“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 23 July 2018 00:00

“Frankenstein” tra potenza e mito

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“A duecento anni dalla pubblicazione del romanzo nato dall’ingegno e dalla creatività di una giovane donna inglese non ancora ventenne, Mary Shelley, uno storico della scienza e uno studioso della cultura di massa ricostruiscono lo sfondo culturale di questo capolavoro, con particolare attenzione alle teorie scientifiche dell’epoca, e narrano la genesi e lo sviluppo del mito di Frankenstein fra teatro, cinema, televisione e fumetti”.

Così l’editore Carocci presenta il libro Frankenstein. Il mito tra scienza e immaginario (2018) realizzato da Marco Ciardi, docente di Storia della scienza e della tecnica presso l’Università di Bologna e particolarmente attivo nella divulgazione della cultura scientifica, e Pier Luigi Gaspa, laureato in Biologia, studioso dell’uso dei media dell’immagine come strumenti di comunicazione.
I due studiosi ricostruiscono la storia del mito di Frankenstein indagando il suo progressivo espandersi verso altre forme artistiche e comunicative (teatro, cinema, televisione, fumetto). Tratteggiato l’ambito culturale, letterario e scientifico con cui si è trovata a confrontarsi la scrittrice, il volume passa in rassegna i decenni a cavallo tra Otto e Novecento fino a giungere ai giorni nostri, domandandosi i motivi del successo di Frankenstein.
L’origine del mito di Frankestein, secondo i due, spetterebbe all’opera teatrale Presumpion! or The Fate of Frankenstein di Richard Brinsley Peake, scritta nel 1823 e andata in scena per a prima volta a Londra il 28 luglio 1823. La traduzione teatrale insiste particolarmente sul topos moralista dello scienziato che si trova a conferire la vita a una Creatura che, in questo caso, non sembra poi troppo dissimile dal “normale” essere umano. Nell’inevitabile tradimento che la rappresentazione teatrale opera nei confronti del romanzo originario, viene aggiunta la figura di Fritz, servitore di Victor Frankenstein.
La figura del servitore finirà col diventare una costante in molti altri tradimenti successivi e, in particolare, risulterà centrale nel celebre film di Mel Brooks Frankenstein Junior (1974) in cui prende il nome di Igor (Marty Feldman). Sarebbe proprio il diffondersi e il successo di parodie cinematografiche, teatrali e a fumetti del romanzo della Shelley a certificare, secondo Ciardi e Gaspa, il successo di Frankestein.
Sul grande schermo il debutto della Creatura si deve al cortometraggio Frankenstein (1910) scritto e diretto da J. Searle Dawley, che ne modifica completamente il finale. Successivamente sarà la volta di Life without Soul (1915) scritto da Jesse J. Goldburg e diretto da Joseph W. Smiley e di Il mostro di Frankenstein (1920) di Eugenio Testa, opera andata perduta. Queste tre pellicole mute aprono la strada alla celebre trilogia del decennio successivo, che sarà alla base delle successive rivisitazioni, composta da: Frankenstein (1931) eThe Bride of Frankenstein (1935), entrambi di James Whale, e The Son of Frankenstein (1939) di Rowland V. Lee.
Le versioni degli anni Trenta introducono il tipo di Creatura che si è poi impresso nell’immaginario collettivo recente, grazie soprattutto al lavoro del truccatore Jack Pierce che ha trasformato il volto di Boris Karloff nell’icona che tutti abbiamo imparato a conoscere.
Nel corso degli anni Quaranta la Universal aggiunge alla saga altre quattro pellicole: The Ghost of Frankenstein (1942) di Erle C. Kenton, Frankenstein Meets the Wolfman (1943) di Roy William Neill, House of Frankenstein (1944) di Erle C. Kenton eHouse of Dracula (1945) di Erle C. Kenton, in cui la Creatura di Frankenstein si aggiunge al vampiro e all’uomo lupo.
Sul finire degli anni Quaranta non manca nemmeno un film-parodia del duo comico conosciuto in Italia come Gianni e Pinotto: Bud Abbott Lou Costello Meet Frankenstein (1948) di Charles Barton.
Successivamente il nuovo modello della Creatura viene istituito dalla casa di produzione ingelse Hammer Film che lancia sul grande schermo The Curse of Frankenstein (1957) di Terence Fisher con Peter Cushing nel ruolo di Victor Frankenstein e Christopher Lee in quello della Creatura. Alla pellicola inglese, che si allontana notevolmente sia dal romanzo di Mary Shelley che dalle opere cinematografiche precedenti, la Hammer Film farà seguire diverse altre pellicole: The Revenge of Frankenstein (1958) di Terence Fisher, The Evil of Frankenstein (1964) di Freddie Francis, Frankenstein Created Woman (1967) di Terence Fisher, Frankenstein Must Be Destroyed (1969) di Terence Fisher, che sancisce la totale negativizzazione della Creatura, The Horror of Frankenstein (1970) di Jimmy Sangster e Frankenstein and the Monster from Hell (1974) di Terence Fisher.
Ormai, sostengono i due studiosi, “il mito è già nato, ha i suoi tanti epigoni e le sue innumerevoli riscritture” e tra le numerose altre pellicole incentrate sul personaggio si possono ricordare: Frankenstein 1970 (1958) di Howard W. Koch, Frankenstein's Daughter (1958) di Richard E. Cunha; How to Make a Monster (1958) di Herbert L. Strock, Frankenstein Conquers the World (1965) di Ishirō Honda, Gothic (1986) di Ken Russell... fino al celebre Mary Shelley's Frankenstein (1994) di Kenneth Branagh, prodotto da Francis Ford Coppola che, nonostante l'iniziale volontà di riprendere il testo originario, non mancherà di prendersi notevoli licenze e “il tentativo di Branagh di riscrivere il mito di Frankenstein fallisce davanti ai grandi difetti della pellicola e la Creatura non ha il medesimo grande impatto di quella del film di Whale, alla quale nemmeno si avvicina, nonostante il grande impegno di De Niro. La Creatura rimane, ancora oggi, Boris Karloff, con il suo sguardo inquietante sotto le pesanti palpebre e l’andatura incerta e meccanica nelle luci espressioniste del film originale del 1931”. C’è poco da fare, sul grande schermo, insomma, la maschera di Boris Karloff di inizio anni Trenta resta La Creatura.
Al di là delle derivazioni teatrali e cinematografiche che si sono susseguite, per chi voglia invece soffermarsi sul romanzo di Mary Shelley approfondendo i personaggi principali e le modalità con cui avviene la costruzione della Creatura, si rimanda al monumentale, e non solo dal punto di vista del numero di pagine, libro di Franco Pezzini, Fuoco e carne di Prometeo. Incubi, galvanisti e Paradisi perduti nel Frankenstein di Mary Shelley (Odoya 2018) da cui emerge come il Frankenstein originale sia – come sostiene Pezzini stesso in un suo intervento su Carmillaonline – una Creatura che “non assomiglia se non in minima parte al Mostro dell’immaginario collettivo; che il modo di costruirla e persino l’attrezzatura hanno ben poco a che vedere con le straordinarie apparecchiature steampunk cui siamo abituati; ma soprattutto che il senso dell’apologo non è affatto quello un po’ reazionario e ostile alla scienza che il nome Frankenstein evoca all’uomo della strada. In scena è una grande metafora sulla responsabilità, a ogni livello: a partire da quella verso le creature che nella nostra cerchia di rapporti costruiamo e nutrono legittime attese verso di noi. Ma il senso voluto da quella riflessiva, un po’ ribelle, affascinante ragazzina (ricordiamo che i personaggi principali del romanzo, Creatura compresa, sono poco più che adolescenti) nutrita di istanze libertarie si allarga ad abbracciare dimensioni sociali, politiche... Quello dunque della scienza è soltanto uno dei campi interessati: importante, certo, ma senza le implicazioni pavide che infinite banalizzazioni hanno rovesciato su una grande storia d’amore – Victor è anzitutto il partner amatissimo e nevrotico, ammirato e criticato, Percy Bysshe Shelley – e di dolore. Come in genere i capolavori della letteratura, Frankenstein non è insomma un romanzo a tesi, ma una macchina per pensare dove precipitano conati d’angoscia, frustrazioni, fantasmi personalissimi dell’autrice e generalissimi di un mondo”.
A proposito di questo volume di Pezzini, che rappresenta davvero uno degli studi più accurati sulla celebre opera della giovane Mary Shelley, scrive Paolo Lago su Il Lavoro culturale: “Fuoco e carne di Prometeo è costruito come un saggio dall’impianto narrativo e racconta la storia del romanzo invitando continuamente il lettore a una riflessione di ampio respiro sulle problematiche psicologiche e sociali sollevate dal libro e abbracciando con lo sguardo diversi aspetti della società del tempo”.
Insomma, una lettura imprescindibile per tutti coloro che desiderano cogliere la portata di quel romanzo dell’orrore che narra una “storia straordinaria e orrida su un uomo che pretende di creare la vita”, uscito, in sordina, a Londra nel 1818 e che, come abbiamo visto, ha saputo generare così tante riletture lungo questi duecento anni.

 




Marco Ciardi, Pier Luigi Gaspa
Frankenstein. Il mito tra scienza e immaginario

Carocci editore, Roma, 2018
pp. 200


Franco Pezzini
Fuoco e carne di Prometeo. Incubi, galvanisti e Paradisi perduti nel Frankenstein di Mary Shelley
Odoya edizioni, Bologna, 2017
pp. 400

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