“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 28 March 2015 00:00

Nessuno tocchi Caino

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In una profonda semioscurità si staglia netto il cerchio bianco al centro del palco composto da tante mele, pere, ananas e altri tipi di frutta tutta bianca e un albero stecchito che pende dall’alto, capovolto, dello stesso colore degli altri oggetti. Al centro di questo cerchio vi è un uomo sdraiato ed un altro in piedi al di fuori della candida circonferenza. Indossano entrambi la stessa maglietta bianca e dei pantaloni blu al ginocchio. Sembra una divisa da bambini. L’uomo entra nel cerchio, si accoccola alle spalle dell’altro, poi inizia a muoversi carponi a terra come gli animali emettendo suoni gutturali: sembra stia cercando di svegliarlo.

Quando questo accade, i due iniziano un gioco, un rituale di avvicinamento e di respingimento, l’uomo che era fuori dal cerchio sembra condurre questa strana danza e questa comunicazione animalesca infantile. È sicuro di sé, quasi aggressivo. L’altro inizialmente sembra non riconoscerlo (è restio a seguirlo in qui movimenti sempre più rapidi) poi la situazione diventa più dolce, più tenera e i due iniziano a giocare insieme, a ridere come bimbi. Allora quello più aggressivo porta l’altro fuori dalla circonferenza e si ritrovano l'uno di fronte all’altro, in piedi e iniziano a parlare.
Nuovamente si percepisce la diffidenza iniziale dell’uomo che era sdraiato anche perché viene incalzato dalle domande dell’altro che vuole sapere cosa faccia lì, chi stia aspettando, lo pungola in modo impetuoso chiedendogli del suo passato, della sua vita come se conoscesse già ogni risposta. È il giorno della donazione a Dio, entrambi aspettano il proprio fratello. L’uomo che sembra sapere tutto, lentamente fa emergere nell’altro ricordi lontani, ricostruiscono insieme fatti accaduti ad entrambi. I due uomini hanno avuto un’infanzia felice con i loro fratelli che hanno amato all’inverosimile, (“Per te potrei mangiare il Sole a morsi…”), poi crescendo hanno ricevuto dal padre i mezzi per costruirsi una vita: uno è pastore di greggi, quello che “sa”, l’altro coltiverà la terra. Si intuisce − attraverso il movimento scenico rapido e le battute che si intrecciano tra esitazioni e sicurezze − che un mistero lega i due e che piano si disvelerà attraverso deduzioni, inferenze, rimandi.
Il giorno cruciale che viene rievocato è quello della donazione in cui ognuno di loro regala a Dio la parte migliore del proprio raccolto. Solo che quel giorno, l’uomo che “sa” vuole portare l’altro ad ammettere a se stesso che il germe dell’egoismo era stato gettato molto prima quando, con la divisione del lavoro e la durezza dell’esistenza, l’uomo si era convinto di non essere amato dal Padre. Il sordo rancore che covava nascosto dentro di sé lo aveva fatto diventare sempre più avaro nelle offerte a Dio al punto da tenere per sé le messi migliori.
Quest’uomo vinto dal rancore è Caino che − nell’immaginario collettivo − si raffigura spietato, crudele, quasi non avesse fattezze umane. Invece ci troviamo di fronte questa figura debole, smemorata, insicura. L’altro, quello che “sa”, è Abele che − al contrario − si immagina remissivo, debole, di quella bontà che valica il confine della stupidità. Invece sulla scena si assiste a questo geniale ribaltamento delle due psicologie: un Caino vigliacco, vergognoso, che millanta imprese coraggiose attribuendosene il merito quando invece tutto ciò appartiene al fratello. Abele riesce a stanarlo, a portare avanti alla sua coscienza il terribile atto di cui si è macchiato, accusandolo di aver tradito il suo amore fraterno, i giochi e i patti segreti di infanzia. Così quello che si vede sulla scena è il luogo dove è avvenuto il delitto, è quella grotta formata dal circolo bianco, fatto dalle offerte che sono state nascoste e dalla cappa arborea stecchita che li aveva visti fanciulli e complici. In questa grotta Abele riporta Caino e tutto si ricompone sulla scena: Caino si dispone nella stessa posizione iniziale e Abele fa un passo per uscire dal cerchio, pronto a ricominciare tutto daccapo: tornare in sogno al fratello, fargli riprovare le stesse dimenticanze di ciò che è stato, riportarlo allo smarrimento della rimozione, fargli ricordare ciò che ha compiuto, come in una danza primitiva d'amore e di morte.
In Genesiquattrouno  il nucleo è la riflessione sull’altro, l’evoluzione di un legame fraterno che il dubbio della mancanza d’amore riesce a spezzare fino alla morte. Davvero interessante è il capovolgimento della psicologia e della dinamicità dei due personaggi, che mette in luce il gioco perverso del Male che si insinua in piccoli gesti di omissione, nelle assenze, nelle lontananze o, almeno, in quelle che si percepiscono come tali. Genesiquattrouno è il Capitolo 4 versetto 1 della Bibbia, in cui si narra della nascita di Caino e Abele dall’unione di Adamo con Eva. Questo testo è stato selezionato tra i finalisti di "In-Box": una rete di teatri, festival e soggetti istituzionali che ricerca, seleziona e promuove le eccellenze teatrali emergenti nella scena contemporanea sostenendo il lavoro delle compagnie under 35. In aggiunta, bisogna anche ricordare che il percorso artistico dei due autori e interpreti è ampio e di spessore e, questa rappresentazione,  ne ha dato la piena dimostrazione.

 

 

 

 

 

Genesiquattrouno. Caino e Abele, storie di fratellanze deviate
testo
Gaetano Bruno  
regia Gaetano Bruno, Francesco Villano 
con Gaetano Bruno, Francesco Villano
scene Igor Scalisi Palminteri
luci Cristian Zucaro
musiche Gaetano Bruno
produzione Compagnia Bruno/Villano 
in collaborazione con In Balìa Compagnia Instabile
durata 1h
Napoli, Piccolo Bellini, martedi 24 marzo 2015
in scena dal 24 al 29 marzo 2015

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