“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 26 March 2013 19:29

Nel fondo del baule

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Esiste, in quel di Torre Annunziata, uno spazio che da sei lustri ripete come fosse un mantra la propria missione teatrale; questo spazio si chiama diffusioneteatro (scritto tutt’attaccato), la sua anima vivificante è Eduardo Zampella, sotto la cui guida l’istituzione (ché ormai d’istituzione bisogna parlare) festeggia quest’anno un trentennio d’attività; se ne effettua celebrazione approntando un cartellone che prevede un anno pieno pieno di teatro – di ottimo teatro – che dichiara già nel titolo della rassegna l’intento celebrativo del rito teatrale: Sarà festa tutto l’anno. Prendiamo anche noi parte a questa festa e ci accomodiamo da spettatori nello spazio di cui diffusioneteatro dispone all’interno della Chiesa Evangelica Luterana di Torre Annunziata, uno spazio che riscopriamo denominato Sala Nevia.

In questo posto, che del teatro perseguito come missione, insegnato come passione, vissuto come insopprimibile vocazione, compone la cifra del proprio operare, in questo posto (in cui a suo tempo avevamo avuto modo di apprezzare l’eccellente rassegna Sprießen – Germi teatrali, diretta da Giulio Nocera), il teatro è andato al fondo del teatro, alle radici del teatro. Lo ha fatto scavando nel baule, nella cassapanca dei trucchi, nel fondaco tutto artigiano del mestiere, portando in scena il teatro delle componenti essenziali: un corpo, una maschera, una voce. Moltiplicati per quattro – come il numero delle figure in scena – un corpo, una maschera, una voce, danno luogo a Paporreta infame.
Suggestivo pensare che lo stesso spettacolo a cui abbiamo assistito, mutatis mutandis sarebbe potuto essere tale quale è stato se visto durante un fescennino dell’arcaica latinità, sarebbe potuto essere tale quale è stato se visto in una corte qualsiasi del Rinascimento, sarebbe potuto essere tale quale è stato se rappresentato in una sala ottocentesca; e suggestivo pensare che potrà essere tale quale è stato a Torre Annunziata, se mai verrà rappresentato in un futuro remoto del quale nulla riusciamo a immaginare, se non che, svolgendovisi rappresentazione della Paporreta infame di Teatro nel Baule, essa sarebbe (sarà) tale quale è stato dato d’ammirare in quel di Torre Annunziata in un sabato qualsiasi targato 2013. Questo perché Paporreta infame col solo ausilio di un drappo nero di stoffa, un organetto e una scala si consegna allo sguardo come teatro dei minimi termini, pantomima del bastante (un corpo, una voce, al limite una maschera), offrendo visione che suggerisce di predisporsi all’essenziale.
Su di un perimetro di scena disegnato da scarti d’ortaggi, un corpo imbottito come animasse di vita il cartoon di un Barbapapà, per monito dichiara: “L’attore non chiede benevolenza, ma attenzione” e della finzione di scena si fa araldo, disvelando come un telo di stoffa possa trasformarsi in Dio e come tavole di palco possano dar luogo ad un cimitero o ad una chiesa. Ed infatti dal drappo di stoffa, sfintere di Dio, vengono partoriti ed eiettati sulla scena i corpi deformi delle quattro figure, che imbrattano e farfugliano, riempiendo la scena con le loro pantomime che della sacralità della vita fanno sberleffo, mediante molleggio di corpi che s’agitano come fossero gomma, bofonchiando in eloquio cialtronesco che è impasto d’idiomi imporrati, grammelot d’italiano in accenno e di latino maccheronico.
Desacralizzazione del sacro, o sacralizzazione del profano: macchie nere e bioccolute sul palco disegnano una liturgia della vita filtrata attraverso la scena. Battesimi imposti con acqua che evapora, matrimoni celebrati con comico rituale che culmina in copula oscena, fino all’epilogo allusivo e funereo che suggerisce un sipario che cala, ponendo fine alla mascherata dei vivi. Mascherata che fino ad allora, fra una crapula ed un lazzo, ha gabbato la morte con l’astuzia del rinvio.
Il linguaggio del teatro, fatto di mimica e lingua, di gesto e di verso (inteso nell’accezione d’emissione vocale non necessariamente umana ed intellegibile) diverte come un trastullo per bambini e allo stesso tempo trasmette la sensazione che lì sulla scena si stia compiendo operazione di filologia teatrale, illustrando, con gesti e con versi, cosa ci sia alla base del teatro, dove il teatro affondi le proprie radici, cosa si adagi, ben conservato, nel fondo del baule.

 

 

 

Paporreta infame
drammaturgia e regia Teatro nel Baule
con Sebastiano Coticelli, Simona Di Maio, Giorgia Guarino, Dimitri Tetta
musiche Dimitri Tetta
maschere Domenico Cuomo
foto di scena Paola Manfredi
lingua grammelot italiano/latino
durata
45’
Torre Annunziata (NA), Sala Nevia – diffusioneteatro, 23 marzo 2013
in scena
23 marzo 2013 (data unica)

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