“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 05 June 2017 00:00

Trasumanar di passi e di poesia

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Dai libri di scuola alle strade della città, si risveglia la Commedia. Scartandosi un poco dalla lettura cui siamo abituati, con annessa parafrasi e lettura allegorica, i versi trovano sapore nuovo nei cori di settecento voci di cittadini – cittadini davvero, perché si ridiventa polis cantando Dante per le vie di Ravenna. Le Albe mettono in vita l’Inferno dantesco come evento intrinsecamente teatrale. È forse la sfida più grande dell’arte contemporanea: cantare un capolavoro della lingua, rivestire di immagini sceniche un capolavoro della letteratura, comporre un teatron, ossia una visione, la “mirabile visione” dantesca. Inferno 2017Purgatorio 2019Paradiso 2021. Facendosi carico di questa opera-mondo, selezionando e montando luoghi e figure, le Albe si propongono, con un progetto che si sviluppa nell’arco di oltre cinque anni, di riportare in vita una grandezza del passato facendola risuonare in un’esperienza presente, con la convinzione che il senso sia sempre futuro, a venire. Magari fra sette secoli ancora. Perché “c’è una verità più grande del vero” e non si può far altro che svuotarsi per raccoglierla, come profezia che è già da sempre nell’opera.

Il progetto delle Albe è il medesimo di Dante: trasumanar. Sulle orme delle sacre rappresentazioni medievali e del teatro rivoluzionario di massa di Majakovskij, la città diventa palcoscenico, i cittadini sono attori e spettatori, figuranti e professionisti, tutti nello stesso cerchio, accorsi ad una chiamata pubblica. Trasumanar significa andare oltre l’uomo, eppure la Commedia, anche e soprattutto la Commedia delle Albe, è umanissima. Dante è ogni uomo, l’Everyman di Ezra Pound. E Virgilio è incarnato da una coppia di custodi, che prendono per mano uno per uno, ciascun Dante, per metterlo “dentro le segrete cose”. Per condurlo alla felicità – vi è parola più comune o più ambiziosa? La creazione di bellezza è un atto sacro e, al contempo, politico. In uno scenario politico dilaniato dal degrado e dalla corruzione, oggi come sette secoli fa, cercare di essere una comunità, di abitare questa terra, di farci luogo, è un atto sacro e politico, poiché eretico e ribelle.
Da dove partire? “A te come te” professano le Albe con le parole di Testori. Ogni singolarità è fondamentale, definitiva. Il teatro deve raccontare la storia di ciascuno, a ciascuno. Non si tratta di una forma della messa di scena, ma di una sostanza, la più pura. Siamo insieme, nel coro, solo quando ogni singolarità è assolutamente presente a sé stessa, eccedendosi ma ricordandosi di sé. Non scompare l’individuo, anzi, dovremmo imparare i nomi di tutti. Segreto dell’estasi.
Il coro è gioia e contagio, entusiasmo ma anche inquietudine. Nel coro avviene la presenza di Dioniso, divenire straniero di ciò che non lo era. Dioniso incarna la scoperta di uno spessore di estraneità all’interno delle maglie del quotidiano. Non si tratta dell’assolutamente Altro, ma dell’esperienza straniante dello specchiarsi negli altri: riconoscersi nell’altro, riconoscersi come altro. Ermanna Montanari, in un’intervista sul teatro impuro, diceva: “Abbiamo spesso ripetuto negli anni una frase di Jarry: 'Quando uno vede il suo Doppio, muore'. L’abbiamo sempre intesa, questa massima oscura, nel senso di morire a sé stessi. È una frase d’amore, perché nell’amore si muore a sé stessi. Ci si apre all’Altro”. Nel coro ci apriamo all’Altro poiché diveniamo Altro. Altro da sé stessi, Altro dall’uomo, ma esattamente qui, esattamente io, nel mio corpo in viaggio. Trasumanar – è questo mio tremare, la mistica, la vita che lavora alla mia morte, la carne e il divino.

Traversata
Mai come stasera il teatro è un’esperienza: una cosa che si vive. Dalla punta dei piedi al soffio della voce. Si parte da una tomba, dove giacciono le spoglie mortali del poeta immortale. Da qui, pro-cede un serpente per le strade della città, un serpente che canta all’unisono. Processione verissima, dove il sacro è la voce che facciamo tutti insieme. Ci fermiamo, di tanto in tanto. Per ripartire insieme. Prendiamo il passo, ci abituiamo ai corpi intorno, alla scena della città. Il viaggio comincia a cielo aperto, ma all’inferno ci si deve entrare. Una Beatrice bambina, che sembra un angelo di Raffaello, ci fa coraggio. È il fuoco cristologico. E allora entriamo. Per una porta. Per me si va.
La prima cosa a percepirsi sono le urla, “orribili favelle”. La paura. Siamo ammassati, ostaggi di guerra. C’è Caronte, o forse Minosse, che ci osserva, glaciale e beffardo, perfetto. Nessuno è salvo, siamo tutti dannati. Credevamo di esistere, ma ora siamo solo ombre. La nostra vita e la nostra morte non sono che il loro sogno, di questi soldati che ci traghettano nel sogno dell’inferno. Siamo il sogno del sogno.
Il disegno luci di Francesco Catacchio traccia le possibilità dei nostri sguardi. L’inizio della discesa rivela una trasfigurazione degli spazi. Il Rasi non è un teatro, ma uno spazio chiuso in molti modi diversi, un tempio prismatico, segnato dalla distruzione come atto sacrilego. Pieno di scale e abissi, dirupi e risalite possibili. Cambiamo come ci cambia l’ambiente, e soprattutto come ci cambia il “bozzolo sonoro” costruito dalle musiche di Luigi Ceccarelli, con la regia del suono di Marco Olivieri.
Muoviamo i primi passi, lo spazio si apre e ci scopriamo circondati da tanti cori differenti, posti su vari livelli, che riconosciamo come gruppi di gesti e di costumi – meravigliosi i costumi di Silvia Giorgi e Salvatore Averzano, mai retorici, presenze pure. È su sedute temporanee che iniziamo a incontrare i personaggi. Paolo e Francesca escono fuori da un tumulto di parole e si guardano nel modo in cui si guardano le cose prime. Volano vicini ai nostri occhi, sussurrano un amore fresco, sorridono e non si lasciano la mano mai. In contrasto alla delicatezza di questi amori adolescenti, scoppia la violenza dello scontro fra avari e scialacquatori. Rabbuffa, rabbuffa, mastica e urla Ermanna. Siamo tutti piegati nelle sue ginocchia. Siamo tutti stretti nelle prese contorte dello scontro. È il denaro che ci strozza. Poi si parano innanzi le erinni e i diavoli, a bloccare il cammino. Cori mostruosi, corpi prossimi e lontani, denti che battono nelle nostre orecchie, occhi che dicono solo spavento e disperazione. Un angelo ci permette di passare.
E saliamo alla città di Dite, dove Farinata degli Uberti e Cavalcante Cavalcanti sono la voce della politica, che ci prende alle spalle, con la forza della sconfitta, crede ad ogni parola, proclama e si accascia. Poi, il Flegetonte, un fiume bollente di corpi dilaniati, che si rimescolano senza direzione. Appare l’immagine di un Brunetto Latini contemporaneo, che ha avuto il coraggio di stare dentro la società e profetizzarne gli esiti funesti, con gli occhi fissi alla meravigliosa straziante bellezza del creato. Interrompe un Malacoda scatenato a separare il gregge. Ai nostri piedi, d’un tratto, si spalanca la selva dei suicidi, che pare quasi di caderci dentro. Le arpie urlano, mentre Pier delle Vigne racconta la sua storia divincolandosi, con la voce smarrita, circondata dalla minaccia, con il fiato che insegue la musica eterna dei versi. La scena si nutre del suo ansimare come dei colpi dell’invidia. E subito siamo trascinati in un corridoio di papi sorridenti e corrotti, ruffiani con donne che sono oggetti, usurai ossessivi davanti a schermi neri. Finiamo immersi della pece bollente, stretti in mezzo ai diavoli, dove si scatena l’indignazione senza tempo contro ogni forma di corruzione. Poi la bolgia senza capo né coda, vagano i pazzi, come vaghiamo noi, bianchi, fra muri di materassi per sbatterci contro, i capelli davanti alla faccia, in bocca ritornelli vuoti. Formicolio e panico.
La stasi è solo in una nuova platea, chiamata a guardare all’insù, dove sta Ulisse, al limite dello spazio possibile. Nei suoi occhi di lampo sono riflesse ancora le colonne d’Ercole, nella voce piena risuona la condanna cercata e accettata. Per virtute e canoscenza, ne è valsa la pena? Non si può giudicare quando si è dentro un incanto. E cadiamo nel lago ghiacciato, capolavoro di suoni che si strozzano nell’acqua gelata. Unghie che graffiano il ghiaccio, rumori che sono movimenti geologici. Anime confuse nell’inanimato. In apnea, arriviamo alla soglia del Conte Ugolino. Ermanna Montanari recita la sua disgrazia così com’è stata scritta, identica a sé stessa, nel dolore assoluto. Canta i canti di Dante su un palco, niente di più. Eppure, le parole suonano come nuove, all’inizio della scrittura, per la prima volta vive, appena nate qui. Non si può dire riscrittura, né interpretazione, per dire quello che accade dentro il colore della voce. Nel mondo della voce, nei suoi meandri. Siamo in cima alla torre, non semplicemente commossi, siamo divorati e divoranti.
E infine giungiamo al fondo della piramide rovesciata. Al fondo del male, insospettabile. Gira intorno all’ipocrisia e al tradimento. Gira intorno ad un senso quotidiano di terrore. È una giostra fredda e meschina, un sottile riflesso distorto di noi. Anzi, siamo proprio noi. Tranne forse per questo: che ci siamo fedeli. Che abbiamo camminato insieme, per mano, e abbiamo creduto nella fedeltà come qualcosa cui ritornare. Per orientare il viaggio, per ricordarci chi siamo. Sono radici, ma anche sogni.
Una scala verso le stelle.

 

 


Inferno
Chiamata pubblica per la Divina Commedia di Dante Alighieri
Prima parte del progetto LA DIVINA COMMEDIA 2017-2021
di Marco Martinelli, Ermanna Montanari
ideazione, direzione artistica e regia Marco Martinelli, Ermanna Montanari
in scena Ermanna Montanari, Marco Martinelli, Alessandro Argnani, Luigi Dadina, Roberto Magnani, Gianni Plazzi, Massimiliano Rassu, Laura Redaelli, Alessandro Renda
con i 700 cittadini della chiamata pubblica
musiche
Luigi Ceccarelli
con gli allievi della scuola di musica elettronica e di percussione del Conservatorio Statale di musica Ottorino Respighi di Latina: Francesco Attilio, Cristian Maddalena, Mirjana Nardelli, Fabrizio Nastari, Giovanni Tancredi, Andrea Veneri, Giulio Cintoni, Luca Giacobbe, Daniele Sanna, Riccardo Zelinotti
e con la partecipazione di Istituto Superiore di studi musicali Giuseppe Verdi di Ravenna, banda musicale cittadina di Ravenna, scuola di musica Malerbi Lugo
e di Pietro Argnani, Giacinto Isotta, Simone Marzocchi, Enrico Palazzo, Benedetta Pirini
spazio scenico Edoardo Sanchi
con allievi del biennio specialistico di scenografia per il teatro dell’Accademia di Belle Arti di Brera Milano Chiara Bartali, Irene Belingheri, Giulia Bruschi, Rosa Casciello, Andrea Ceriani, Silvia Fonti, Xin Lu, Riccardo Mainetti, Maddalena Moretti, Eleonora Nardo, Giorgia Ruzzante, Francesca Sgariboldi
costumi Paola Giorgi
con Salvatore Averzano e gli allievi di costume per lo spettacolo dell’Accademia di Belle Arti di Brera Milano Louise Bastin, Ruoxian Cheng, Gloria Fabbri, Lorenzo Franco, Peng Gao, Ye He, Carmela Loconte, Diletta Lodola, Hossein Lotfi, Valentina Moro, Pei Ouyang, Elena Passerini, Jingtao Qu, Eleonora Rassatti, Mengtian Ren, Flavia Ruggeri, Francesca Sartorio, Pawel Tomaszewski, Anna Vivo, Jie Wu, Rujie Xie, Ilaria Zuffada
regia del suono Marco Olivieri
disegno luci
Francesco Catacchio
direzione tecnica Enrico Isola, Fagio
realizzazione scene squadra tecnica del Teatro delle Albe e di Ravenna Festival Enrico Berini, Alessandro Bonoli, Giovanni Cavalcoli, Fabio Ceroni, Fagio, Enrico Isola, Danilo Maniscalco, Dennis Masotti, Luca Pagliano
in collaborazione con Antonio Barbadoro, Rinaldo Rinaldi
sartoria Laura Graziani Alta Moda, Stefania Fiorani Cucital, Silvia Guadagni, Sartoria Creativa
responsabili produzione Silvia Pagliano, Emilio Vita
organizzazione e promozione Claudia Albertini, Valentina Battelli, Anna Bonazza, Serena Cenerelli, Silvia Di Pietro, Giusy Mingolla, Beatrice Moncada, Chiara Schiumarini, Monica Randi
in collaborazione con Melania Bonacquisto, Sara Colciago, Mattia Colombo, Carlo De Leonardo, Sara Maioli, Chiara Maroncelli, Stefania Nanni, Valentina Rinaldi, William Rossano, Franco Savelli, Roberta Staffa, Francesca Venturi
grafica e lettering Cosetta Gardini Casa Walden
guide Antonio Jacopo Argento, Mario Battaglia, Lorenzo Carpinelli, Nadia Casamassima, Monica Francia, Marco Montanari, Flaminia Pasquini Ferretti
foto di scena Zani/Casadio, Nicola Baldazzi, Cesare Fabbri
opera commissionata da Ravenna Festival
in coproduzione con Teatro Alighieri, Ravenna Teatro/Teatro delle Albe
lingua italiano
Ravenna, dalla Tomba di Dante al Teatro Rasi,  27 maggio 2017
in scena dal 25 maggio al 3 luglio 2017

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