di venticinque teatri – dal centro storico di Napoli (Teatro Nuovo) al Gesualdo di Avellino, da Sorrento a Pompei, da Casalnuovo a Santa Maria Capua Vetere – che, messi assieme, compongono una platea che ha quasi quattordicimila posti a sedere. Impossibile leggere i bilanci degli ultimi anni (sul sito la pubblicazione è ferma al 2015) riguardo alla gestione finanziaria mi limito a segnalare i “contributi che l'Associazione ha introiettato nell'esercizio 2017” – due dal MiBACT (2016 e 2017), tre dalla Regione e quindici dai Comuni – che sommati danno la cifra di 2.164.064 euro e 18 centesimi.
Il Direttore Generale del Teatro Pubblico Campano è Alfredo Balsamo. Mentre l'Associazione che dirige “ha durata illimitata” invece il mandato del Direttore Generale dura quattro anni ma chi ne è investito può essere (ri)nominato senza che vi sia alcun limite al numero di rinnovi tant'è che Balsamo – fin dalla nascita del TPC (avvenuta il 31 ottobre del 1983) – è stato costantemente rieletto Direttore Generale dal Comitato Direttivo. A lui, dunque, da trentacinque anni tocca proporre “i piani di attività”, decidere “i programmi teatrali” e stabilire “la distribuzione degli spettacoli nell'ambito della Regione Campania”; è lui che “controlla e vista i contratti e gli atti, ivi compresi quelli connessi agli impegni di spesa”; lui “autorizza direttamente gli acquisti”, lui “dirige e coordina gli uffici”, lui “è responsabile del personale” e “garantisce il funzionamento dei settori”; lui “tratta le eventuali vertenze del personale e adotta i provvedimenti disciplinari previsti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di riferimento”, lui “conferisce gli incarichi professionali e di collaborazione”, lui “partecipa, con voto consuntivo, all'assemblea dei Soci e a tutte le riunioni del Comitato Direttivo” ed è lui infine – dice ancora lo Statuto – “che adotta i provvedimenti necessari ad assicurare la regolare esecuzione degli indirizzi” professati dal Teatro Pubblico Campano. Insomma: tocca a lui – che per tutto questo lavoro riceve un compenso lordo di 82.352 euro – tradurre in scelte effettive le finalità dichiarate proprio dallo Statuto, vidimate dalle normative ministeriali e ribadite dalla lettera dell'A.R.T.I.
A lui tocca organizzare quindi una proposta eterogenea e diversificata, dall'alto valore qualitativo e che non sia banalmente commerciale; a lui tocca garantire l'ampia diffusione dei diversi lessici creativi; è una sua precisa responsabilità il supporto e la programmazione delle giovani compagnie; lui sceglie gli spettacoli più adatti a formare lo sguardo di spettatori vecchi e nuovi e, lui per primo, compartecipa con gli assessori regionali, provinciali e comunali alla definizione di strategie operative che non vanno considerate soltanto politiche teatrali ma anche culturali e territoriali.



Le scelte del “suo” Circuito
A questo punto ridò un'occhiata al sito del Teatro Pubblico Campano per comprendere come Alfredo Balsamo e il TPC traducano quel che dichiarano a parole in fatti concreti e cioè in programmazione e distribuzione serale, badando con particolare attenzione a quel che succede oltre-Napoli e dunque nel resto della regione. I dati riguardano, al momento, diciotto dei venticinque teatri gestiti o cogestiti dal TPC (il 72% del totale). Ebbene: scrivo in un quaderno i cartelloni, accanto vi pongo il nome del regista, quello dell'impresa che produce lo spettacolo e il numero di repliche per ogni titolo poi prendo una calcolatrice e comincio a fare i conti. E noto.
Noto, ad esempio, che a cinque compagnie (Gli Ipocriti, Nuovo Teatro, Ente Teatro Cronaca, Gitiesse, ENFI) tocca il 44,54% delle repliche e noto, tra l'altro, che due di esse sono (in)direttamente riconducibili ad Alfredo Balsamo: Gli Ipocriti, che contribuì a fondare nel 1973, e Nuovo Teatro, che invece è diretta da Marco Balsamo (per cui il padre si trova nella condizione di distribuire gli spettacoli prodotti da suo figlio). Noto inoltre che cinque messinscene (Con tutto il cuore, regia di Vincenzo Salemme; Colpo di scena, regia di Carlo Buccirosso; Cavalli di ritorno 2.0, regia di Gino Rivieccio; I fiori del latte, regia di Giuseppe Miale di Mauro e con in scena Biagio Izzo; Così parlò Bellavista, regia di Geppy Gleijeses) al momento coprono il 32,72% di date e – in aggiunta – metto in relazione questi spettacoli con la pluralità dei teatri in cui opera il TPC per comprendere in quante delle sue sale risultino presenti: si va dal 64,70% per Cavalli di ritorno 2.0 al 70,58% per Così parlò Bellavista; I fiori del latte sarà nel 76,47% dei teatri del Circuito mentre Colpo di scena di Buccirosso verrà ospitato nel 94,11% degli spazi regionali presi in esame. Questo per quanto concerne l'eterogeneità (o meglio: l'omogeneità) della proposta, dunque. E per il sostegno alle giovani compagnie e alla nuova scena? Sommo l'età dei quindici registi più presenti (dal calcolo ho escluso Pierpaolo Sepe: mi è stato impossibile risalire alla sua data di nascita) e ottengo un'età complessiva che sfiora il millennio (929 anni) mentre l'età media è di 62 anni; scopro inoltre che – di questi quindici registi – solo uno è under 50 (Giuseppe Miale di Mauro), che tre sono under 60 (Nadia Baldi, Gianfranco Gallo, Maurizio Casagrande) mentre gli altri undici hanno un'età compresa tra i 61 e gli 85 anni. Giammai, sia chiaro, penso alla bellezza prodotta in un teatro come a una diretta conseguenza di un dato bio-anagrafico e tuttavia questi numeri testimoniano la sclerotizzazione pluriennale della proposta, l'assenza di una coesistenza generazionale e di un ricambio in essere, l'impasse rispetto a quell'“apertura alle esperienze meno consolidate” della scena che pure è tra le priorità ribadite dall'A.R.T.I. nella sua lettera.
Infine – impossibile per ogni critico teatrale che sia serio una valutazione preventiva della qualità degli spettacoli – mi limito a sottolineare la vocazione mainstream dell'offerta del TPC: abbondano i titoli di richiamo, talora di derivazione filmica (La banda degli onesti; Così parlò Bellavista; Dirty Dancing); la grand'attoralità anch'essa di richiamo (Massimo Ranieri, Giuliana De Sio, Maria Amelia Monti, Lucrezia Lante della Rovere, Monica Guerritore, Alessandro Haber, Maurizio Casagrande, Carlo Buccirosso, Vincenzo Salemme, Stefano Accorsi) e la presenza di figure dalla fama prettamente tv-canora (Maurisa Laurito, Giulio Scarpati, Paolo Calabresi, Claudio Santamaria, Sal Da Vinci, Veronica Maya, Serena Autieri, Antonella Elia, Iva Zanicchi). Assente la danza contemporanea (quando si balla lo si fa soprattutto con i classici: da La bella addormentata a Il lago dei cigni), è assente anche la drammaturgia under mentre è ben presente la comicità (da Alessandro Siani a Pintus): forse perché – per dirla con le parole usate da Alfredo Balsamo il 17 settembre 2018, alla presentazione del cartellone del Gesualdo di Avellino – in tempi così difficili “un teatro deve avere anche i momenti della risata quale pillola per affrontare meglio la vita”.



Infine: qualche domanda.
Alfredo Balsamo il 26 giugno 2018 – durante la conferenza stampa di presentazione della stagione del Teatro Verdi di Salerno – ha affermato che in merito alla relazione tra risorse economiche e spettacolo dal vivo “si piange da sempre. Se vogliamo continuare a piangere” ha poi aggiunto “non c'è niente di nuovo. Rimbocchiamoci invece le maniche e lavoriamo per un servizio di qualità che soddisfi il pubblico” e – a testimonianza che la qualità dell'offerta teatrale è al centro dei suoi pensieri – in un'intervista rilasciata il 19 febbraio 2016 al Corriere del Mezzogiorno ha dichiarato qual è “da sempre” il suo obiettivo: “Far quadrare i conti e garantire la qualità”. Eppure il Teatro Pubblico Campano è ultimo (tredicesimo su tredici) tra i Circuiti Regionali Multidisciplinari riconosciuti dal Ministero proprio per quanto concerne la “Qualità della Proposta Artistica” (ha infatti ottenuto 13 punti: sei in meno del Circuito sardo, penultimo, e diciotto in meno di quello toscano, che risulta primo per “qualità” secondo i giudizi emessi dalla Commissione Prosa). È dunque sicuro Alfredo Balsamo che le scelte che sta compiendo siano le più adeguate? È ancora convinto che puntare (quasi solo) sull'attore protagonista dell'ultima fiction di Rai Uno o Rete Quattro, sul cantattore noto, sul comico della tv locale e su Sal Da Vinci accompagnato da cinquanta orchestrali, su Biagio Izzo, Carlo Buccirosso o Geppy Gleijeses sia proprio ciò che un Circuito e il suo Direttore devono fare? E in che modo questa proposta partecipa al rinnovamento progressivo e necessario di un sistema artistico? E come dialoga − in termini di differenza e alterità − con il Nazionale di Napoli, con il Napoli Teatro Festival Italia e con le programmazioni dei teatri privati grandi, medi e piccoli presenti in regione? E come, i titoli che propone e diffonde, parlano al e del presente, di questi nostri giorni, di queste nostre vite?
Ancora.
Poiché nel 72,31% dei casi l'offerta di uno spettacolo (causa l'alto cachet del protagonista celebre, causa costi di circuitazione, necessità di tournée o ridotte economie comunali) si riduce a una data singola è certo che – realizzando di fatto un tourbillon episodico e occasionale – stia formando un pubblico più consapevole, attento e critico? E come riempie il Teatro Pubblico Campano il vuoto lungo trecentosessantaquattro giorni, quelli che cioè passano da una data unica effettuata nel 2017 a una data unica del 2018? Quali iniziative realizza nel frattempo? O devo pensare che il Teatro Pubblico Campano preferisce tradurre un'attività che sarebbe meglio avesse carattere continuativo (altrimenti come lo formi davvero il pubblico?) nell'ennesimo eventificio finanziato con soldi del Ministero, della Regione e dei Comuni? E veramente Balsamo ritiene che siano queste le proposte che livellano la disparità d'accesso alla cultura che ancora esiste tra chi abita il centro e chi risiede nelle nostre periferie provinciali? 
Oppure, aggiungo.
È possibile che Balsamo ritenga invece l'ampia platea extra-napoletana a cui si rivolge del tutto incapace di confrontarsi con la drammaturgia e la danza contemporanee? Possibile che ritenga i suoi stessi spettatori di provincia accontentabili solo attraverso un palinsesto para-televisivo? E − ammesso che ciò corrisponda al vero − non sente di avere responsabilità specifiche (governando il Circuito da un trentennio) e come adesso intende invertire questa (supposta) tendenza fruitiva?
Infine.
Rispetto a questo modo di dirigere il Teatro Pubblico Campano non sarebbe il caso di prendere parola per rimettere pubblicamente in discussione il Circuito stesso, la sua conduzione e le sue funzioni, le sue potenzialità e i suoi doveri (verso le istituzioni, i cittadini tutti e la comunità artistica sia presente che futura)? 

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