Parodo. La città puzza di alcool e vomito, dopo mezzanotte. Le strade di basalto, illuminate dai deboli lampioni giallastri, per il giallastro tufaceo, trattengono un umido fastidioso, fino all'alba. Ogni cosa ha il sapore del silenzio che desiderebbe essere accarezzato; ogni cosa ha il sapore di presenze dissolte velocemente in uno starnuto. Le solite auto, appannate, sono nascoste; le solite risate, ovattate, sono luride; le solite stelle, spente, sono lontane; le solite infinità, cercate, sono private. Anche il vento è il solito.
Che soffia, soffia sulla fierezza della dittrichia viscosa germogliata dall'asfalto. La speranza raucamente annuncia la promessa della sua impiccagione. E tutti gli uomini solitari, dispersi per le strade, ubriachi di se stessi, a quest'ora tendono l'un l'altro le proprie mani, impauriti di tanta esclusione. Questa è la morte per esclusione.
Esodo. Con dolore e con contentezza tutto è valido e nullo a un tempo. Rabbioso per la felicità altrui, pugnali la fantasia mettedola all'angolo. Dalla virgola tra soggetto e verbo, dalla pagina riempita di cazzate, dal chiacchiericcio al profumo di caffè nel bar del centro, all'esaltazione orgasmica dell'idiozia truccata di mascara, per una vita che traveste la sua inutilità con una recensione. Cara musa della critica: la finzione fa arte.