“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 14 November 2017 00:00

Quadri di scuola

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Il sipario aperto lascia vedere banchi e sedie accatastate, addossate a due muri grigi posti ai lati, mentre al centro una cattedra vuota fronteggia quasi incombente gli spettatori seduti. Sembra una sorta di scantinato o deposito di una scuola, illuminato tristemente dall’alto da due file parallele di neon: siamo nell’aula di ricevimento di una scuola in una banlieue di Tolosa, Les Izards, e l’audio di fondo manda rumori e voci di ragazzi. Cala il buio sul palcoscenico e parte il suono della campanella, segnale inequivocabile per generazioni e generazioni di studenti.

Con il ritorno della luce, infatti, appare seduto dietro la cattedra Fabrizio Bentivoglio nella veste del professor Ardeche, la testa poggiata su un pugno, addormentato, che si sveglia all’improvviso e comincia a descrivere la struttura della scuola, orrida, tutta di plastica e grigia, dove le uniche cose colorate e di legno sono la cattedra e la lavagna; una grande scatola tutta uguale, dovunque luci di neon, precisa il professore, lo spazio dove da anni si trova a passare la vita con i ragazzi... “io e loro... loro e io”.
Dal quadro generale della scuola si passa a quello dell’aula, della classe: il professore racconta i soprannomi che attribuisce ai suoi alunni, sfoderando un repertorio fisso di ‘tipi’ che immancabilmente si ripresentano ogni anno in ogni classe: quello un po’ malaticcio e sempre vestito in modo pesante, “raffreddore”; “l’invisibile”, che siede in posti dove scompare, dove riesce a non farsi notare e essere dimenticato appunto, proprio come se non ci fosse; ancora, “primobanco”, “fuggitivo”, il “boss” – con il rispettivo “bodyguard” – il “falsario” o il “rassegnato”, il “missionario”, il “cartone animato”, “l’adulto”. Tra tutti, forse il più bello di questa galleria di ritratti, c’è il “panorama”, seduto accanto alla finestra in modo da poter guardare fuori, contrapposto al “fuggitivo” che si siede in prossimità della porta sempre pronto ad evadere: il panorama invece accetta la condizione in cui si trova, recluso nell’aula, inafferrabile perché è già sempre fuori con lo sguardo e il pensiero, “occhi come due finestre”, è già sempre altrove, “impossibile tenerlo in pugno”. Ruoli sempre uguali per classi sempre diverse, e la stessa speranza ogni anno, lo stesso obiettivo immancabilmente sfuggito di non perdere nessun ragazzo, e la consapevolezza invece che ci sarà sempre qualcuno che si perderà, “chi sarà quest’anno?”.
Il testo uscito dalla penna di Stefano Massini, a partire dalla figura e dalle parole del professore di lettere, amante di Rabelais e Voltaire, forbito quanto ironico, fino al cinismo, porta in scena il mondo della scuola visto soprattutto attraverso gli adulti: sono loro a descrivere i ragazzi o a sfilare in scena in quell’ora di ricevimento del professore, attraverso brevi quadretti di piccole mostruosità quotidiane. Assistiamo all’incontro/scontro tra famiglie di diverse etnie e convinzioni religiose, ciascuna con il suo carico e le sue pretese assurde, se non maligne, dal rifiuto di pagare i danni causati dalle ‘prodezze’ del figlio a scuola, alle esigenze religiose o classiste avanzate ai maestri, fino alle offese dirette al professore, quando non si tratti di minacce vere e proprie. I giovani sono sullo sfondo, sono l’oggetto assente del discorso. Anche nella gita di fine anno, a dominare sono le richieste, le paure, i divieti dei genitori imposti al professore, che per trovare una soluzione accetterà di non far mangiare altro ai ragazzi che una triste insalata, che tuttavia lo porterà comunque suo malgrado a essere denunciato e sospeso.
Il dramma in questo modo sembra mostrare l’assurdità non solo dell’istituzione scolastica ma di tutta la società che ne fa parte, per cui si può essere responsabili e si viene puniti per motivi assolutamente lontani dai bisogni e dalla realtà dei ragazzi, che rimangono appunto sempre sullo sfondo. E infatti solo verso il finale, in una scena in cui non si comprende se sia realtà o sogno, finalmente si mostra sul palcoscenico “l’invisibile”, con una grande accusa da rivolgere, in grado di ribaltare il punto di vista, la commedia cui abbiamo finora partecipato: “Prof... lei non mi vedeva... non mi ha mai cambiato posto... non mi ha visto”. E l’unica risposta del loquace professore di lettere stavolta sarà di rimanere senza parole, con la testa tra le mani.
Un dramma che muove il riso puntando sulla memoria comune della scuola, sulle diverse, contraddittorie immagini che quel mondo da sempre evoca, raccontate o vissute dal convincente personaggio del professore, che si sposa infallibilmente con le felici doti di Fabrizio Bentivoglio, il quale porta avanti lo spettacolo per due ore ininterrotte, spalleggiato da Francesco Bolo Rossini nel ruolo di un professore di matematica appena entrato nella scuola e da subito in crisi.
Ma la riflessione che affiora dal dramma, come lo sfondo, presente ma “invisibile” (perché non siamo stati in grado di vedere o fare in modo che si vedesse), è amara, e ancor più amaro il finale scelto dalla regia: gli sforzi di chi ama quei ragazzi, di chi cerca di prendersene cura nonostante la disillusione – anzi a maggior ragione – non riusciranno mai a evitare che qualcuno si perda, e l’epilogo suggerito in scena è tragico. Intanto, al risveglio dall’ennesimo sonno, la campanella annuncia che sta ricominciando un nuovo anno scolastico.

 

 

 

 

 

L’ora di ricevimento (banlieu)
di
Stefano Massini
regia Michele Placido
con Fabrizio Bentivoglio, Francesco Bolo Rossini, Giordano Agrusta, Arianna Ancarani, Carolina Balucani, Rabii Brahim, Vittoria Corallo, Andrea Iarlori, Balkissa Maiga, Giulia Zeetti, Marouane Zotti
scena Marco Rossi
luci Simone De Angelis
costumi Andrea Cavalletto
musiche originali Luca D’Alberto
voce cantante Federica Vincenti
produzione Teatro Stabile dell’Umbria
lingua italiano
durata 2h
Napoli, Teatro Bellini, 8 Novembre 2017
in scena dal 7 al 12 Novembre) 2017

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