“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 19 April 2016 00:00

Intervistare Leonardo

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È intima e ad un tempo formale la conversazione che si intesse fra intervistatore e intervistato. Imbarazzata, magari da uno solo dei due punti di vista, congestione di sguardi e perlustrazione di aride o rigogliose lande mentali, di fresche idee o stantii pregiudizi, è indagine da parte di chi domanda ed anche di chi risponde. È spettacolarizzazione per visionari avidi di pensieri o pettegoli ricercatori di misere bassezze, di sciocchi ritegni o sfacciate quanto inutili confessioni. Ma cosa accade quando si interroga il passato? Cosa, quando il nostro passato è racchiuso in una mente che è stata in grado di oltrepassarlo e preludere a tutto ciò che di più impensabile sarebbe stato in giorni lontani, nei nostri giorni? Il Leonardo di Finazzer Flory è conscio di essere chiamato a rispondere dal nostro presente. Ed il confronto è divulgazione, tentativo di soddisfare curiosità emotive oltre che razionali, e visione suggestionata ancor prima che suggestiva. Ma il gioco consiste nel far sì che questa consapevolezza si fermi alla conoscenza del momento temporale, in modo da restituire un Leonardo che, per quanto immaginato, risulti il più credibile ed il più “integro” possibile.

Per provarlo estraniamoci un momento dallo spettacolo.
Sulla splendida collina dove sorge la casa d’infanzia del maestro si ha modo di abbracciare il paesaggio circostante, di un verde infinito e dolce, e forse imperituro. Sarà anche prevedibile, ma fra gli alberi che sfilano su prati modulati da lievi avvallamenti e morbidi poggi, non si può non figurarsi, per un istante, di possedere quei celebri occhi, da cui tanti disegni e dipinti che conosciamo sono un tempo sgorgati. Può capitare di intravedere tra quelle forme naturali l’addensarsi di un fumo chiaro e delicato, forse sterpaglie che bruciano, forse altro, e di pensare che tale elemento di indefinitezza e la luce che avvolge l’ambiente siano davvero in sintonia con tutto il resto, che siano parte integrante ed imprescindibile dell’armonia compositiva che appartiene alla pittura del più illustre vinciano. In tal modo si percepisce che il vecchio saggio sul palcoscenico è in un certo senso sempre rimasto nelle amene vicinanze di quel borgo da cui pure così presto, nel corso della sua vita, si è allontanato. Su quelle fattezze psicologiche che il regista ed attore ha plasmato, aleggia così quella che ai nostri occhi moderni non può non apparire come una maggiore “spontaneità” del fare rinascimentale, di un uomo antico che di certo travalica il limite del moderno ed espande la sua anima verso tutte le direzioni del tempo, ma che insieme a questa sua anima alberga nel proprio, di tempo. Così genio e candore convivono più che mai, nell’interpretazione di un Leonardo che di battuta in battuta, di gesto in espressione, attesta il registro della pièce ora su toni più grevi ed a tratti magniloquenti, ora su note ironiche, curiose e divertenti, frantumando un’ipotetica prospettiva di andamento monotono e lasciando che lo spettacolo si veli di un’atmosfera raccolta e sottilmente fiabesca. La rappresentazione cerca il coinvolgimento di tutti gli spettatori, ed è proprio di coinvolgimento e di grande suggestione che ci parlano il sindaco Giuseppe Torchia e la direttrice del Museo Leonardiano Roberta Barsanti, incontrati al termine dello spettacolo. Con il tramite del personaggio del giornalista, in cui immedesimarsi ed attraverso il quale trovare contatto con la scena, essa comunica costantemente con il pubblico, così come l’artista, inventore, scienziato, ha parlato all’uomo, seppur attraverso l’elogio della conoscenza che sempre per lui è stata la più alta forma d’amore verso il mondo e l’umanità stessa.
Il rigore scientifico su cui si basa Essere Leonardo (le risposte di Leonardo sono puntuali citazioni dai suoi trattati e danno dunque voce ai suoi propri pensieri), il quale dà il via alle celebrazioni per l’anniversario della nascita del genio di Vinci, è reso inebriante dalla caratterizzazione del personaggio, e dalla risposta psicologica nel tono della voce e nell’atteggiamento di Gianni Quillico, che veste i panni dell’intervistatore. Di tema in tema, l’immensa personalità dialoga con il suo referente (dunque con noi) di natura, architettura e pittura (la buona pittura), di poesia e musica, del volo, dell’elemento dell’acqua come vera e propria entità, la quale “si riposa sulla superficie equidistante dal mondo”. Ma tutto il discorso è innescato dalla più semplice e naturale delle domande: “Lei come si definisce?”; Leonardo dice: “Inventore”. Un sostantivo che risuona come sottofondo di tutte le successive affermazioni e ci fa meditare su di una questione. Ma facciamo un passo avanti: durante la cinquantaseiesima Lettura vinciana tenutasi il 16 mattina (in platea anche Carlo Pedretti), ed incentrata sulla decorazione pittorica della Sala delle Asse nel Castello Sforzesco, la studiosa Maria Teresa Fiorio ha illustrato in diapositiva alcuni disegni dai taccuini leonardiani. Uno di essi raffigurava un bosco di betulle, mostrando una perfetta riproduzione delle diverse componenti strutturali degli alberi in base alle zone di luce ed ombra ed al contempo una leggiadria delle fronde abbozzate che rendeva il loro fruscio nell’“impalpabile consistenza dell’aria”, portando su di un piano molto soggettivo, con il sostegno della memoria, l’interpretazione della natura. Nel Leonardo “riprodotto” su quello stesso palco, la sera precedente, proprio il concetto di invenzione è fulcro del discorso.
In lui l’universo del sapere umano, in cui osservazione ed esperienza, arte e scienza concorrono, indissolubili, alla scoperta della verità, è orchestrato non già dall’imitazione, ma da un continuo moto di contemplazione e conseguente fantasia che fa delle capacità inventive uno strumento di appropriazione e ricostruzione di quella verità, alla quale si attinge grazie alla conoscenza profonda della dimensione umana e naturale. Vedendo muoversi e parlare questo Leonardo, pare che al di sotto del termine “inventore” possa celarsi proprio quel tipo di possibilità di ricreazione del mondo che è sentita come prerogativa dell’artista moderno, al di là del riferimento all’operare più strettamente tecnico.
Il momento commovente in cui il Leonardo recitato si tramuta in attore egli stesso, mimando le gesta degli apostoli dell’Ultima Cena, ci sembra esserne ulteriore conferma. Ma è quando tutto è finito ed il palco ha perso la sua animazione che raccogliamo un commento della dottoressa Burini, già spettatrice di Essere Leonardo a Mosca, la quale ci spiega della diversa emozione suscitata in lei dall’assistere allo spettacolo in Italia, dove l’assenza di traduzione fa gustare appieno il sapore della lingua rinascimentale, melodia all’interno di cui tale declinazione di Leonardo è stata composta. Per rievocare all’unisono le irriproducibili forme di uno spirito vecchio più di cinquecento anni, eppure proiettato in un futuro così remoto da sembrare ancor oggi di là da venire.

 





Essere Leonardo
testi
Leonardo da Vinci
regia Massimiliano Finazzer Flory
con Massimiliano Finazzer Flory, Gianni Quilico
costumi Sartoria Brancato
lingua italiano
durata 60'
Vinci (FI), Teatro della Misericordia, 15 aprile 2016


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