“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 22 June 2016 00:00

Di giganti, mostri, alieni e altre amenità

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Luciano Lamberti è uno scrittore argentino della mia generazione. Nato a Córdoba nel 1978, è autore di quattro opere, la prima del 2008 (San Francisco Córdoba) e l’ultima del 2016 (La maestra rural). Il pappagallo che prevedeva il futuro è stato pubblicato in spagnolo nel 2012 e ha riscosso ottime critiche e un buon numero di lettori. Gran Vía lo propone in italiano nella bella traduzione di Vincenzo Barca.

Si tratta di una raccolta di sei racconti, di cui solo quello eponimo è abbastanza lungo. Tutti possono essere ascritti al genere fantastico, con forti echi gotici. Sono presenti, infatti, le tematiche classiche del genere: le coincidenze fortuite e sconvolgenti nel primo (Piccoli incidente quotidiani), il doppelgänger mostruoso e occulto nel secondo (La canzone che cantavamo tutti i giorni), lo studio più o meno scientifico della mente e la distopia – in questo caso con toni fantascientifici – del quarto (La vita è bella sotto al mare), i fantasmi e il dialogo mentale con animali perfettamente intellegibili, a dispetto di Wittgenstein, nel quinto (Il Teatro Naturale di Oklahoma), l’essere meraviglioso e funesto, probabilmente di natura aliena nell’ultimo.
Ho lasciato fuori da questo elenco il terzo racconto, Note sul paese dei giganti, perché rientra nell’ambito del fantastico, o della fantascienza, per filiazione borgesiana. Vale a dire che ha un sapore tutto argentino. Si tratta infatti di un falso saggio scientifico di natura antropologica su di una terra parallela in cui vivono dei giganti, non sempre pericolosi. Sulla scia de Il manoscritto di Brodie, contenuto nella raccolta omonima del 1975 di Borges – in questi giorni si commemora il trentennale della morte del maestro argentino –, Lamberti ci offre una raccolta fantastica di testimonianze di esploratori e scienziati che, attraverso alcuni stargate, approdano in un mondo totalmente altro in cui, però, riproducono dinamiche ben note di colonizzazione, orientalismo, tropicalizzazione e in cui collocano una serie di narrazioni utopiche. Al di là della riproduzione della scientificità antropologica, sorprende nel racconto di Lamberti un altro tipo di lettura borgesiana. Nella distopia fantascientifica, infatti, Borges inseriva spesso anche riferimenti che, negli ultimi trent’anni, hanno acquisito una precisa collocazione nel mondo degli studi – a partire dalla loro rubricazione, da parte dell’accademia anglosassone – sotto il nome di postcolonial studies. Una tipologia di studi che, tra le altre cose, si riferisce all’epistemologia coloniale e al corposo apparato di definizioni che i Paesi colonizzatori hanno applicato alle colonie. Già nel 1940, con la scrittura del racconto fantastico/fantascientifico Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, Borges introduce un riferimento sarcastico e pungente a quella che lo studioso Walter Mignolo definirà, ormai nel XXI secolo, L’idea di America Latina (trad. it. di Elisa Vian, Mimesis, 2013). Il racconto è un intreccio di (falsa) erudizione, complotti, metaletteratura e fantascienza. Si suppone che il pianeta Tlön possa essere un’invenzione massonica. Quando il proposito di inventare un paese immaginario viene proposto al finanziatore del progetto, questi se ne fa beffe: “Dice che in America è assurdo inventare un paese e propone l’invenzione di un pianeta” (trad. it. di Antonio Melis, Adelphi, 2003).
Non sono certo che esista un filo diretto che unisce il racconto di Lamberti con questa o altre citazioni di Borges in cui si evince la natura totalmente culturale (valga l’ossimoro) della colonialità latinoamericana, ma mi piace pensarlo. Oltre alle disquisizioni filologiche, è interessante l’idea della fantascienza come rappresentazione di una realtà perfettamente storicizzata nel colonialismo, la dimostrazione lampante che la scienza è, o può essere, anch’essa un’invenzione, un artificio, un sogno o una finzione.

 

 

 



Luciano Lamberti
Il pappagallo che prevedeva il futuro (El loro que podía adivinar el futuro)
traduzione Vincenzo Barca
Roma, Gran Vía, 2016
pp. 93

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