“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 22 December 2015 00:00

Polifonia bulgara per voci di donna

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”Scrivo verità, non ho tempo per le bugie. Non si scrive per soldi in Bulgaria. Si scrive per allontanare lo spettro del dolore". Così si era presentata Zdravka Evtimova all’ultimo Festivaletteratura di Mantova, per parlare di sé e del suo romanzo Sinfonia, vincitore del Premio Balkanika 2014. La scrittrice, considerata una delle voci più alte della letteratura bulgara contemporanea, sceglie le vicende di quattro donne per parlarci del suo Paese negli anni ’90, fuori dalla dittatura comunista e dentro a quella del denaro.

Lo scenario è comune a molta parte dell’Est Europeo e della stessa ex Unione Sovietica: una società allo sbando, dove la sconfitta dell’utopia comunista non riesce ad essere sostituita da nessuna vittoria, dove la fine della grigia sopravvivenza di Stato cede il passo alla più bieca immoralità capitalistica, in cui pochi arrivano ad un benessere fatto solo di lusso, mentre la maggioranza si sbrana nel sogno di una vita in cui almeno si acquieti la ferocia della miseria.
Soltanto una delle quattro protagoniste parla in prima persona: è Moni, ragazza obesa, che scoprirà di riuscire a perdere qualche chilo solo grazie all’attività sessuale. Moni è ricca, anzi, straricca, perché è l’unica figlia del super boss di Sofia, ammazzato come si conviene per chi vive di crimini, eppure amatissimo padre, prodigo di consigli che verranno ricordati dalla figlia come i principali comandamenti per continuare, da sola, i lucrosi affari di famiglia, alla faccia della bellissima madre che dovrà pagare con una perenne umiliazione l’aver ripetutamente tradito il marito. Ma nel cinico esercizio del suo ricco potere, Moni arriverà ad innamorarsi davvero, riamata, di Simo, ragazzo scaricatore di lastre di marmo, che arriverà ad amarla perdutamente senza sapere nulla della sua vera identità, quindi per quella che è: ragazza grassa dal viso dolcissimo e dalla pelle eburnea. Moni continua il suo racconto in prima persona fino al penultimo capitolo, ovvero fino a che in lei stessa, e in noi lettori, resta una lontana speranza che la sua scelta finale possa essere diversa, e che il suo denaro possa essere espressione di un comportamento più vicino all’etica che all’accumulo. Ma così non sarà, e il finale sarà scritto da un narratore esterno, in terza persona: Simo offrirà a Moni tutto il suo amore, la sua vita, i suoi magri guadagni col conforto dell’unica realtà che lui conosce, fatta di salti mortali quotidiani per avere un tetto che perde acqua sopra la testa e salsicce unte maleodoranti a pranzo e a cena. E lo vediamo disperato, alla fine del romanzo, mentre tutti i suoi tanti parenti cercano di rendere credibile la grande festa di fidanzamento miseramente fallita per l’assenza della fidanzata, e mentre l’ultima scintilla di senso in quell’esistenza fatta solo di fatiche, rischi e miseria diventa l’emigrazione, il definitivo straniamento da una realtà che non ha più nulla da dare a nessuno.
Ho svelato il finale della storia di Moni, ma non intendo fare altrettanto per le altre protagoniste, che però hanno bisogno di un minimo di dettagli.
Becky è la splendida moglie di uno degli uomini più ricchi di Sofia, subisce il fascino della ricchezza ma prova disgusto per il marito, vorrebbe andare in Germania sei mesi e portare con sé la sua massaggiatrice, di cui è innamorata.
Di è massaggiatrice di Becky e di altre ricche signore, si garantisce così la sopravvivenza economica, ma in realtà è un’ottima studentessa di letteratura francese all’università. Una delle sue clienti la paga per iniziare sessualmente il figlio, considerato troppo sensibile e avulso dalla realtà. Di accetta, ma finisce per innamorarsi del ragazzo, ricambiata.
Arma è la madre di Di, una signora raffinata e colta, non più giovane ma ancora piacente, che si ritrova in miseria e per garantirsi almeno due pasti al giorno accetta la corte volgare ma generosa di chi campa rubacchiando il cibo dei rinfreschi alle presentazioni letterarie, o di un funzionario postale in pensione.
Nora è una bellissima ragazza, che condivide un buco di due stanze con la madre distrutta da un lavoro mal pagato, e con due fratelli gemelli, geniali a scuola ma alcolizzati. Nora fa la cameriera tuttofare nell’infimo locale di Gozo, un vero bruto, che però non riesce a violentarla per eccessiva ubriacatura, quindi passa la mano al marito di Becky, occasionalmente da quelle parti, che completa l’opera, mettendo incinta la ragazza. Il risultato di tutto ciò è la cinica cattiveria di Nora, che sceglierà la lotta senza quartiere pur di vendicare se stessa, il suo bambino e salvare i suoi fratelli, anche a pugni e calci.
Viene da chiedersi chi si salvi in questo sfacelo, chi rappresenti davvero un costrutto degno di contribuire all’avanzamento sociale, o al miglioramento almeno di se stessi. Difficile dirlo, anche perché forse la stessa scrittrice non intende forzare la mano a una realtà quotidiana che di per sé appare come una denuncia senza scampo alla potenza del denaro e al fascino perverso del potere. Forse i due ragazzi innamorati rappresentano quanto di più vicino al Bene si possa qui immaginare, ma è una positività minata da una debolezza inguaribile, perché in questa storia l’amore non salva nessuno, non riscatta nulla, non nobilita alcuna esistenza. E se l’amore, impersonato da due ragazzi, nulla può, resta alle ragazze il compito di rappresentare e sopportare tutto il resto, un resto che per quanto cinico e a tratti raccapricciante costituisce il tronco su cui si reggono i rami dell’attuale realtà contemporanea. Che non è trattenuta tra i confini della Bulgaria, ma alla fine appare propria di quelle parti di mondo in cui furbizia e disincanto la fanno da padroni, col portafoglio gonfio di banconote o di carte di credito.
Questa quindi non è certo una storia per educande, ma non si pensi che una trama siffatta costituisca una sorta di Pulp Fiction balcanica: la magia di Zdravka Evtimova è l’aver raccontato il brutto e il marcio con uno stile di affilata ironia, di cinismo sarcastico, di gag da tragicommedia che a tratti strizzano l’occhio persino al teatro dell’assurdo. Così il lettore è perennemente combattuto tra la smorfia di disgusto e il sorriso sardonico, ben presto consapevole che per duecentocinquanta pagine sarà inseguito dal fascino dell’orrido e sarà roso dalla curiosità di sapere come andranno a finire le storie di Moni, Becky, Di, Arma e Nora. Fino a dispiacersi di aver raggiunto l’ultima riga e si augurerà una rapida uscita di una prossima raccolta di racconti della scrittrice bulgara, quindi noi tutti lettori accaniti ed esigenti l’attendiamo a piè fermo.

 

 

 

 

Zdravka Evtimova
Sinfonia
Lecce, Besa Editrice, 2015
pp. 250

 

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