“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 07 December 2015 00:00

Calcio, storie, metafore

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Ci sono il vero e il possibile, in Quell'ultima parata; la storia e la leggenda s'incontrano e si confondono, in Quell'ultima parata; c'è il calcio degli albori, quello che in Italia si gioca nei primi decenni del Novecento e che trova la sua culla d'elezione a Genova, per poi diffondersi progressivamene nel resto del Paese. Pionieri di una febbre che sarebbe in breve divenuta delirio, le cui prime, frammentarie narrazioni contribuiscono a circonfondere d'un'aura mitica, quale quella che avvolge storie in cui al fatto storico si somma, quasi ancillare, l'immaginazione, ingrediente aggiuntivo che determina la trasfigurazione della storia nel mito.

E, parlando per miti, le storie si fanno archetipi, si modellano su episodi tramandati da una memoria orale, o al massimo da qualche carta ingiallita di giornale e da fotografie d'identico colore, e i racconti s'infarciscono di particolari, di dettagli, ma soprattutto assurgono a chiave di volta metaforica con cui leggere la realtà, quella di ieri e quella di oggi, quella di ieri per leggere quella di oggi.
Così, Quell'ultima parata, di Fabrizio Bancale diviene una storia che dice di tante storie, raccontando col linguaggio del teatro la parabola di un sogno, una storia in cui si evocano i miti dei pirati per raccontare d'altre piraterie, più vere perché storicizzate. Su un palco a scacchi prende forma una storia possibile, che scava in un passato remoto, in cui il “giuoco” del calcio era fatto di porte senza reti, di scarpe senza tacchetti ed a giocarlo erano uomini coi baffi a manubrio e le mani callose per il lavoro svolto altrove; e da quel passato emerge una storia, vera, verosimile, o forse solamente non del tutto falsa, che parla di Franz Calì, il primo ad indossare la fascia di capitano della Nazionale italiana di calcio, e parla soprattutto dei sogni di un ragazzo, Mario Seghesio, detto Gheghe, vocazione portiere, l'emulazione di Zamora come aspirazione riposta in un cassetto, il mito di Calì da seguire come una stella polare. Racconta questa storia, Quell'ultima parata, la romanza, la ricompone per farne metafora più ampia, premettendolo con una dichiarazione chiave, affidata al narratore fuori scena (appena fuori, al punto di non esserne davvero del tutto fuori): è un uomo col bastone e i baffi a manubrio, seduto su una duplice pila di giornali, come a sancirne il ruolo testimoniale, nella finzione scenica è Franz Calì (Urbano Lione), col suo amore per le storie di pirati, che qui si fa narratore di un'altra storia, vera, verosimile, o forse solamente non del tutto falsa, e ce lo dice esplicitamente: “Le cose non sono andate esattamente così, ma lasciamo perdere”. La sua è una voce che racconta e che romanza, mentre la voce “ufficiale”, che riporta dei fatti la cronistoria fedele, ha il suono e l'aspetto d'una cabina radiofonica posta da un lato della scena, una cabina nella quale Gaia Riposati, uscendo dal personaggio della madre di Gheghe, entrerà più volte per dare alla narrazione coordinate storiche precise.
Sicché, sulla storia di Gheghe, della sua passione per il calcio e in particolare per la squadra dell'Andrea Doria, s'innerva la Storia – quella con la esse maiuscola – di anni bui, in cui anche il gioco del calcio si fa veicolo di altri giochi – quelli di potere – nelle mani nere di una nuova generazione di “pirati”, che non vengono dal mare e che s'impossessano del gioco come mezzo di propaganda.
Nel diventare messinscena teatrale, la storia, vera, verosimile, o forse solamente non del tutto falsa, segue un suo corso che punta a far emergere i risvolti umani di una piccola storia inserita nel contesto più ampio dei grandi rivolgimenti che s'accompagnarono all'avvento del Fascismo, ombre di figure nere proiettate sul fondale. La costruzione scenica è semplice, con tre attori per quattro personaggi (con Gaia Riposati che si sdoppia nel ruolo della madre e dell'innamorata di Gheghe, oltre a fungere da narratrice radiofonica a latere), con Domenico Balsamo a vestire abiti da gioco di antica foggia e ad impersonare i sogni ingenui di una generazione d'inizio Novecento, coi propri freschi e molto umani miti da osannare ed il cozzo con l'amara verità in procinto di angustiare.
Da un lato, ai margini della scena, il pianoforte di Lorenzo Hengeller accompagna la scena evocandone i suoni possibili; così, la storica sigla di Tutto il calcio minuto per minuto contribuisce a creare quell'atmosfera trasognata di un calcio raccontato da quelle voci che si diffondevano nell'etere, consentendo agli appassionati di immaginare e sognare, prim'ancora di poter vedere; mentre i ritmi del jazz e del tango raccontano di echi lontani che nell'Italia del primo Novecento arrivavano ovattati.
Nel mezzo, l'evoluzione drammaturgica, con le su sfaccettature, con la storia di un giovane aspirante portiere, che sogna di emulare le gesta dei suoi miti e che si dona anima e corpo a questa nuova forma di Commedia dell'Arte chiamata calcio; insieme a questo trasporto candido, puro, nient'affatto scalfito dalle vicissitudini politiche che pure attanagliano il Paese negli anni Venti del Novecento, prende forma in scena anche l'essenza “deviante” di questa passione, che fa perdere il contatto con le vicende pregnanti, il cui principio di realtà è nella fattispecie incarnato dalla figura di Sonia, coscienza politica rimossa di un ragazzo che è tutto proiettato sul sogno che ruota intorno ad una sfera di cuoio cucita a mano. C'è un contrasto tra i sogni e la realtà, una inconciliabilità che talvolta deflagra, talaltra resta appena accennata, in ogni caso irrisolta.
Raccontando una storia, vera, verosimile, o forse solamente non del tutto falsa, Quell'ultima parata racconta di come nascono, crescono e infine s'infrangono i sogni; racconta, Quell'ultima parata, di come spesso il candore autentico delle illusioni crolli col fragore di un muro che cade, scontrandosi con le angherie della realtà, che possono avere il volto bendato dei pirati, la camicia nera della dittatura o anche semplicemente la fatalità di un accidente occorso su un campo di calcio.
Racconta, Quell'ultima parata, come di una storia – di cui c'importa fino a un certo punto se e quanto possa essere vera – si possa fare materia teatralmente plasmabile, nella forma semplice della narrazione scenica; ne deriva un lavoro valido, uno sguardo onesto sull'essenza pulita dei sogni e sulla durezza della realtà che talvolta li spegne.
Tra vero e possibile, tra realtà e metafora.







Quell'ultima parata
scritto e diretto da Fabrizio Bancale
con Domenico Balsamo, Urbano Lione, Gaia Riposati
musiche eseguite al pianoforte da Lorenzo Hengeller
scene Luigi Ferrigno
costumi Antonietta Rendina
disegno luci Peppe Cino
creazioni video Alessandro Papa
produzione Teatro Stabile di Napoli
lingua italiano
durata 1h
Napoli, Ridotto del Teatro Mercadante, 1° dicembre 2015
in scena dal 1° al 6 dicembre 2015

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