“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 29 December 2014 00:00

Romanzo o guida turistica?

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Questo è un libro che definirei “strambo” per la sua caratterizzazione in base al genere. Sembra infatti aprirsi come l’autobiografia di una siciliana che, per motivi di studio, si trasferisce a Londra, ma che poi decide di passarvi l’intera vita, costruendosi una carriera di tutto rispetto e formando una famiglia. Fin qui nulla di strano: noi lettori saremmo venuti a conoscenza dell’esperienza di una donna che, partita per avere prospettive lavorative migliori, alla fine ha deciso di trascorrere la propria vita nel Paese che l’aveva accolta.

Come dicevo, nulla di strano, ma allo stesso tempo niente di particolarmente esaltante. Non sarei qui a scrivere se invece Simonetta Agnello Hornby non avesse creato un romanzo ibrido, una sorta di patchwork creature che tanto ricorda lo shelleyiano mostro di Frankenstein.
L’autobiografia è condotta dando risalto non solo ai momenti essenziali della carriera e della vita dell’autrice, ma anche a quelli in cui è protagonista una dimensione che potremmo definire più intima, fatta di quotidianità e calore domestico;  in certi momenti si trasforma tuttavia in una trattazione sugli elementi che caratterizzano Londra come città. Non sto parlando soltanto delle più classiche e rinomate attrazioni turistiche, ma anche di quegli aspetti che solo chi vive per diversi anni in una città impara a conoscere; aspetti che rivelano la vera essenza di quel luogo, la sua sacralità legata alle consuetudini e alla cultura della gente che vi vive e, in ultimo, la sua lunga storia.
Credo che l’idea di partenza fosse quella di raccontare un’esperienza in cui il rapporto con la città in questione, Londra, è preponderante. Quasi a stabilire una connessione tra l’espansione urbanistica e la progressiva apertura di vedute di una diciassettenne che da un paesino della Sicilia si ritrova nella capitale più grande e cosmopolita d’Europa. Credo altresì che, fornendo gli estremi di questo legame con i luoghi, quasi come se sia presente il genius loci della tradizione romana antica, Simonetta Agnello Hornby ci dia la misura del suo amore per Londra e, allo stesso tempo, la spiegazione della sua scelta di rimanervi. 
Tuttavia questo racconto, in alcuni passaggi, assume le fattezze della pagina di una guida turistica: l’incedere narrativo diventa qui didascalico, spesso troppo ricco di informazioni, come se l’autrice tentasse di convincere il lettore a fare esperienza di quella Londra che lei sta illustrando, come se cercasse di convincerci – in maniera un po’ grossolana − a visitarla. Paradossalmente diventa più convincente quando non sta tentando di convincere; per tipi come me una città straniera assume bellezza e appetibilità proprio al di fuori delle canonizzate attrazioni turistiche, cioè di quell’immagine che la popolazione stessa decide di trasmettere di sé stessa. Proprio quel calore domestico che l’autrice riesce a trasmettere attraverso la descrizione della sua casa di Londra permette di sentirsi meno spaesati, meno stranieri in terra straniera.
Non so se attribuire questa vocazione didascalica alla sua formazione di avvocato o alla sua “inglesizzazione”: da un lato, per chi ha già visto Londra può essere interessante avere più informazioni sui luoghi visitati, ma dall’altro la narrazione troppo didascalica risulta noiosa.
Questo romanzo ibrido risulta però molto attuale per alcune tematiche che presenta, che rendono la situazione degli anni Sessanta (epoca del trasferimento dell’autrice in terra britannica) paurosamente e curiosamente simile a quella dei giorni nostri. In particolare l’emigrazione giovanile come scelta per poter disporre di migliori prospettive lavorative, laddove l’italiana amministrazione tende a tarpare le ali, soprattutto alle donne: l’autrice riconosce che a Londra il benessere c’è per chi lavora nella City, sebbene nelle periferie la situazione sia paurosamente dimessa e disagiata.
Questa dicotomia le ha permesso di avere successo come avvocato, ma al tempo stesso di aiutare coloro che erano più bisognosi e di inserirsi nel tessuto sociale e cittadino da una prospettiva del tutto particolare, della quale molti emigrati non dispongono in terra straniera. Londra si è confermata all’avanguardia, ancora una volta, nonostante la sua antica e controversa storia: Simonetta Agnello Hornby ha cercato, a modo suo (da qui il titolo La mia Londra), di fornirci un’immagine della città che l’ha ospitata e, probabilmente, nutrita come scrittrice.

 

 

 

 

 

 

Simonetta Agnello Hornby
La mia Londra
Firenze, Giunti, 2014
pp. 272

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