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Saturday, 13 February 2016 00:00

Uniti dal diritto a essere felici

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Prima di tutto, mi piace ricordare che Giuseppe Catozzella è Goodwill Ambassador Onu. Un “ambasciatore di buona volontà” delle Nazioni Unite. Questo titolo onorifico lo ha ottenuto grazie alla parola. In particolare alla parola scritta, quella del suo precedente lavoro: Non dirmi che hai paura. Per dire, o meglio per ricordare, che la parola non solo è in principio come scrisse l’evangelista, ma è anche, oggi, sempre, uno strumento di potenza ineguagliabile.

In Non dirmi che hai paura, Catozzella ha scritto di Samia, questa ragazzina di Mogadiscio che ha la corsa nel sangue. E la storia ha commosso il mondo. Quando l’Onu ha deciso di organizzare una gara in onore di Samia nella capitale somala, ha invitato Catozzella, gli ha conferito questo titolo e da allora lo scrittore milanese racconta cosa sta dietro la sigla UNHCR, l’agenzia Onu per i rifugiati.
Poi Giuseppe riceve una dritta: vuoi conoscere un ragazzino che ha lasciato un’organizzazione combattentistica islamica? Allora se ne va al confine somalo-etiopico, uno dei più pericolosi del mondo, e trova quello che diventerà l’Alì/Amal de Il grande futuro. Giuseppe Catozzella è appassionato di storie reali, sente un’urgenza forte per i temi che raccontano i dilemmi del presente. Assorbe la realtà ma è consapevole come questa sia soltanto materiale grezzo che lo scrittore può forgiare in vista di un atto creativo: l’universale letterario.
La storia di Alì/Amal, dei tanti Alì o Amal bambini-soldato, diventa la riflessione universale sulla contrapposizione tra le due grandi culture: Occidente e Oriente. Una contrapposizione che il protagonista del romanzo si porta addirittura nel cuore. Vi lascio alla lettura per capire cosa intendo con questo.
Due cose sono punite con la morte dalle organizzazioni combattentistiche islamiche: i guerrieri non possono piangere né fuggire. Il ragazzino della realtà ha raccontato a Catozzella la sua storia per tre settimane e Catozzella ha ascoltato. L’incrocio possibile tra due giovani, è giovane anche Catozzella, è stato di voci e di sguardi. A volte bastano gli occhi. E quelli del ragazzino, che ora vive in incognito per timore di ritorsioni dei suoi ex compagni, profondi come pozzi neri, hanno una luce infinita. Catozzella vi si è potuto specchiare scoprendo se stesso anche se il suo interlocutore generalmente viene descritto come il “nemico”.
L’Amal del romanzo nasce come Alì ma la madre decide di cambiargli nome. Amal in arabo vuol dire “speranza”. La sua esistenza dipenderà dai fatidici momenti in cui subisce un intervento chirurgico particolare e diventa una danza su crinali molto pericolosi, tra santità e perdizione, guerra e pace, amore e odio. Amal trascorre un’adolescenza pacifica sino a quando la guerra, la guerra che è nel suo destino come gli ha profetizzato la strega del villaggio, non irrompe nella sua isola. Alì/Amal è l’artificio letterario di Catozzella, il suo patto con il lettore, è la figura perfetta per trasformare l’intero romanzo in un campo di battaglia. In un jihad.
Ma attenzione alle parole come jihad. Catozzella rende bene la duplice valenza che questa ha nel mondo arabo. C’è un significato originario e c’è la traduzione che ne danno i fondamentalisti islamici. Jihad significa semplicemente: sforzo. Un fedele musulmano deve in ogni momento della sua vita compiere uno sforzo per diventare migliore di quanto lo sia nel momento precedente. È un concetto bellissimo. La guerra santa non c’entra niente. Catozzella ricorda che è un concetto anche molto occidentale: perché ci piace lo sport o, al limite, X Factor? Perché desideriamo migliorare, accettando la sfida con noi stessi per superare limiti auto-imposti o eteronomi. Solo che l’Amal del romanzo a un certo punto vede tutto ciò che ha imparato da studente coranico come qualcosa di vecchio e porta alle estreme conseguenze la lacerazione del suo corpo e della sua anima, declinando jihad nel modo sbagliato. Diventa un soldato del fondamentalismo. Fino a quando...
C’è una frase nel libro che un vecchio imam dice ad Amal quando ancora vive nella sua isola: la felicità è un diritto di tutti. Ecco il vero filo rosso: la felicità. Tutti ne abbiamo diritto. Lo dice anche la costituzione americana a dimostrazione che a qualsiasi latitudine emerge l’essere umano con questa sua semplice ma fondamentale esigenza. Ciò che ci unisce è più di ciò che divide. E se è vero che ciascuno può cercare il suo percorso per essere felice, se ci guardassimo negli occhi, se ascoltassimo i rispettivi racconti, ci accorgeremmo che questi personali percorsi si muovono dentro una mappa comune. Una mappa dove Occidente e Oriente sono rappresentati, frutto entrambi di una universale spiritualità.

 

 

 

 

Giuseppe Catozzella
Il grande futuro

Milano, Feltrinelli, 2015
pp. 261

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