“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 31 March 2013 13:32

"Il realismo è l'impossibile" di Walter Siti

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“Il realismo, per come la vedo io, è l’anti-abitudine: è il leggero strappo, il particolare inaspettato, che apre uno squarcio nella nostra stereotipia mentale” e “sembra che ci lasci intravedere la cosa stessa, la realtà infinita, informe e impraticabile” (p. 8).
“‘Dettaglio’ è una parola-chiave per il realismo: fin che si tratta di mettere in scena storie emblematiche, o didascaliche, si può restare sulle generali” ma “quando si vuole che il lettore entri davvero dentro al racconto come se lo stesse vivendo personalmente, allora i dettagli devono essere precisi, niente deve stonare, lo scrittore deve diventare uno scenografo assai pignolo” (p. 43). Scrive così Walter Siti, in Il realismo è l'impossibile, e sembra di rileggere il (più volte citato) Vladimir Nabokov delle Lezioni di letteratura russa (“Ciò che dobbiamo notare non sono tanto le idee. In fondo dovremmo sempre ricordare che la letteratura non è una composizione di idee ma di immagini. Le idee non hanno molta importanza, se paragonate alle immagini di un libro e alla sua magia”, p. 198) o – ancora – delle Lezioni di letteratura (“Quando si legge bisogna cogliere e accarezzare i particolari. Non c’è niente di male nel chiarore lunare della generalizzazione, se viene dopo che si sono amorevolmente colte le solari inezie del libro”, p. 31).

Non hanno grande valore le imposizioni ideologiche, gli schematismi didattici, le chiarezze esplicative su un determinato tema, evento, situazione o condizione poiché la particolare grandezza effettiva di un’opera scritta è nei dettagli, ovvero in una serie di frammenti improvvisi e puntiformi che modificano l’andamento usuale di una storia con un immediato sussulto, mentre aggiungono alla nostra visione la loro unicità impreveduta: la conoscenza del mondo, da tutto questo, ne sortisce potenziata. Del dettaglio come particolare inaspettato, non stilizzato, addirittura non finalizzato allo sviluppo del plot, ne è piena la grande letteratura; esso non è utile, ma è pregno di senso:
“Il dettaglio non è mai insignificante per la semplice ragione che il contesto in cui è inserito è un contesto di semiosi illimitata, dove la mancanza di senso è la cosa più innaturale che ci sia. Ogni dettaglio è come un ordigno inesploso che esiste, beato lui, mentre l’autore non è affatto sicuro di esistere. Dietro il cinismo dello scenografo spunta la devozione-per-il-mondo di chi nel mondo non sa vivere – la simpatia dello scrittore realista per gli oggetti denuncia una mancanza d’essere che negli oggetti trova sollievo” (pp. 48-9).
Siti – in questo libro che si pone quasi in forma di lezione informale – delinea un confronto che sa di contrasto, ponendo – da un lato – la scheggiatura dirompente del “rozzo compromesso dei sensi” (lezione desunta da Nabokov) attraverso un dettaglio che lo mandi in frantumi (il segno della croce di Anna Karenina alla stazione; le misteriose traiettorie che Julien Sorel vede fare a un giovane vescovo; la confessione della principessa di Clèves ma anche “i piedoni poco puliti dei santi di Caravaggio, la sua Madonna gonfia, il burro spalmato sul pane da Carlotta quando Werther se ne innamora”, pp. 11-2) e – dall’altro – la consuetudine ossessiva delle convenzioni personali e la furbizia delle tecniche apprese (le cene, le liti, gli incontri, i ricordi d’infanzia, i colloqui di lavoro, gli inserti gergali, certi eventi topici, certi luoghi comuni) con cui – chi fa romanzo o racconto –  disimpara “a denudarsi e a mettersi in gioco ogni volta” (p. 79).
Il realismo di cui discorre Siti è un confronto-scontro continuo con il reale, perché la realtà è “poco credibile dal punto di vista dell’arte” (p. 25), e il pericolo di incorrere nel luogo comune, nell’abitudine, nel cliché è sempre presente: “il realismo declassa, in quanto invecchiato, il realismo precedente” (p. 41).
Come si intuisce dalla “poetica del dettaglio”, tale realismo poggia su una tecnica che lo scrittore a tratti descrive, seppur senza alcuna aspirazione normativa. Essa è finalizzata a “un inseguimento infinito a rappresentare zone sempre più nascoste e proibite della realtà, impiegando artifici sempre più sofisticati e illusionistici” (p. 22).
Il realismo, questo realismo, è impossibile perché è impossibile inseguire le infinite sfaccettature della realtà. Il realismo è una sfida persa in partenza. Il Siti romanziere la accetta, il suo fine è quello di trasgredire, rompere i codici, per raggiungere l’Assoluto (lo scrittore realista è “anche uno stolto demiurgo che cerca di mimare una Creazione che non conosce”, p. 59) o, meglio, per proporre un Assoluto come utopia, un tentativo di assolvere una realtà inaccettabile in cui l’uomo – la scimmia malvagia (l’arte è “sempre in bilico fra Dio e la sua scimmia” dice Gabriele Frasca ne La scimmia di Dio, p. 27) – è lasciato al suo arbitrio.
Siti tuttavia, nelle ultime pagine, mette alle strette il realismo; la sua è una volontà di “vendicarsi del principio di realtà” (p. 77), lui infatti parteggia per “l’irreale, la tracotanza e la distruzione” (ibid.), e allora viene il sospetto che con questo scritto ricerchi l’implosione della categoria di realismo tornata di moda negli ultimi anni. Il ‘realismo impossibile’ appare, dunque, la confessione di una volontà assassina, la volontà di abbattere la realtà nella finzione, e allora l’ultimo termine utilizzato, “sporgersi” (p. 79), puzza tanto di morte. Sporgersi dove? Dove allungare lo sguardo? Siti è ambiguo su questo punto, va per ossimori, non vuole dire tutto del realismo e della sua opera in quello che, oltre ad essere una lezione su tema, è anche un manifesto di poetica volutamente fallito.
Ora fermiamoci e torniamo indietro. Pagina 8:
“Realismo è quella postura verbale o iconica (talvolta casuale, talvolta ottenuta a forza di tecnica) che coglie impreparata la realtà, o ci coglie impreparati di fronte alla realtà” e che “la nostra enciclopedia percettiva non fa in tempo ad accorrere per normalizzare”.
E leggiamo quanto diceva, anni fa, Umberto Eco riferendosi a una mostra iperrealista:
“[…] il ‘crampo dell’iconismo’, l’attitudine ingenua per cui si prende come oggettivamente fedele tutto ciò che appare in qualche modo ‘riconoscibile’, è un’antica malattia della percezione.
E forse la difficoltà a riconoscere quanto le immagini possano mentire è la stessa che si prova a riconoscere le menzogne del Potere.
Difficile lacerare il Velo di Maya”.
(L’illusione realistica in Sugli specchi e altri saggi, p. 60).
Perché il realismo, Siti lo dice, è anche una tecnica di potere, e così inquadrare questa lezione come un sabotaggio, forse, non è tanto distante dal vero. O forse sì.

 

 

 

Walter Siti
Il realismo è l’impossibile
Nottetempo, Roma, 2013
pp. 81

 

Vladimir Nabokov
Lezioni di letteratura
traduzione a cura di Ettore Capriolo
Garzanti, Milano, 1982
pp. 450

 

Vladimir Nabokov
Lezioni di letteratura russa
traduzione a cura di Ettore Capriolo
Garzanti, Milano, 1987
pp. 371

 

Gabriele Frasca
La scimmia di Dio. L’emozione della guerra mediale
Costa & Nolan, Genova, 1996
pp. 288

 

Umberto Eco
Sugli specchi e altri saggi. Il segno, la rappresentazione, l’illusione, l’immagine
Bompiani, Milano, 2004
pp. 372

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