“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 27 December 2017 00:00

Nessuno si Illuda!

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La suggestiva Chiesa trecentesca del Museo Diocesano di Santa Maria Donnaregina Vecchia a Napoli è il teatro della messa in scena di The Minister’s Black Veil di Romeo Castellucci. Il pubblico diventa l’assemblea dei fedeli che prende posto sulle panche e a cui vengono forniti dei breviari della celebrazione in inglese con testo a fronte in italiano. Il palcoscenico è il transetto semicircolare con un ambone posizionato centralmente. Nulla manca a questo rito cattolico: il suono dell’organo, i canti Ave Regina, Alleluia e altri in latino, con bellissime voci mescolate tra il pubblico che tratteggiano l’atmosfera mistica, preparando l’ingresso del Ministro di culto che, entrando dalla porta della navata centrale alle spalle dell’assemblea, incede ieratico nella sua tonaca nera con il viso coperto da un rettangolo di stoffa dello stesso colore. Nonostante ciò sono riconoscibili i tratti spigolosi e la fisionomia nota di Willem Dafoe nel ruolo di un pastore cattolico che intratterrà il suo gregge in un’omelia che non è moralistica, ma pura esegesi biblica.

“Let no man deceive himself”. Nessuno si illuda. Ripete più volte il prete nel suo salmo iniziale con un tono stanco, sembrerebbe monotono, probabilmente disilluso. Per nulla un monito, ma quasi un oscuro avvertimento che egli pronuncia senza enfasi, come consumato da una riflessione che lo ha portato ad una epifania, una rivelazione. Chi è questo strano prete?
È il protagonista di una novella del 1832 di Nathaniel Hawthorne che ha ispirato il regista Romeo Castellucci a farne un’opera scenica con il testo della sorella Claudia Castellucci con cui fondò negli anni ’80 la Societas Raffaello Sanzio. La novella era ambientata in un New England puritano, dove la piccola comunità di Mildford ruotava attorno alla chiesa del reverendo Hooper e che fu scossa nel profondo quando un giorno, senza che nulla lo facesse presagire, il pastore si presentò alla cerimonia domenicale con il viso coperto da un velo nero che non avrebbe tolto mai più, nemmeno in punto di morte. Trentenne, dal temperamento malinconico, riflessivo, sempre misurato, non rivelò mai il motivo della sua scelta, del suo voto come disse anche alla sua promessa sposa che invano ne cercava le scelte e che lo rifiuterà. Le chiacchiere, i dubbi, i pettegolezzi maligni della piccola comunità non scalfiranno la quotidianità di Hooper, ma lo incupiranno al punto che quel velo nero davanti al suo viso sembrava davvero avesse scavato un diaframma potente tra lui e il mondo. Di contro, però, esso aveva fatto di lui un abile ecclesiastico, un uomo di fede autentica tenuto in gran considerazione ai livelli più alti dell’episcopato. Hawthorne è l’autore del più celebre romanzo La lettera scarlatta in cui la protagonista è un’adultera che è costretta dalla comunità puritana a portare sul vestito una lettera A di colore rosso scarlatto. Per l’autore americano la stoffa, l’abito, Fabric, è l’identità con cui ci mostriamo al mondo che non rivela ciò che realmente siamo o l’autenticità dei nostri pensieri, ma piuttosto li cela, come la maschera pirandelliana del secolo successivo.
L’omelia di Castellucci, quindi, ricostruisce ciò che manca nella novella, il lungo percorso teologico dello scontro tra fede e legge, tra essere e apparire, traslando la vicenda dal puritanesimo al cattolicesimo romano. Hooper prosegue citando passi di Isaia (44,18): “Una patina impedisce ai loro occhi di vedere e al loro cuore di capire”, la Prima Lettera di Paolo ai Corinzi (13,12) sulla conoscenza imperfetta di se stessi come allo specchio: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anche io sono conosciuto”. Il suo discorso è centrato sulla Fede, che riconosce chiara solo nell’inconoscibile, che non si incarna in un’immagine, in un’icona come il volto, ma si trova nel non svelato, in The Black Veil. Altro passo decisivo è quando il reverendo, sempre nella sua quasi impassibilità, si riferisce a San Tommaso che ebbe bisogno di toccare, di vedere, per credere, mentre lui non vuole che si debba seguire questo esempio: “Proprio perché tu non sei più persona (Gesù), tu non sei un’illusione. La verità è esattamente l’opposto”. La verità è Faith, fede, non la Legge divina, morale che chiede un’obbedienza formale. L’esperienza di padre Hooper, ancora misteriosa per buona parte dell’omelia, è stata fatta al buio, quel buio metaforico allegorico che porta all’obbedienza, alla luce vi sono solo accidia e ignavia. Pochi sono i movimenti scenici, il monologo ha delle pause brevi, talvolta il Ministro lascia l’ambone per poggiarsi sull’altare dietro di lui o per percorrere la navata centrale volgendo il suo volto coperto agli astanti mentre continua la sua omelia. La stessa tonalità lo accompagna anche nel racconto della notte in cui avvenne qualcosa che lo turbò al punto di decidersi di occultare il proprio volto. La narrazione non ha un andamento tipicamente favolistico o la puntualità della lettura esegetica dottrinale, ma fluisce come un racconto di un fatto accaduto ad un altro da sé.
Una voce di un insetto, di un volatile, una notte sussurra a Hooper qualcosa, gli mette una chiave in tasca, mentre lui, al calare del buio della notte, dopo cena, vedeva gli oggetti sempre più distanti, come in un sogno, come se li vedesse per la prima volta. Fright. Spavento, paura. “La Chiesa è il luogo del nostro spavento”. Nel buio Hooper ha la rivelazione della sua e della nostra imperfezione, della nostra incapacità di vedere. Dal Vangelo di Matteo, l’episodio della Trasfigurazione di Cristo diventa cardinale e conclusivo del suo ragionamento: “Fear is good. Light is absurd”. La paura è buona, la luce è assurda. “È più sincero il buio della luce che non rimane. Lo scherzo che fa la luce si chiama Morte”. Nel passo evangelico Pietro, Giovanni e Giacomo andarono sul monte Tabor con Gesù e il suo corpo si trasfigurò in luce. Apparvero Mosè ed Elia che conversarono con lui. Pietro non colse l’evento sovrannaturale, ma pensò fosse bello restare lì tutti insieme, quando una nube luminosa li avvolse e una voce proclamò Gesù il figlio prediletto. Pietro e gli altri furono presi da grande timore (Matteo 17, 1-8). Ecco, il timore di chi vede la luce divina, la Verità, è lo stesso timore di padre Hooper che definisce il limite umano e la continua ricerca del divino. Il breviario della messa si chiude riprendendo le parole di Pietro: “È bello stare qui. Stare qui. Qui. Qui. Amen”, pronunciate dal Ministro che lascia l’ambone, prendendo la chiave dalla tasca e facendola cadere a terra, mentre, sempre misurato, abbandona la chiesa per uscire dalla vista dei fedeli.
Mettendo da parte l’interpretazione di Willem Dafoe senza sbavature, intensa nella (forse) sua scelta di essere monocorde, ci si chiede se questo testo senza di lui possa sopravvivere, quanta presa possa avere un dibattito tutto interiore sulla fede che risulta datato, alla fine del tutto piatto. “Nessuno si illuda”.
Castellucci rimette in scena questo testo che ha debuttato nel 2016 ad Anversa; per l’Italia è in prima nazionale all’interno di Quartieri di Vita, sezione invernale del Napoli Teatro Festival diretto da Ruggero Cappuccio. Nulla di esclusivo come vorrebbe un festival teatrale che si rispetti per definizione, nessuna ricaduta sulla città tranne che per qualche mezza pagina sui quotidiani, un evento di nicchia per i soli appassionati.
“Nessuno si illuda”. Nessuno si illude, Mister Hooper.

 

 




Quartieri di Vita
The Minister’s Black Veil
liberamente ispirato alla parabola di Nathaniel Hawthorne
regia Romeo Castellucci
con Willem Dafoe
testo Claudia Castellucci
traduzione Brent Waterhouse
musiche Scott Gibbons
collaborazione artistica Silvia Costa
tecnico del suono Nicola Ratti
foto di scena Guido Mencari
foto di Romeo Castellucci Slava Filippov
produzione deSingel art campus, Antwerpen, Societas/Cesena
in collaborazione con Aldo Grompone
lingua inglese
durata 50'
Napoli, Museo Diocesano di Santa Maria Donnaregina Vecchia, 21 dicembre 2017
in scena dal 20 al 22 dicembre 2017

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