“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 19 January 2015 00:00

Per fare un albero...

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"Chi conosce la scienza sente che un pezzo di musica e un albero hanno qualcosa in comune, che l’uno e l’altro sono creati da leggi egualmente logiche e semplici".

Anton Čechov

 

Inizio questa recensione con una personalissima premessa: amo gli alberi. Mi affascina il loro permanere nel tempo, spesso oltre quello della vita umana, come se fossero taciti guardiani di luoghi speciali. La loro presenza è, per me, discreta: quando sono presenti in numerosi esemplari il mio occhio raramente si sofferma ad osservare il singolo, ma quando non ci sono – come in certe parti della città – ne avverto la dolorosa assenza. Quel verde cangiante nasconde la promessa di un respiro fresco nella torrida estate, e di un riparo dal vento sferzante dell’inverno.

Spesso passeggiando nei boschi mi soffermo, incantata, ad osservare la torsione di un tronco, la sfumatura cromatica di una corteccia, la piovra delle radici; la postura che un albero assume e i rapporti che intrattiene coi suoi vicini più o meno cresciuti, lo rendono curiosamente vicino ad un essere antropomorfo cristallizzatosi in una forma nuova, un po’ come Dafne nella bella scultura del Bernini.
Si capirà dunque il motivo della mia curiosità per un libro intitolato Arboreto salvatico, in cui proprio gli alberi ricoprono il ruolo di protagonisti.
Ammetto che l’idea è deliziosamente originale: legare un albero ad una particolare storia, come se nel libro della vita di Mario Rigoni Stern – l’autore – non ci fossero capitoli numerati ma alberi, in particolare quelli che crescono sulle nostre Alpi.
L’idea di partenza è dunque particolare, ma dopo appena poche pagine il mio naso di lettore si è arricciato, infastidito da qualcosa: la struttura dei capitoli è sempre uguale a sé stessa, e questo può risultare monotono. Si comincia sempre con un breve resoconto di come l’albero in questione è arrivato nel brolo dell’autore, per poi proseguire con un’enumerazione delle zone geografiche in cui nasce e prolifera. Non manca mai una descrizione esatta dell’aspetto esteriore del legno, dei fiori, dei frutti e delle foglie, persino del modo in cui esse si dispongono lungo i rami: a questo proposito forse sarebbe stato meglio creare un’edizione con delle belle illustrazioni o fotografie, in modo da evitare al lettore la scocciatura di navigare nel pelago del web per avere un’idea dell’albero che l’autore si affanna a descrivere così minuziosamente; a questo proposito però non posso che appellarmi al buon nome dell’editore, nella fattispecie Einaudi.
Questo curioso suggerimento a proposito della veste editoriale da dare ad Arboreto salvatico mi dà modo di illustrare il vero problema legato al libro, cioè il suo strano genere ibrido, che finisce per tradire le aspettative del lettore nell’uno e nell’altro senso. Il libro è infatti diviso e impostato come una sorta di selezione di alberi, scelti proprio perché legati a episodi della vita dell’autore: sappiamo quindi che non avremo mai un catalogo completo delle specie che popolano le nostre latitudini. Forti di questa convinzione, ci troviamo però a leggere lunghe descrizioni che sembrano opera di un botanico, mentre la parte dedicata al legame dell’uomo con la natura arborea si riduce ad un breve cenno sulla distruzione inflitta dalla guerra o a qualche informazione sugli usi che, oggi come nel passato, si facevano del legno, o dei fiori, o ancora della resina.
Capisco che Mario Rigoni Stern fosse uno scrittore improntato al realismo, e comprendo anche che il suo intento fosse quello di dare risalto più alla natura che all’uomo, ma avrei preferito leggere qualcosa di meno didascalico, con informazioni – pur anche di matrice realista – non affastellate le une sulle altre, ma tessute in modo tale da ricreare la magia che sento ogni volta accadere al cospetto di un rigoglioso tronco fronzuto. Forse da semiscrivente, sono delusa perché un’idea del genere vorrei averla avuta io (anche se all’epoca della prima pubblicazione avevo fatto la mia comparsa sulla Terra da appena un anno...), e perché quella montagna di spunti mi sembra che sia stata sprecata, gettata nel terreno sterile dell’enumerazione didascalica. Inoltre mi sembra che le storie facciano riferimento solo alla guerra, e a quella parte di essa che interessa gli esiti, cioè ai danni che i bombardamenti hanno causato alla piante. Anche qui, a mio parere l’autore avrebbe potuto soffermarsi sul tipo di ferite che gli alberi avevano riportato, avrebbe potuto descrivere il modo in cui essi erano stati mutilati e quanto erano trasfigurati dopo essersi ripresi: ammetto candidamente di non avere idea di come un albero possa apparire dopo essere stato colpito dalle schegge di una granata. Posso immaginarlo, ma da un realista forse mi sarei aspettata una descrizione quasi fotografica.
Con tutta questa lunga critica non intendo sottintendere che l’autore non riesca a trasmettere il suo amore per la natura: al contrario, ne sembra soggiogato a tal punto da non riuscire ad esprimerlo, o almeno, questa è la spiegazione che mi sono data per essere stata così delusa da una personalità che Primo Levi definiva come "uno dei più grandi scrittori italiani".
Forse è un tipo di amore diverso da quello che provo io, l’autore resta più in ascolto della musica degli alberi, per dirla con Čechov; Rigoni Stern aveva, d’altro canto, sofferto per la guerra (a cui aveva partecipato come alpino) e per la distruzione di cui essa aveva disseminato i soavi versanti montuosi. La montagna, la cui fresca e inquietante tranquillità è – ed era – così cara alle sue genti, non era più il soffice mantello di aghi di pino che sempre li aveva protetti; era diventata una selva oscura in cui nascondersi e in cui cercare, in cui cacciare ed essere cacciati. I sentieri umidi battuti fin dalla prima infanzia, non avevano più niente di familiare, ma anzi, scoprivano un volto infido e terribilmente insidioso.

 

 

 

Mario Rigoni Stern
Arboreto salvatico
Torino, Einaudi, 2006
pp. 106

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