“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 23 September 2015 00:00

Quale bella gente?

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“Sarà una guerra contro la società, contro le patrie, contro i poeti e i pittori che frequentano la Sua casa, contro le care famiglie, contro la falsa autorità dei padri e la falsa ubbidienza dei figli, contro il progresso e contro la Sua emancipazione, insomma contro la borghesia".
(Joseph Roth)

 

Che strano animale la famiglia. Un vero mostro con mille teste e mille volti, è necessario un attimo perché quella che sembrava essere la testa decisiva, quella di cui fidarsi ciecamente, cambi, muti, fino a mostrare in realtà il multiforme aspetto e le scoraggianti deformità. Quando poi questo mostro preistorico, più antico degli dèi sull'Olimpo, è una piccola famiglia borghese, ingentilita da alti ideali, da un passato sessantottino e una comodità attuale annaffiata con qualche opera di beneficienza – come una collezione di immaginette sacre salvata dall'acqua santa – allora ecco il quadro perfetto di un Leviatano ambiguo, del quale vi consiglio di diffidare, anche se la sua missione è quella di salvare il mondo, nessuno escluso.

Equilibri fragili, umani stupidi, l'idealismo sfrenato che si confonde con l'ideologia e la propaganda patetica. La brava e bella gente tutta ideali e bon ton è l'emblema eterno del perbenismo imperante, della territorialità come istinto animale. Una società scaduta, gelosa delle sue conquiste, con ancora qualche spinta residuale di bontà che è un attimo perché diventi buonismo. La verità è che il principio secondo il quale tutti siamo uguali di fronte alla legge è il primo comandamento che compromette tutto il resto. In un mondo sempre più astratto, più vago e approssimativo, in una condizione umana sempre più alienata da qualsiasi contatto autentico, l'azione viene svilita e tutto diventa il simbolo insignificante della nostra autoreferenzialità. Il bene come idea somma vive ancora in un iperuranio che ci incarichiamo di mantenere, ogni bell'azione è lì, ferma, immobile, un bel modellino che a volte decidiamo di imitare. Eppure oggi la domanda che ognuno di noi dovrebbe porsi rispetto alla natura reale delle nostre azioni e, ancor di più, circa quello che sposiamo già cadavere, è una sola: siamo disposti a sacrificare parte del nostro privato in vista di qualcosa che appare essere giusto e buono? Siamo davvero disposti ad accogliere la prostituta bambina in casa nostra senza poi pretendere che la stessa diventi il simulacro, lo specchietto catarifrangente delle nostre personali glorie? L'appagamento per una buona azione è una contentezza di sé alla maniera degli stoici egoisti, quando il compimento di un'opera giusta dovrebbe essere solo il risultato di un naturale senso umano che nella teoria come nella prassi non valichi mai il confine della cosa stessa, non si trasformi mai in qualcos'altro. La verità è che le nostre missioni salvifiche sono ronzini azzoppati in partenza, il fine non è mai l'uomo in quanto uomo, il fine è l'ideale vertiginoso che ci mette ai piedi un paio di trampoli e ci fa sentire Dio per pochi attimi di equilibrio. La paura più grande? La contaminazione. È importante separare: benefattori da beneficiari, referente dallo straniero, universale dal particolare. Sarebbe terribile se all’improvviso perdessimo il nostro ruolo di ‘filantropo’, amico dell’umanità? Tutto diverrebbe vano, niente separazione, demarcazione, niente pubblicità, nessun eroismo. Cosa me ne faccio di quest’opera buona e giusta se nessuno può vederla? Per fortuna tutto si snoda, ogni cosa si districa, al vaglio severo della vita effettiva nessuno passa indenne, allora scopriamo i mille volti della bestia che chiamiamo famiglia oppure semplicemente bipede implume. Perdere il controllo della propria beneficenza è inaccettabile, restituire dignità a un uomo non è la priorità, accogliere e non recriminare è impensabile. Solo finché i nostri animali domestici ci sono fedeli e ci ricordano il nostro potere possono essere tenuti al caldo in casa, ma guai a quella bestia che digrigna i denti e pretende di pisciare fuori dalla terrina, sarà scacciata via, sarà uno scandalo, il tradimento più grande al nostro piccolo ego spropositato che eternamente vuole il bene ed eternamente compie il male.

 

 

 

 

La bella gente
regia
Ivano De Matteo
sceneggiatura Valentina Ferlan
con Antonio Catania, Monica Guerritore, Iaia Forte, Giorgio Gobbi, Elio Germano, Myriam Catania, Victoria Larchenko
musiche Francesco Cerasi
fotografia Duccio Cimatti
casa di produzione X-Film, 360 Entertainment, Solaris Cinematografica
paese di produzione Italia
lingua originale italiano
colore a colori
anno 2009
durata 98 min.

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