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Thursday, 03 August 2017 00:00

"Naufragi": storie dell'Italia a picco

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Nell'Introduzione al volume Naufragi. Storie d'Italia sul fondo del mare (Il Saggiatore, 2017) scrive Marco Cuzzi, docente di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Milano, che per raccontare una tragedia accaduta in mare vi sono sostanzialmente due modi. Il primo è quello del racconto da bar di qualche marinaio che narra ai presenti “di morti, di disgrazie, di naufragi. E di maledizioni. Di maledizioni e avvenimenti mai ascoltati. Perché per lui, ogni tragedia accaduta in mare ha un'origine soprannaturale” (p. 9). Il secondo si basa invece sui resoconti, sulle inchieste e sulle memorie.

In questo caso si tratta di un modo di affrontare gli incidenti in mare “che fa risalire ogni disastro navale non a questo avvenimento o a quel messaggero di sventura, ma all'imperizia dell'uomo, alla sua fellonia, al suo cinismo e alla sua cupidigia” (p. 10). Probabilmente in ogni naufragio abbiamo un misto di fatalità e di colpe umane e le ricostruzioni possono oscillare tra la narrazione leggendaria e la ricostruzione puntuale e documentata dei fatti, ma attraverso gli undici racconti, scritti da altrettanti autori, che compongono Naufragi, è possibile ricavare anche una piccola rappresentazione, per quanto parziale, della storia recente dell'Italia e delle sue contraddizioni. Il periodo coperto dai racconti va dal 1912 al 2012, sostanzialmente si tratta di un secolo, un secolo attraversato da sogni e da guerre, da necessità e da affari, da eroismi e da sbruffonerie finite in tragedia. Un secolo di contraddizioni raccontate attraverso tragici naufragi reali che, però, sono anche naufragi simbolici di un Paese e della sua gente.
Claudio Bossi – 15 aprile 1912, gli italiani del Titanic – racconta la vicenda dell'inaffondabile transatlantico, così amava indicarlo la stampa, attraverso la storia di due freschi sposi in attesa di un figlio, salpati alla volta dell’America a bordo del Titanic con un biglietto di seconda classe e separati per sempre nel buio di quella maledetta notte in cui la nave e la musica sembravano voler procedere avanti tutta convinti dell'inaffondabilità della nave e di un'epoca. Quel 15 aprile 1912 il ghiaccio si rivelò di diverso avviso e insieme ai sogni si persero le vite di tanti passeggeri, soprattutto di terza classe, perché anche la morte, per scelte umane e non del fato, sappiamo, può essere dirottata.
Pietro Spirito, nel suo scritto – 13 agosto 1914, Baron Gautsch – narra delcomandante Paul Winter e dei passeggeri del battello Baron Gautsch affondato dallo scoppio di una mina alle porte del molo di San Carlo di Trieste ed al contempo alle porte di quella grande carneficina che passerà alla storia come Grande Guerra. “Un'immagine rimbalza nella fantasia della gente assieme alla notizia del disastro. È la visione di un 'immane gorgo', come lo definiranno i giornali, un vortice oscuro che inghiotte qualsiasi cosa, la nave e gli uomini. Un'immagine romanzesca, alla Jules Verne, il cui significato, oggi lo sappiamo, va al di là di un facile riferimento letterario” (p. 40). L'inchiesta, avviata dalle autorità austriache, quando l'Impero, e con esso un'intera epoca, ancora rifiutavano di vedere la loro inesorabile agonia, e terminata dalla magistratura italiana, dopo la guerra, ipotizzerà un rischioso cambio di rotta, in un mare ormai minato in prossimità delle coste, effettuato per recuperare il ritardo accumulato sperando così di non pagare la penale prevista per i battelli di linea giunti a destinazione non in orario. Trecento vite saranno portate via dallo scorrere impietoso delle lancette dell'orologio e dalla follia di quel pasticcio putrefatto di carne umana, per usare le parole di Hugo Ball, chiamato Grande Guerra.
Il volume continua con Marco Cuzzi – 26 ottobre 1927, Principessa Mafalda – che scrive della tragica fine, determinata da un guasto meccanico, del piroscafo Principessa Mafalda in vista del Nuovo Mondo che ha provocato il decesso di almeno trecento persone secondo le autorità italiane dell'epoca, più di seicento secondo la stampa sudamericana.
Con lo scritto di Andrea Vento – 26 luglio 1956, Andrea Doria – si viene, invece, proiettati negli anni Cinquanta del Novecento, quando l'Italia, a differenza di altri Paesi industriali, testardamente intendeva ancora proseguire con la produzione dei grandi levrieri del mare per trasportare emigranti verso il Nuovo Mondo quando ormai, da almeno un decennio, i programmi legati al gigantismo delle navi da trasporto passeggeri erano stati abbandonati dagli altri Paesi. Vento ricostruisce la tragedia occorsa nello scontro tra l'immenso transatlantico diretto a New York e la motonave mercantile svedese Stockholm verso la mezzanotte del 26 luglio 1956 costato la vita ad una cinquantina di persone. “Con l'entrata in servizio dell'Andrea Doria, si celebrava la ricostruzione italiana del dopoguerra: l'ammiraglia doveva diventare il simbolo del miracolo italiano e dell'avvio del boom” (p. 85). Insieme al prestigioso levriero del mare, in quell'estate del 1956, sembrò inabissarsi anche il sogno italiano.
Sul volume Naufragi si avvicendano poi gli scritti di Marta Boggione – 5 giungo 1965, Luisa – che racconta la fine tra le fiamme della nave Luisa nel porto di Bandar Mashur; di Alberto Quarati – 9 aprile 1970, London Valour – che narra della tragica collisione della nave London Valour con gli scogli genovesi; di Alessandra Marzo Magno che, nel suo scritto – 11 settembre 1970, Acnil 130 – racconta del tornado che, oltre ad aver seminato morte e distruzione in terraferma, affondò nella laguna il motoscafo 130 dell'Azienda comunale veneziana del trasporti; di Gabriella Saba che – 11 gennaio 1977, Ángel – descrive l'inabissarsi del mercantile Ángel tra la Sardegna e le Baleari; di Valeria Palumbo – 14 gennaio 1984, Tito Campanella – che ricostruisce la scomparsa della Tito Campanella in balia di un mare forza otto; di Angelo Mastrandrea – 10 aprile 1991, Moby Prince – che narra del tragico scontro tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo nella rada del porto di Livorno costato la vita a centoquaranta esseri umani. Infine, il racconto di Giovanna Ghidetti – 13 gennaio 2012, Costa Concordia – ci introduce nel nuovo millennio, ricostruendo una vicenda destinata a restare a lungo nell'immaginario italiano e per certi versi davvero emblematica dei nostri giorni tra sbruffonerie di uomini piccoli piccoli, eventi mediatici e selfie dei turisti davanti al rottame della nave in acqua.
A proposito dei nostri giorni, parlando di naufragi non possono che venire alla mente le tragedie della più recente emigrazione che stavolta ha nelle coste italiane il punto di approdo. Scrive, a tal proposito, Marco Cuzzi nell'Introduzione: “Le morti in mare sui barconi dei migranti di oggi sono invece storie di povertà e disperazione che nulla hanno di epico. Bisognerebbe pure a quelle riservare uno spazio consono, sebbene in molti di questi racconti si parli (e come!) di emigrazione, ovvero si racconti di quando i disperati eravamo noi” (p. 11).

 



 

Marco Cuzzi (a cura di)
Naufragi. Storie d'Italia sul fondo del mare

Il Saggiatore, Milano, 2017
pp. 206

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