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Wednesday, 08 November 2017 00:00

Si fa presto a dire fantasy...

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Quando si parla di fantasy ci si riferisce ad un genere decisamente più eterogeneo e complesso di quanto si tende a pensare se non lo si frequenta con una certa assiduità e contemplando le sue molteplici, per non dire sterminate, sfaccettature. Ma quando si fa riferimento al fantasy, senza giraci troppo attorno, di cosa si sta parlando? “La fantascienza presuppone che sia presente una base scientifica o pseudo tale, o che ci sia un’estrapolazione da dati reali proiettata nel futuro. L’horror esige l’intervento del soprannaturale o comunque di un elemento estremamente perturbante quale ad esempio la personalità disturbata di un serial killer. Nella favola tutto è ammesso senza alcun bisogno di giustificazione [...].

L’horror ha come teatro il nostro mondo e così pure la fantascienza, anche se in questo caso il mondo è modificato dall’ambientazione futura o da un avvenimento parascientifico. La fiaba e il fantasy si muovono invece in mondi diversi, 'altri' rispetto al nostro (sebbene ne rappresentino spesso l’allegoria) ma tra loro c’è una differenza essenziale: nel fantasy non tutto è possibile, ma quello che accade deve essere giustificato da una legge interna del mondo descritto. Così ci sono interventi di esseri più o meno soprannaturali, trasformazioni magiche, uso di incantesimi e pozioni e via dicendo, ma solo perché queste sono coerenti con l’ambientazione immaginata”. Così, con estrema sintesi e chiarezza, l'Introduzione al volume in uscita Guida al cinema fantasy (Odoya 2017) curato da Walter Catalano, Andrea Lazzaretti e Gian Filippo Pizzo, identifica il fantasy rispetto ad altri generi.
Il libro edito da Odoya, strutturato in due parti, si occupa del cinema fantasy: nella prima parte, secondo un ordine cronologico, vengono passati in rassegna i film a partire da quelli che possono essere considerati precursori del genere, magari anche solo per alcuni elementi, dunque le produzioni del periodo d'oro del fantasy, coincidente con gli ultimi due decenni del millennio scorso, infine le realizzazioni del nuovo millennio. Nella seconda parte il volume si occupa della produzione televisiva, del mondo dei giochi e delle produzioni di confine sospese tra il fantasy e altri generi.
Di fantasy si occupa anche il volume di Alessandro Dal Lago, Eroi e mostri. Il fantasy come macchina mitologica (2017) edito da Il Mulino. In questo testo il sociologo sottopone ad analisi critica la lettura che autori come John Ronald Reuel Tolkien, Clive Staples Lewis, Charles Williams, Owen Barfield e altri hanno operato della “tradizione medievale” che oggi è filtrata nel fantasy con l'ambizione di suggerire “la possibilità di un'altra versione delle mitologie che oggi spopolano nella popular culture. Di mostrare, insomma, un altro volto di eroi e mostri, contribuendo [...] a una decostruzione delle mitologie morali diffuse nel fantasy (e non solo)”. Per quanto riguarda il discorso sull'anormalità, dunque sui mostri, Dal Lago riprende soprattutto le riflessioni di Michel Foucault, contenute in Les anormaux (1999), e di Georg Simmel, in particolare facendo riferimento alla sua critica della morale kantiana, del fanatismo, espressa in Einleitung in die Moralwissenschaft Eine Kritik der ethischen Grundbegriffe (1895-1896).
Tratteggiando i punti fermi del genere affrontato, Dal Lago sostiene che questo ha a che fare solo marginalmente con la letteratura fantastica classica. “Questa modalità dell'immaginario può essere definita, a partire da Todorov [Introduction a la littérature fantastique, 1970], come irruzione del mistero o del misterioso nell'ordinario e coincide spesso con la letteratura del terrore e dell'orrore. Corrisponde perciò a una tendenza evidente in precursori come il Vathek di Beckford o Frankenstein o il Prometeo moderno di Mary Shelley, oltre che alla letteratura gotica in senso stretto e romantico-fantastica (Poe, Hoffmann, Mérimée, Maupassant, ecc.). I continuatori tardo-ottocenteschi e novecenteschi della letteratura fantastica − penso soprattutto a Bierce, Lovecraft e altri − hanno senz'altro influenzato il fantasy del nostro tempo, ma questo è definito soprattutto dal ricorso ad alcune caratteristiche che, con la parziale eccezione della dimensione magica, sono assenti o marginali nella letteratura fantastica classica”.
Nel tratteggiare gli elementi ricorrenti nel genere, lo studioso indica dunque la presenza dell'eroe e del mostro che, incarnando il male, tendenzialmente presenta un aspetto ripugnante. La proliferazione di tali mostri nella popular culture può, secondo Dal Lago, facilmente essere interpretata come la rappresentazione di “pulsioni di massa, ovvero di inclinazioni latenti in una cultura che si vorrebbe razionalistica e positiva”. Caratteristica del fantasy è anche la presenza di tesori o oggetti preziosi attorno ai quali si dipana il conflitto tra eroi e mostri e che, non di rado, conferiscono poteri particolari a chi ne viene in possesso. La presenza di tali oggetti miracolosi non può che rinviare alla magia, altro elemento tipico del genere, che spesso permette all'eroe o al malvagio di trasformarsi assumendo altre sembianze. Anche il viaggio, inteso come ricerca, rappresenta un ingrediente importante per il genere e nelle sue realizzazioni contemporanee, suggerisce Dal Lago, questo assume le forme di un continuo spostarsi tra Aldilà e Aldiquà.
Altro “aspetto tipico del fantasy d'oggi è la dinamica morale” e se, come sostiene lo studioso, “le macchine mitologiche prevalenti nella narrativa fantasy sono in fondo, anche se non esclusivamente, morali, il percorso che porta gli eroi a combattere e sconfiggere i mostri e i loro malvagi mandanti è in un certo senso obbligato. La giustizia trionferà e i malvagi saranno sconfitti”. Scrive Dal Lago che nel fantasy, salvo rare eccezioni, “il mostro rappresenta le possibili personificazioni del male che l'eroe deve affrontare, per vocazione o per necessità, combattendole in primo luogo in se stesso. In questo senso gli eroi sono i protagonisti di avventure al tempo stesso fantastiche, perché avvengono in dimensioni immaginarie, e morali. Questo sembra evidente non solo nella letteratura fantasy in senso stretto, ma anche nei noti personaggi del fumetto e del cinema, dai precursori Superman e Batman ai supereroi della Marvel (l'Uomo Ragno, Capitan America, X-Men, i Fantastici Quattro ecc.). Si tratta, in questo caso, di potenti dotati di poteri eccezionali [...] che combattono certamente il male ma sono spesso soggetti a hybris o deviazioni dalla loro missione”. Tale tipo di racconti presuppone che la storia termini con il ristabilimento dell'ordine imposto dal trionfo della giustizia. “Le macchine mitologiche contemporanee [...] sono dunque, nel loro funzionamento e negli effetti di lettura che producono, macchine essenzialmente morali”.
Dunque, Dal Lago indica con macchine mitologico-formali quei copioni che nel fantasy svolgono la funzione di mettere in scena il conflitto tra bene e male che conduce solitamente alla vittoria degli eroi sui mostri e a riaffermare la superiorità dei mondi fantastici (ove le cose sono in fin dei conti chiare circa il bene, vittorioso, ed il male, sconfitto) su quello reale (in cui invece tutto risulta decisamente ambiguo e ingiusto). La macchina mitologico-morale del fantasy, continua lo studioso, mira ad offrire modelli positivi di azione e lo fa attraverso la figura dell'eroe. Da un certo punto di vista il fantasy, nel ricorrere a dispositivi morali, che secondo lo studioso risultano estremamente semplificati, palesa il suo distacco dai canoni della modernità: nel fantasy, “grazie ai mostri o comunque alle personificazioni del male, l'ambiguità non ha spazio. Tutto è chiaro o scuro, luce o ombra, bene o male [...]. Naturalmente non è il caso di generalizzare. Ma è indiscutibile che, laddove entrano in scena i mostri della fantasia, la morale è tutto tranne che ambigua”.
A questo punto, però, occorre prendere in considerazione anche una lettura del fantasy decisamente diversa da quella proposta da Dal Lago. In Difendere la Terra di Mezzo. Scritti su J.R.R. Tolkien (Odoya, 2013) Wu Ming 4 affronta il mondo di Tolkien con l'intenzione di liberare il campo da una serie di vecchi pregiudizi che, sostiene lo studioso, soprattutto in Italia, hanno finito per semplificare e travisare l'opera dello scrittore. Non a caso la lettura proposta da Dal Lago viene apertamente contestata da Wu Ming 4 nella sua recensione di Eroi e mostri pubblicata sul sito dell'Associazione italiana d studi tolkieniani (13/07/2017). Al sociologo viene imputata una lettura del mondo di Tolkien, in particolare, e del fantasy, in generale, eccessivamente semplificata nello scorgere in esso quasi esclusivamente una via di fuga in un mondo depurato da quella complessità morale che caratterizza la realtà. In particolare Wu Ming 4 rimanda alle analisi della complessità presente nei testi di Tolkien effettuate da studiosi come Tom Shippey, Verlyn Flieger, Brian Rosebury, W.H. Green, Christopher Garbowsky, Matthew Dickerson, Patrick Curry e Janet Brennan Croft.
Secondo Dal Lago il fantasy tende in buona parte ad offrire un messaggio antimoderno in cui allo sviluppo culturale caratterizzato dalla pluralità, dalla differenziazione, dal relativismo cognitivo e dalla complessità morale, contrappone una semplificazione indirizzata ad un'univocità dei modelli culturali e delle loro rappresentazioni. Dal Lago esplicita come la sua analisi sia eseguita con gli occhi di chi intende parteggiare per una letteratura che si pronunci per la complessità morale del mondo evitando l'opposizione manichea tra il bene e il male incarnata in personaggi monolitici. Contrariamente a Dal Lago, Wu Ming 4 insiste invece su come diversi personaggi non siano affatto privi di complessità e contesta al sociologo il suo ritenere univoca la rappresentazione del male e come questa non lasci spazio a considerazioni circa le motivazioni o i punti di vista dei malvagi. Secondo Wu Ming 4 nell'opera di Tolkien esiste invece “un’ampia gamma di sfumature dell’insinuarsi del male nell’animo umano e delle motivazioni che lo determinano”.
Dal Lago insiste nell'indicare come l'universo narrativo degli Inklings risulti caratterizzato da una strategia antimoderna consistente “nell'estrarre dalla mitologia nordica gli aspetti sotto ogni punto di vista più edificanti, emarginando quelli più inquietanti o barbarici. Tolkien in particolare ha attinto a piene mani al patrimonio mitologico e folclorico del nord, di cui aveva una conoscenza di primissima mano [...]. Ciò nonostante, rispetto alle fonti, la mitologia di Tolkien è casta e rassicurante”. Anche in questo caso Wu Ming 4 contesta quanto sostenuto dal sociologo circa la ripulitura delle fonti mitologiche medievali operata da autori come Tolkien al fine di offrire al lettore un quadro edulcorato e semplificato del medioevo, della letteratura e della mitologia.
Facendo riferimento in particolare a Il Signore degli Anelli, Dal Lago parla di “regressione letteraria; come se tutto quello che è stato scritto dalla metà dell'Ottocento in poi non avesse più alcun significato [...]. Né gli abissi della società industriale, né i conflitti di ceto e di classe, né le complicazioni della psiche, né l'ambivalenza delle motivazioni umane trovano posto in questo radicale rifiuto della realtà”. Nuovamente Wu Ming 4 si contrappone alla lettura proposta dal sociologo e lo fa ricordando come la lettura degli Inklings come compagine o movimento letterario schierato in antitesi al modernismo sia ormai decisamente superata dall'idea che “quello tra Inklings e modernisti fosse un dialogo a distanza, che aveva una base comune: il riuso del mito. Solo che i modernisti usavano il mito con ironia, con riferimenti espliciti, collegandolo al passato perduto, mentre gli Inklings lo usavano direttamente, perché credevano che la mitopoiesi fosse una caratteristica fondante della condizione umana”.
Per dare un'idea di come, secondo Wu Ming 4, i personaggi tolkieniani non solo siano più complessi di qual che pare ma anche di come, in qualche modo, abbiano qualcosa a che fare con noi oggi, vale la pena riportare un ampio stralicio di un'intervista rilasciata a Salvatore Marco Ponzio − Difendere la Terra di Mezzo,  01/07/2014 − per Il lavoro culturale. Circa la possibilità per il lettore contemporaneo di riconoscere la sua condizione post-moderna in quella incarnata dai personaggi della Terra di Mezzo secondo Wu Ming 4 “l’assonanza con certa riflessione sulla condizione post-moderna forse si può riscontrare nel fatto che la scelta etica, per i personaggi tolkieniani, è sempre una scelta solitaria e soggettiva. Il Creatore è ormai lontano dal mondo; anche le sub-divinità lo hanno lasciato; i saggi fungono tutt’al più da consiglieri, ma non danno ordini circa ciò che deve essere fatto. Gli Elfi sono ambigui, non dicono né sì né no, ci viene fatto notare nel Signore degli Anelli. Lo stesso angelo custode Gandalf sparisce o viene a mancare spesso sul più bello, quando i personaggi devono prendere decisioni determinanti. Aragorn diventa un leader solo attraverso un lungo percorso di maturazione, costellato di incertezze e scelte contraddittorie. Gli Hobbit – Bilbo, Frodo, e Sam – scelgono in solitudine la cosa giusta da fare. E non si tratta di una scelta razionale, ma al contrario, si tratta spesso della scelta più illogica e assurda. Il buon senso hobbit di cui ci parla Tolkien non è quello che si accomoda sull’idem sentire dell’uomo medio, o sulla saggezza intesa come moderazione, ma qualcosa che spinge i personaggi ad andare nella direzione opposta e perdere la propria 'rispettabilità'. Coloro che compiono le scelte davvero cruciali, nelle storie di Tolkien, sono quelli che dimostrano il 'valore senza gloria', cioè che tradiscono la rappresentazione di sé socialmente condivisa. Dunque non c’è un’autorità morale, né una visione o senso comune a cui appellarsi. Sotto questo aspetto siamo lontani dal mondo antico, medievale e moderno: siamo in piena post-modernità. [...]. Per questo non credo che esista un grande scarto tra noi e gli Hobbit, soprattutto se prescindiamo dalle letture confessionali e facciamo invece nostre le parole di Tolkien, per il quale 'gli Hobbit non sono una visione utopica, e non vengono nemmeno raccomandati come l’ideale nella loro epoca o in altre. Essi, come tutti i popoli e le loro caratteristiche, sono un accidente storico […] e anche temporaneo, alla lunga'. Resta il fatto che l’assenza di riferimenti etici esterni non esime dalla scelta. In base a quale metro di misura, a quale parametro etico scegliamo? Questo è il punto. A me pare evidente che per gli eroi di Tolkien la risposta consista nel restare affezionati (non scelgo a caso questa parola) a una visione umanistica, che è in certa misura trans-storica e collega tra loro le epoche: antichità pagana, medioevo cristiano e modernità post-cristiana. È l’ipotesi che gli esseri umani, e ancora più in generale gli esseri viventi, possano riconoscersi a partire dalla condizione comune, dal comune destino, e coltivare la carità. Una virtù, questa, che si afferma anche a prescindere dalla fede e con la sola 'speranza senza garanzie' che Tolkien stesso attribuisce ai propri eroi. L’alternativa è l’individualismo, il darwinismo sociale, homo homini lupus, o piuttosto mors tua vita mea, sopraffazione dei forti sui deboli e cancellazione delle differenze, della biodiversità. In altre parole, il dominio di Sauron. Questo fu il tema dominante dell’epoca che Tolkien visse in prima persona, il pieno Novecento, le Guerre mondiali, la nascita dei cosiddetti regimi totalitari, ecc. Eppure è altrettanto attuale e declinabile in questo principio di XXI secolo, nel passaggio storico che sancisce formalmente il divorzio tra capitalismo e democrazia e che quindi, di fatto, ripropone scenari non così dissimili. Insomma, gli eroi di Tolkien potrebbero dirci che se dopo la dissoluzione delle grandi aspirazioni moderne siamo consapevoli che il paradiso in terra non è realizzabile, sappiamo anche che l’inferno è dietro ogni angolo e va combattuto. Perché cedere alla rassegnazione, alla disperazione – come direbbe Gandalf – o al nichilismo, magari per ritirarsi nella propria privata Contea, ci condannerebbe a un’esistenza meschina e nevrotica. Perché finché Sauron minaccerà il resto della Terra di Mezzo, vivere in pace nella Contea sarà soltanto un’illusione temporanea. Nell’altro caso forse potremo essere ancora sconfitti – poiché la storia, si sa, è piuttosto parca di soddisfazioni – ma non sottomessi. E solo chi non si lascia sottomettere può tenere aperto un margine di salvezza e di felicità personale e collettiva. È questa prospettiva che ci porta a cercare ancora testardamente la via 'giusta' anziché imboccare quella facile”.
Altri spunti interessanti d'analisi sul fantasy sono offerti da Franco Pezzini nel suo articolo Fantasy. Saghe e miti in un futuro senza sogni (11/05/2016, Avvenire). Qui ad essere indagate sono le distopie messe in scena da serie romanzesche come The Hunger Games (dal 2008) di Suzanne Collins; Divergent (dal 2011) di Veronica Roth; Legend (dal 2011) di Marie Lu; Maze Runner Series (dal 2009) di James Dashner; The Giver (dal 1993) di Lois Lowry; Delirium Trilogy (dal 2011) di Lauren Oliver; Matched (dal 2010) di Allyson Braithwaite Condie e via dicendo. Si tratta di saghe passate dal romanzo alla trasposizione cinematografica e al gaming che hanno ottenuto notevole successo soprattutto tra gli adolescenti e che Pezzini analizza ponendo l'accento proprio sulla chiave iniziatica, sul rito di passaggio, che, nemmeno troppo sottotraccia, è uno dei tratti principali di queste storie in sé assai schematiche. “Se un po’ tutte le distopie trattano, sotto sotto, soprattutto di presente, ciò è ancora più marcato in tali trascrizioni di riti di passaggio: il 'futuro' narrato è il diventare adulti oggi, in un presente di competizioni sempre meno umane, di crisi che 'giustifica' i peggiori trattamenti paludandoli con etichette d’efficienza, di mancanza diffusa di spinte per sognare davvero un futuro e anzi di categorie per dirlo. Quella che combatte gli Hunger games, i 'giochi della fame', è una generazione pragmatica e competitiva che bada a superare il test oggi, vive nel presente per incassarlo, ma ha sempre meno sogni. E a questo punto il successo di simili saghe può anche rappresentare un’opportunità, una sfida. Nessun romanzo sostituisce il ruolo di chi è chiamato a formare i ragazzi: ma proprio la lingua franca di storie popolari può offrire occasione, se riusciamo a coglierla, per riparlare con loro di cose fondamentali. Per riaprire un discorso anche critico sul futuro, complice il linguaggio del mito, con coloro che il futuro saranno chiamati a vivere. La grande partita nell’oggi è il recupero (per loro, anche per noi) della categoria futuro. Quella dei 'giochi della fame' è una fame di futuro, in ogni senso possibile”.
In sostanza il discorso sul fantasy riguarda il mito, l'uso che si fa di esso e il suo porsi come spiegazione della realtà in termini simbolici anziché razionali. Certo si possono incontrare miti più o meno positivi ma resta il fatto che al mito ricorrono costantemente i bambini e gli adolescenti e pure gli adulti a ben guardare. Si tratta dunque di avere consapevolezza tanto dei limiti quanto delle potenzialità offerte dal ricorso al mito.Insomma, si fa presto a dire fantasy... ma risulta difficile, forse improprio, pretendere di schematizzare un genere che mostra invece una complessità davvero tutta da indagare.

 





Walter Catalano, Andrea Lazzaretti, Gian Filippo Pizzo
Guida al cinema fantasy
Odoya, Bologna, 2017
pp. 335

Alessandro Dal Lago
Eroi e mostri. Il fantasy come macchina mitologica

Il Mulino, Bologna, 2017
pp. 200

Wu Ming 4
Difendere la Terra di Mezzo. Scritti su J.R.R. Tolkien
Odoya, Bologna, 2013
pp. 288

Wu Ming 4 intervistato da Salvatore Marco Ponzio
Difendere la Terra di Mezzo
(Il lavoro culturale, 1° luglio 2014)

Wu Ming 4
I mostri, gli eroi e i critici
Note sul saggio di A. Dal Lago "Eroi e mostri −Il fantasy come macchina mitologica
(AIST − Associazione italiana d studi tolkieniani, 13 luglio 2017)

Franco Pezzini
Fantasy. Saghe e miti in un futuro senza sogni (Avvenire, 11 maggio 2016)

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