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Monday, 27 August 2018 00:00

Immagini e guerre contemporanee

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Nel un corposo volume curato da Maurizio Guerri Le immagini delle guerre contemporanee (Meltemi 2018)diversi studiosi ragionano a proposito del rapporto immagine/guerra nella contemporaneità. A partire dalle immagini cui gli eventi bellici sono connessi, il volume riflette su alcuni momenti fondamentali di trasformazione dei conflitti bellici della storia contemporanea evidenziando che se storicamente le immagini hanno documentato, pur nella loro parzialità, la guerra, da qualche tempo sembrano essere divenute esse stesse parte della conduzione delle attività belliche; si pensi, ad esempio, al ricorso sempre più frequente allo sguardo offerto dai droni.

Se diversi conflitti contemporanei risultano difficilmente comprensibili, in parte ciò è dovuto alla loro invisibilità ma, sostiene Maurizio Guerri, se molte delle guerre recenti non sono nemmeno percepite come tali in quanto non vengono mostrate, ciò accade anche “perché di esse si danno solo immagini in cui la sensibilità per il sensazionale si sostituisce all’interpretazione attiva della realtà”. L’essere umano pare ormai essersi abituato all’idea che la realtà gli venga somministrata e si aspetta che lo sia “come realtà clamorosa che è uno dei moduli fissi in grado di annullare la differenza tra realtà e super-realtà e di alimentare al contempo il bisogno di novità da parte dei fruitori. È in questo vuoto di immagini o in questa paralisi dell’immaginazione attuata attraverso le immagini stesse che diventa possibile la conduzione anestetizzata delle guerre contemporanee sia nella direzione della contraffazione ideologica di una guerra come operazione di polizia internazionale o addirittura come operazione umanitaria, sia nella direzione di una dichiarazione della loro inesistenza”.
A proposito della costruzione di una percezione distorta della realtà attraverso le immagini, ci si potrebbe anche chiedere, sostiene Guerri, quanto le politiche europee nei confronti dei migranti assumano i caratteri di una guerra non percepita come tale a causa del tipo di immagini (o alla loro mancanza) a essa associate.
Per dare un’idea della potenza delle immagini relative ai conflitti, basti pensare a come le immagini di propaganda della prima Guerra del Golfo siano riuscite a occultare quasi duecentomila morti, oppure a come le immagini prodotte dai droni decidano dell’esistenza dei civili in base al livello di detectability dei dispositivi ottici utilizzati. Il ricorso sempre più frequente alla mappatura visiva, inoltre, consente di mantenere chi ne fa ricorso a “distanza di sicurezza”. Guerri sottolinea come la decisione di far uso di dispositivi bellici a distanza sempre più sofisticati e di contractors sia del tutto in linea con “la rimozione (o la dilazione) del sacrificio bellico che è richiesto alla popolazione (occidentale); tale rimozione è in grado di disinnescare ogni possibilità di resistenza attiva dei membri di uno Stato in merito proprio alla questione della guerra: se io Stato non vi chiedo il sacrificio di andare in guerra, voi non avete voce in capitolo sul tipo di guerra che sto conducendo fuori dalle porte di casa nostra. D’altro lato per un potere politico di tipo liberal-securitario, quale fine rimane allo Stato stesso e ai suoi membri se non ambire a un’idea di comunità politica ridotta a essere il mero oggetto passivo dei provvedimenti securitari dei tecnici di turno?”.
Il volume Le immagini delle guerre contemporanee è suddiviso in tre parti: nella prima si ragiona su immagini in cui i conflitti mondiali vengono concepiti come “momento decisivo nella genealogia della violenza bellica contemporanea, come un’eredità necessaria con cui confrontarsi per comprendere i conflitti odierni”; nella seconda si approfondiscono le modalità con cui le diverse arti possono oggi rendere testimonianza dei conflitti; nell’ultima parte vengono analizzate le guerre contemporanee che si danno grazie alle immagini.
Compongono la prima sezione del volume, intitolata Ereditare le immagini delle guerre mondiali: un saggio di Pierandrea Amato che, riprendendo le riflessioni di Walter Benjamin relative alla Grande Guerra, ragiona circa il ruolo dell’estetizzazione e della sublimazione iconica nella produzione di uno vero e proprio scollamento tra visione ed esperienza a proposito dei conflitti contemporanei; uno scritto di Enrica Grossi che riflette sulla centralità della visione introdotta dalla Prima Guerra Mondiale, conflitto contraddistinto dal ricorso alla trincea; un intervento di Raffaele Scolari che, prendendo in esame Paesaggio di guerra (1917) di Kurt Lewin, si occupa della mutevolezza e della complessità dei legami tra essere umano e paesaggio nell’esperienza bellica; un testo di Adolfo Mignemi in cui, attraverso l’analisi di fotografie di guerra, viene analizzata l’interazione tra questo tipo di immagini e la memoria relativa al confitto; un’analisi di Micaela Latini del racconto Nella colonia penale (1914) di Franz Kafka; uno scritto di Giovanni Scirocco imperniato attorno al reportage fotografico di Christian Schiefer relativo all’esposizione dei cadaveri di Mussolini e della Petacci a piazzale Loreto a Milano.
La seconda sezione del volume, intitolata Le arti come testimonianze e comprensione dei confitti, propone: un’analisi di Paola Bozzi relativa ai fotomontaggi di John Heartfield, artista tedesco comunista che utilizza tale tecnica dopo la Grande Guerra come strumento di analisi distopica e di immaginazione utopica; un saggio di Paola Quadrelli sulla presenza nella vita e nell’opera del drammaturgo tedesco Heiner Müller della guerra, intesa però anche come lotta di classe, conflitto ideologico-politico, violenza rivoluzionaria, aspirazione al potere, manifestazione cruenta di una dialettica priva di soluzione nella Storia; un contributo di Francesca Marelli che, prendendo in esame l’opera dell’artista Anselm Kiefer, mette in luce come nella ricerca estetica del tedesco sia costante il confronto con i temi del ricordo e dell’oblio, con le tragedie della guerra e i simboli della rinascita; uno scritto di Angela Mengoni che si sofferma sul libro d’artista War Cut (2004) realizzato da Gerhard Richter che, attraverso il montaggio di testi verbali e immagini, rinunciando a qualsiasi volontà mimetica di “rappresentazione”, intende cogliere alcuni elementi di quella seconda Guerra del Golfo che ha inaugurato l’epoca della “guerra preventiva” con le annesse rappresentazioni mediatiche; una disamina di Alice Cati incentrata sulla funzione, tra segno indicale e aspetto fantasmatico, delle fotografie dei desaparecidos argentini esposte ripetutamente dalle Madres e Abuelas de Plaza de Mayo, che conduce a una riflessione su opere fotografiche diventate un simbolo comune per ricordare i cari e con essi i crimini del regime, attraverso la connessione tra memoria familiare e memoria pubblica; un contributo di Giorgio Avezzù che, ricorrendo al cinema bellico contemporaneo, tratta la rappresentazione della crisi dell’onnipotenza dell’immagine aerea; un testo di Andrea Pinotti che si occupa di pratiche contemporanee di memorializzazione dell’Olocausto tra astrazione, antropomorfismo e embodiment.
La terza sezione del volume, intitolata Pensare le guerre con gli occhi (e con le loro protesi), è composta da: un saggio di Mauro Carbone che si occupa della paradossale piega iconoclasta che sembra aver preso piede in una contemporaneità votata al visivo come non mai; uno scritto di Ruggero Eugeni sulle relazioni tra usi bellici e usi mediali dei dispositivi di visione notturna; una riflessione Barbara Grespi imperniata attorno alle rilevanza etica, ideologica e culturale del rapporto tra corpo e guerre e sul suo trattamento iconico nella contemporaneità; un’analisi di Maurizio Guerri che confronta il ricorso occidentale ai droni e quello mediorientale ai kamikaze nelle guerre recenti; un testo di Dario Cecchi dedicato all’operazione di rimontaggio di alcune strisce del graphic novel Persepolis (2000-2003) di Marjane Satrapi realizzato da attivisti dell’Onda verde iraniana mettendolo in relazione con elementi iconografici propri della devozione sciita e con la messa in scena di Abbas Kiarostami del tazieh, una forma di teatro devozionale tradizionale iraniano; una riflessione di Elena Pirazzoli dedicata al dibattito attorno alla tutela dei beni artistici ed archeologici nelle zone di guerra a partire dalla Seconda Guerra Mondiale, passando per la critica postcoloniale, fino ai casi più recenti; un saggio di Giuliana C. Galvagno incentrato sulle trasformazioni delle modalità di diffondere le immagini dei conflitti a partire da una prima cesura storica coincidente con la loro trasmissione attraverso la televisione nella guerra del Vietnam fino a giungere ad un nuovo punto di svolta individuato nelle modalità di autorappresentazione delle guerre attraverso YouTube.

 

 



Maurizio Guerri
Le immagini delle guerre contemporanee
Meltemi, Milano 2018
pp. 446

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