“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 02 August 2018 00:00

“108 metri”. L’importanza di non tradire le regole

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L’Italia si sta dimostrando ormai da qualche tempo un Paese dalla memoria corta e dalla vista selettiva e ciò appare particolarmente evidente se si fa riferimento ai fenomeni migratori che toccano il Paese.
Memoria corta perché se c’è una nazione che ha visto partire la sua gente alla ricerca di lavoro e di condizioni di vita migliori questa è proprio l’Italia. Di ciò non c’è traccia nei mantra ripetuti da piccoli politici nostrani senza scrupoli a caccia di facili consensi. Questa storia di migrazioni è stata raccontata tanto dalla letteratura − a partire da Edmondo De Amicis con i suoi emigranti diretti verso il Nuovo Mondo a fine Ottocento e Giovanni Pascoli con i suoi versi sull’Italia raminga a inizio Novecento − quanto dal cinema − che sin dagli anni Dieci ha affronto le migrazioni italiane transoceaniche con Febo Mari e Umberto Paradisi.

Vista selettiva, si è detto, in quanto in Italia si insiste col raccontare degli attuali fenomeni migratori di italiani verso l’estero parlando esclusivamente di “fughe di cervelli”, delle “migliori menti del Paese” che, abbandonato l’ingessato mondo della ricerca nostrano, trovano fortuna altrove senza mai far riferimento a chi, indipendentemente dal titolo di studio, una volta giunto all’estero si trova a fare i conti con condizioni lavorative infami.
Si può però parlare di italica memoria corta anche a proposito della pianificata rimozione di quelle forme di socialità e solidarietà che la classe operaia ha saputo costruirsi nel corso del secolo passato prima che la deregulation facesse capolino nei primi anni Ottanta e fosse portata a termine, bypassando ormai qualsiasi mediazione politica, da “esperti”, “tecnici” e “uomini d’azienda” in odor di beatificazione e non importa se ingessati secondo la formalità d’ordinanza o in pullover. A proposito di ciò, l’italica vista selettiva evita accuratamente di posarsi sugli effetti di questa trasformazione che, ci viene detto, è richiesta dall’insindacabile entità europea e dai dogmi della modernità neoliberista. La tabula rasa procede comunque spedita; il percorso che porta alla totale disgregazione sociale è a buon punto − se ne stanno già vedendo gli effetti − e presto si raggiungeranno gli agognati livelli dei Paesi che hanno bruciato i tempi grazie a un mediocre attore hollywoodiano e una lady di ferro.
Ebbene, nel suo ultimo romanzo autobiografico − 108 metri (Laterza, 2018) − Alberto Prunetti riesce a raccontarci, in una divertente lingua in cui si mescolano espressioni popolari toscane e inglesi, della forza e dell’orgoglio operaio della generazione del padre, lavoratore delle acciaierie di Piombino ove si sfornavano le rotaie di 108 metri con cui sono state costruite le ferrovie di mezza Europa, e dell’immersione dell’autore nel mondo del lavoro inglese deregolamentato da Margaret Thatcher.
Prunetti riesce a fare tutto ciò con grande ironia, procurando, non di rado, l’ilarità anche se la risata finisce presto con lo strozzarsi in gola, sostituita dall’amarezza e dalla rabbia. Per avere un’idea del tono con cui lo scrittore racconta le proprie peripezie lavorative nella terra di Albione è sufficiente leggere le righe di presentazione del libro: “Un vecchio tossico uscito da un libro d’avventure, uno stasatore di cessi innamorato della lirica e un anziano attore shakespeariano lobotomizzato, con un corredo di giovani assistenti dediti a piccoli crimini e decisi a sopravvivere in ogni modo a mille guai. Questa è la banda che condivide vita, avventure e lavoro con un italiano emigrato in Inghilterra. Altro che ‘cervelli in fuga’: qui si parla dei sotterranei, delle pulizie dei bagni a Bristol a una mensa scolastica nel Dorset, fino a una pizzeria di turchi che si fingono napoletani. Sullo sfondo la Brexit e una classe operaia impoverita che ricerca il propio orgoglio. Tra risse, birre e calcio, personaggi di vecchi romanzi si rincarano nelle cucine d’Oltremanica mentre il fantasma della Baronessa Thatcher perseguita il protagonista. Fino al ritorno in un’Italia dove le acciaierie di Piombino, quelle delle rotaie di 108 metri, rimangono come torri arrugginite a sfidare il cielo terso della Toscana”.
Il mondo lavorativo inglese della ristorazione e dintorni in cui si torva catapultato Prunetti risulta infernale, abitato com’è da figure di datori di lavoro senza scrupoli, capireparto, simili a moderni kapò, che pateticamente cercano di mantenere il gradino sociale raggiunto a tutti i costi e per ciò sono disposti a sacrificare poveri cristi come loro. In questo inferno, però, il Nostro  trova modo di fraternizzare con un manipolo di appartenenti a quella feccia proletaria che l’establishment del Paese di Sua Maestà eliminerebbe volentieri ma che, per questioni di cinica convivenza preferisce sfruttare il più possibile magari lontano da occhi indiscreti.
Una ciurma di disgraziati cresciuti nella deregulation imperante, soggetti atomizzati allo sbaraglio che non riescono nemmeno a riconoscersi come classe sociale e che si confrontano, quando possono, con le angherie subite soltanto con gesta sguaiate, isolate e senza futuro. “Che team che eravamo... Maestri d’ogni arte culinaria, brillavamo per la unauthorised absence, misconduct e incompetence, ma ci facevamo onore anche nel lack of application. Certuni preferivano il theft, vale a dire il ladrocinio, ma tutti eccellevano nel fighting e nel serious damage to property company, la distruzione dei beni della ditta. Nel campo dell’immagine aziendale eravamo da copertina, evidenti maestri per dishonesty e afflitti da intoxication by means of drink, mentre alle relazioni pubbliche con clienti e fornitori offrivamo tutto il calore della nostra violent, dangerous and intimidating conduct”.
Una ciurma con cui l’autore ha giocato a pallone nel poco tempo libero, ingurgitato pinte di birra nei pub e affrontato una quotidianità priva di futuro ben lontana da quella dei “cervelli in fuga che ce l’hanno fatta” raccontati dai media e degli studenti delle famiglie dei “quattrinai” mandati al college magari per apprendere l’arte dello sfruttamento e importarla in patria.
Durante il soggiorno in questa Inghilterra dalla società scientemente disgregata dai paladini del neoliberismo, il Nostro ha saputo, a suo modo, tener fede alle vecchie “regole” imparate nella Piombino operaia delle acciaierie. Già, perché l’importante è non tradire le regole trasmesse dal padre: “So’ le regole che valgono in qualsiasi cantiere, anche se vai a lavorà all’estero oppure se usi il geodolide invece che la saldatrice. Semplici. Dai una mano ai tu’ soci. Sciopera. Non leccà il culo al capo. Non fa’ il crumiro. Non infierì se ti tocca menà. Non prendertela troppo coi pisani, so’ umani anche loro. Diffida dei quattrinai. Se uno che ha studiato ti chiama signore, mettiti col culo al muro. Più una o due massime che ora ‘un mi ricordo. Regole universali, che valgono ovunque ci sia la classe operaia. In tutto il mondo. Uno che è andato in una piattaforma offshore in Scozia mi ha detto che le usano anche nel mare del Nord. Son le stesse, paro paro”.
Terminata l’estenuante esperienza nelle terre di Sua Maestà, l’autore, nel far ritorno a casa, trova una comunità che pare improvvisamente essersi spenta insieme all’altoforno, quell’altoforno che ha sfruttato e rovinato la vita a tanti ma attorno al quale si è costruita quella coscienza di classe che ha saputo darsi le regole insegnate dal babbo. Sappiamo come la chiusura delle miniere inglesi rappresenti un punto nodale nella cavalcata thatcheriana intenzionata a edificare un mondo di individui cinici ed egoisti privi di legami sociali. La chiusura dell’acciaieria toscana sembra presagire l’adeguarsi di questo Paese ai dettami neoliberisti. Nessuna nostalgia del lavoro nelle miniere e nella acciaierie. Certo. La nostalgia è semmai per un’epoca in cui, almeno, esisteva una società retta da rapporti umani e dove trovavano spazio quelle regole non scritte solidali e conflittuali riconosciute in tutto il mondo.
Ed ora, dopo aver perseguitato il protagonista durante il soggiorno inglese, lo spettro della lady di ferro si manifesta a Piombino, come nel resto di questo fottuto Paese che si è messo in testa di prender il peggio dalla terra di Albione.

 



Alberto Prunetti
108 metri. The New Working Class Hero

Editori Laterza, Bari-Roma, 2018
pp. 133

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