“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 05 September 2015 00:00

La nascita di una religione

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La tensione verso il racconto personale e collettivo, lo sguardo rivolto all’esperienza umana, la capacità di creare storie capaci di riflettere la vita reale, sono centrali nella produzione di Emmanuel Carrère. Ora è toccato a questo viaggio nei sentieri del Nuovo Testamento. A Carrère oggi il Cristianesimo interessa più come racconto che come dottrina. Alla religione si è accostato in modo fervente e dogmatico in un particolare momento della sua vita. Arrivato all’età di trent'anni totalmente immerso nel solo regno dell’intelletto, Carrère ha infatti scoperto l’esistenza di un’altra dimensione spirituale e in essa ha trovato la via d’uscita da un dolore interiore che lo aveva privato, in successione, della voglia di scrivere, di amare, infine di vivere. Carrère era diventato un trentenne intollerabile anche a se stesso, così ha iniziato a leggere il Vangelo secondo Giovanni commentandolo. Per tre anni è stato un cristiano praticante. Ma i commenti al Vangelo, accantonati per decenni, gli sono stati molto utili durante la stesura di questo libro.

Libro che per forza di cose è diventato una finzione, c’erano troppi vuoti da colmare con un ritratto nuovo degli uomini del Nuovo Testamento. Prima di essere santi, erano come noi, con invidie e fragilità. Due in particolare: Paolo, l’inventore del Cristianesimo, e Luca, il narratore che racconta e interpreta la storia di Cristo, un indagatore che ha scritto trenta, quaranta anni dopo i fatti relativi alla vita di Gesù. Luca è quello del Vangelo, ma alla sua versione dei fatti ci arriva dopo gli Atti degli Apostoli, la sua esperienza, appunto, accanto a Paolo. E se il primo Vangelo, quello di Marco, segretario di Pietro, era tutto cronaca, Luca ci mette il carico: le parole del presunto messia contenute in un documento consegnatogli a Gerusalemme da un certo Filippo.
Il Regno attinge dunque agli archivi dell’umanità, il Nuovo Testamento, e ad archivi personali, i diciotto quaderni di commenti di Carrère. Che fa rivivere le figure e gli episodi del Nuovo Testamento con potente forza romanzesca, dando voce ai suoi protagonisti. Se Luca è l’artigiano della narrazione, Paolo di Tarso è l’eroe, figura straordinariamente complessa. Alle parole di Paolo, a differenza di quelle di Gesù stesso, abbiamo accesso diretto, ci sono delle lettere riconosciute come autentiche, non tutte quelle attribuitegli a dire il vero. Leggendo certi passi qualcosa fa pensare a Dostoevskij. Non sempre Paolo risulta simpatico ma un eroe ha bisogno di esserlo?
Non mancano indizi sull’Apocalisse e sul Vangelo proprio di Giovanni, che nel canone vengono presentati come frutto di un unico autore. Per Carrère, invece, una cosa è l’Apocalisse, scritta probabilmente dal discepolo amato da Gesù oramai vecchissimo, una sorta di santone isolatosi in un’isola greca, che scaglia un attacco fortissimo addirittura contro Paolo. Altra cosa il Vangelo, frutto di un secondo Giovanni, una sorta di segretario che rimette le cose a posto approfittando proprio della veneranda età del primo, che entra in questo modo nel canone assieme agli altri tre vangeli dopo avere rischiato la fine di un apocrifo.
Non sono stati anni facili quelli dei primi cristiani, se Paolo era indaffarato a erigere la sua chiesa, e dottrina, nelle sperdute contee anatoliche e macedoni, equiparando ebrei e gentili nella possibilità di accogliere il nuovo credo, rifiutando la Legge ebraica e, in fondo, prediligendo addirittura i pagani convertiti e non circoncisi, a Gerusalemme la prima comunità che ruotava attorno a Pietro e Giacomo, il fratello di Gesù, restava sostanzialmente ancorata a un ebraismo più tradizionale. I primi cristiani restavano in mezzo, disorientati da una diatriba che non riuscivano a capire, il mite medico greco Luca era tra questi, faticavano a lasciare l’ebraismo pur ammaliati dalla predicazione di questo tizio, Paolo, che scriveva lettere a destra e a manca e non si stancava di viaggiare per portare il messaggio che aveva elaborato. Poi, il 70 dopo Cristo, la distruzione del tempio di Gerusalemme da parte dei romani e la messa al bando, vera e decisa, degli ebrei, portarono i seguaci paolini a sottolineare la rottura con il vecchio ebraismo oramai prescritto. Conveniva smarcarsi.
Dato che l’unico modo per vivere davvero qualcosa e poterla raccontare è farla passare attraverso se stessi, ecco che mentre narra questa rivoluzione del I secolo, Carrère ci parla anche della sua madrina Jacqueline, della psicoanalisi, del rapporto con la moglie, di Philip Dick e anche di un video porno trovato in rete a cui sono dedicate cinque pagine che sono state molto discusse in Francia. Il porno dei nostri giorni rappresenta in qualche modo il contrasto ideale tra la pittura sacra e quella profana. La comparsa di questo video nel tessuto della narrazione ruota attorno a un discorso incentrato sulla Madonna. E da questo accenno capirete il perché delle polemiche.
C’è poi un passo molto interessante giocato sul filo dell’iconografia: Carrère si chiede perché nella tradizione pittorica occidentale, ricca di santi, martiri ed evangelisti, perfino l’oscuro Matteo, Paolo non trova posto. Paolo che, ad esempio, detta le sue lettere al segretario a Corinto, Paolo che a Gerusalemme si scontra con Pietro e Giacomo, Paolo a Cesarea o a Roma sull’orlo tra la vita e la morte. Strani percorsi quelli dell’arte. O, magari, delle committenze. Eppure una figura così dostoevskijana, barbuta, malata, uno che peraltro non le mandava a dire, il fondatore della chiesa di Cristo, meritava un’intera galleria di dipinti.
Alla fine torna il nome di Jean-Claude Romand, il protagonista de L’avversario, del quale Carrère custodisce in casa i dossier giudiziari, che in futuro conta di potergli restituire. Ecco che il romanzo del regno del male si collega a Il Regno come a chiudere un cerchio perfetto in cui gli opposti si congiungono. È sempre il testimone Carrère, alle prese con la vita e la storia degli uomini, che c’informa che ha scritto Il Regno libro guidato non più dalla fede ma dalla... buona fede. Niente di trascendente, bensì qualcosa di molto umano. Io, da laico, mi fido.

 

 

 

 


Emmanuel Carrère
Il Regno

traduzione Francesco Bergamasco
Milano, Adelphi, 2015
pp. 428

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