“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 25 November 2016 00:00

Cinema ed immaginario secondo Edgar Morin

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Nell'ormai lontano 1957 viene pubblicato in Francia il saggio Le Cinéma ou l'homme imaginaire di Edgar Morin, testo destinato ad incidere profondamente, e sin dalla sua uscita, sugli studi sul cinema (e non solo) d'oltralpe. In Italia il testo, tradotto nei primi anni '60, fatica, invece, per qualche tempo ad incidere sul dibattito cinematografico nazionale, come ricostruito dall'ottima prefazione stesa da Francesco Casetti per Feltrinelli nel 1982 e meritoriamente riportata nella nuova edizione italiana realizzata da Raffaello Cortina Editore.

Il cinema o l'uomo immaginario riflette sul rapporto del cinema con il reale e l’immaginario, mettendo in luce le relazioni con i processi profondi della psiche e della conoscenza. L’illusione di realtà prodotta dal cinema risulta inseparabile dalla coscienza da parte del pubblico del suo carattere illusorio. Lo spettatore vive il cinema in uno stato di doppia coscienza: da una parte viene posseduto dalla magia delle immagini e dall'altro è cosciente di assistere ad uno spettacolo immaginario.
Lo studioso francese individua nel cinema il soddisfacimento del mito di Narciso di poter vedere la duplicazione del reale e di potervisi perdere in esso. Grazie al cinema si può godere della “vertigine del doppio”: vogliamo immetterci in questo simulacro sottraendoci dal reale. Il cinema, che ha condotto il livello di illusione a vette mai raggiunte prima (ed è da tale livello che ripartono la televisione ed il video), permette allo spettatore di entrare a far parte di un universo nuovo senza sentirsi spaesato; si tratta di un trasfigurazione estetica che porta lo spettatore anche a scoprire il mondo. Morin ritiene che l'immaginario sia una parte costitutiva della realtà umana e già nel saggio L'Homme et la mort  (it.: L'uomo e la morte), pubblicato per la prima volta nel 1951, si anticipano alcune riflessioni che poi tornano anche ne Il cinema o l'uomo immaginario. Lo studioso individua due credenze universali di sopravvivenza: l'esperienza del doppio, dell'altro se stesso, riconosciuto nel riflesso, nell'ombra e liberato nei sogni e la credenza nella metamorfosi da una forma all'altra di vita.
Dunque Morin si chiede come il moderno universo cinematografico possa far rinascere l'universo arcaico dei doppi e perché il cinematografo, inizialmente mera tecnica di riproduzione del movimento, si sia subito trasformato in cinema, in spettacolo immaginario, dunque, attraverso i film di Méliès, in spettacolo magico di metamorfosi.
Il doppio mistero della realtà immaginaria del cinema e della realtà immaginaria dell'uomo porta l'autore, per usare le sue parole, a fare insieme “antropologia del cinema e cinematografia dell'anthropos” (p. 6).
Nella prefazione scritta nel 1977 a Il cinema o l'uomo immaginario, Morin ricorda come egli appartenga ad una delle prime generazioni la cui formazione è ormai indissociabile dal cinema. Reale ed immaginario si intersecano inevitabilmente a partire dall'era cine-fotografica; “l'unica realtà di cui siamo sicuri è la rappresentazione, cioè l'immagine, cioè la non-realtà, dato che l'immagine rimanda a una realtà sconosciuta. Certo, queste immagini sono vertebrate, organizzate, non solo in funzione degli stimoli esterni, ma anche della nostra logica, della nostra ideologia, e cioè anche della nostra cultura. Tutto il reale percepito passa quindi per la forma immagine. Poi ricompare sotto forma di ricordo, vale a dire come immagine di immagine. Il cinema, come ogni figurazione (pittura, disegno), è un'immagine di immagine ma, come la fotografia, è un'immagine dell'immagine percettiva e, più della foto, è un'immagine animata, cioè viva. Proprio perché rappresentazione di rappresentazione viva, il cinema ci chiama a riflettere sull'immaginario della realtà e sulla realtà dell'immaginario” (pp. 6-7).
Ed ancora: “l'immagine non è solo il punto di incontro tra reale e immaginario ma è l'atto costitutivo radicale e simultaneo del reale e dell'immaginario. A questo punto si può concepire il carattere paradossale dell'immagine-riflesso o "doppio", che da una parte esprime un potenziale di oggettivazione (distinguendo e isolando gli "oggetti", permettendo il distacco e la presa di distanza) e contemporaneamente, dall'altra, esprime un potenziale di oggettivazione (la virtù trasfigurante del doppio, il "fascino" dell'immagine, la fotogenia...). Bisogna quindi arrivare a concepire non solo la distinzione ma anche al confusione tra reale e immaginario; non solo la loro opposizione e concorrenza, ma anche la loro complessa unità e complementarità” (p. 7).
Il cinema o l'uomo immaginario è davvero una lettura irrinunciabile, per certi versi propedeutica, per chi voglia affrontare una contemporaneità in cui il rapporto tra reale ed immagini cinematografiche e di altro tipo, tra immaginario umano ed immaginario audiovisivo si è fatto davvero complesso.

 

 

 

Edgar Morin
Il cinema o l'uomo immaginario

Raffaello Cortina Editore, Milano, 2016
pp. 268

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