“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 08 October 2015 00:00

Esiste un narrativa dell’orrore ispanoamericana?

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L’ultima pubblicazione della casa editrice salernitana Arcoiris è Racconti ispanoamericani del terrore del XIX secolo, un’antologia eccentrica, giustamente inserita nella collana omonima. Gli autori proposti rappresentano aree culturali e nazioni latinoamericane molto diverse fra loro. Per ragioni economiche e demografiche, sono ovviamente maggiori in numero gli scrittori messicani (Alejandro Cuevas e Casimiro del Collado) e argentini (Juana Manuela Gorriti, Leopoldo Lugones, Carlos Octavio Bunge).

Ci sono poi un inglese, argentino d’adozione, William H. Hudson – autore di testi biografici eccellenti come La terra rossa e Un mondo lontano, entrambi tradotti in italiano da Adelphi – un cittadino della modernità e grande poeta come Rubén Darío (nato a Metapa in Nicaragua, ma migrato poi in Cile e Argentina, oltre che in Europa), un venezuelano, Julio Calcaño, e un ecuadoriano, Juan Montalvo. Se l’asse tematico è quindi chiaramente definito, la pluralità di voci è alquanto interessante: abbiamo rappresentate l’area centroamericana, l’area tropicale, quella andina, il Río de la Plata e infine uno scrittore cresciuto a cavallo tra due culture – nello specifico, inglese e rioplatense, in quel periodo oltretutto in conflitto tra loro.
Come segnala Lola López Martín nella postfazione, i campi tematici principali dei racconti sono l’apparizione dell’anormale o dell’unheimlich freudiano, come il rospo malefico del racconto di Leopoldo Lugones; il controllo telepatico della mente esercitato da un’alterità inquietante, come accade al brav’uomo Pelino Vieira di Hudson; infine, e immancabile, la comparsa di un essere demoniaco in contatto con l’aldilà, come nel caso di Casimiro del Collado.
Dopo questa breve descrizione dell’antologia, mi sembra il caso di esporre un paio di considerazioni estranee al contenuto dei testi e relative all’oggetto libro che il lettore curioso avrà per le mani. La prima parte da una questione aneddotica. Ho letto il volume durante un viaggio di cinque ore. Distrazioni, trasbordi e altre sciocchezze hanno fatto sì che fossero appena sufficienti per arrivare all’ultima pagina, note biografiche e postfazione comprese. Ebbene, è stato uno dei viaggi più brevi e gradevoli che io ricordi. La capacità di intrattenimento dei libri è sempre degna di plauso. La lettura come passatempo, mai banale né effimero; una distrazione intellettuale avvincente e stimolante, ricca di ipertestualità, fautrice di riflessioni e di spunti culturali.
Le brevi narrazioni presenti ci offrono svariati stimoli positivi per la curiosità e il piacere. I primi, forse scontati, sono il male, la paura – e quindi ciò che è sinistro e l’orrore – il bisogno della narrazione dell’ignoto, forse uno dei nostri primi argomenti narrativi (assieme ai viaggi e alla lettura dei segni). Successivamente, la curiosità va verso una lettura latinoamericana altrettanto moderna ma in fondo aliena agli stereotipi dell’esotismo, della magia tropicale, e l’attivazione di un luogo letterario (ameno), vicino e lontano a noi. Sono tutte storie perfettamente fruibili per il lettore europeo, nelle quali vivono però tematiche e luoghi trascurati a lungo da un’editoria italiana ossessionata dal miracolo barocco o dalla violenza politica. Lontana dal desiderio di allungare il numero di epigoni vendibili, Arcoiris ci offre una diversità latinoamericana che non dipende da una più o meno velata copia della cultura europea.
In secondo luogo, un plauso particolare va ai traduttori (in ordine alfabetico, Alessio Mirarchi, Dajana Morelli e Marcella Solinas), al revisore e ai redattori del libro. Non si tratta né di piaggeria, né di una strategia pubblicitaria. Parlo da lettore, probabilmente pignolo o addirittura pedante, ma credo che le mie prossime considerazioni vi troveranno d’accordo. In un’epoca in cui i tempi di pubblicazione sono enumerati in costi di produzione e vanno a incidere sulla cura, molto spesso approssimativa, dell’edizione, capita spesso di imbattersi in un libro viziato da refusi, sviste e sciatterie di qualsiasi ordine. Contro la logica commerciale, Arcoiris opta per l’impegno culturale. Tralascia il profitto a favore di un lavoro certosino di traduzione (il testo di arrivo è un testo letterario in cui ogni parola è scelta per il suo valore semantico ed estetico) e una revisione altrettanto rigorosa. Non ci troviamo solo di fronte a un volume in cui possiamo leggere alcuni testi “stranieri”; entriamo in contatto con un prodotto culturale che, con maggior o minor incidenza, contribuisce alla formazione della nostra identità di lettori dell’italiano. Se ci pensiamo, infatti, il nostro immaginario culturale, estetico, letterario si è forgiato molto spesso attraverso la lettura di testi tradotti. Se il traduttore, o la casa editrice, trascurano quindi l’importanza della lingua, la nostra padronanza dell’italiano inevitabilmente ne risente. In tempi che declinano, come questi, il profitto come imperativo sta diventando anche un pericoloso dispositivo di cambiamento del nostro uso della lingua.
Un ringraziamento, quindi, ad Arcoiris e all’idea che il libro sia innanzitutto uno strumento della conoscenza.

 

 

 

 

AA.VV.
Racconti ispanoamericani del terrore del XIX secolo
traduttori Alessio Mirarchi, Dajana Morelli, Marcella Solinas
postfazione Lola López Martín
Salerno, Arcoiris, 2015
pp. 150

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