“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 12 December 2014 00:00

Dans la ville noire

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Il regista svizzero Alain Tanner, nel 1983, girò un film divenuto poi di culto fra cinefili e amanti di Lisbona in genere. Si intitolava Dans la ville blanche, perché è così che nordici e mitteleuropei vedono le nostre città inondate di sole: bianche.

E invece la Lisbona degli anni ’60, malgrado il sole, è una città decisamente nera. Quando nel 1974 cadde il regime, il ragionier Ugo Fantozzi, a un passo dalla grande popolarità cinematografica, ma ancora comico per pochi, scriveva ironico sul settimanale L’Europeo: “Anche Lisbona è perduta. Il Portogallo di Salazar era l’ultimo paradiso. I contadini, legati all’aratro, lavoravano ventisei ore al giorno lungo le dolci rive del Tago” (citato qui da Aldo Cazzullo). Ma quel Portogallo non era solo il paradiso di latifondisti e industriali bisognosi di una classe lavoratrice mansueta. Da tempo era divenuto il rifugio degli sconfitti della seconda guerra mondiale, un manipolo di loschi figuri in fase di riciclaggio. Le strade di Lisbona non ospitavano più scrittori e pittori ebrei in fuga, bensì i loro aguzzini di un tempo e relativi neofiti: fascisti di varie sfumature, in particolare francesi, divisi tra vecchi petainisti e nuovi membri dell’OAS, l’Organization de l’Armée Secrète che non accettava la decolonizzazione dell’Africa francofona e aveva cominciato a operare, appunto, in Algeria.
Fra i personaggi che si aggirano per la capitale lusitana ci sono i misteriosissimi Yves Guérin-Sérac e Robert Leroy. Gestiscono una fantomatica agenzia stampa chiamata Aginter Press, che serve da copertura alla loro attività internazionale. Di cosa si tratta in realtà? Di quella che convenzionalmente si suol chiamare “guerra non convenzionale”; in altre parole: terrorismo. Salazar evita contatti diretti dei suoi gabinetti ministeriali con gli uomini di Guérin-Sérac; lascia che siano la polizia politica e l’organizzazione paramilitare della Legião Portuguesa a curare certi rapporti. I quali tuttavia si rivelano piuttosto proficui, o non li finanzierebbe (a conti fatti dagli esperti, applicando l’indice del costo d’acquisto Eurostat) con l’equivalente di 800 mila euro annui. Questi neofascisti aggiornati alle tecniche di guerra in tempo di pace risultano preziosi in diverse azioni d’infiltrazione nei movimenti indipendentisti in Angola, Mozambico e Guinea; ma anche in operazioni parallele a più ampio raggio, come il tentativo di secessione del Biafra dalla Nigeria, in cui gioca un fondamentale ruolo logistico e diplomatico quello stesso Portogallo che si considera uno e indivisibile dai confini con la Galizia fino all’isola di Timor, nell’arcipelago indonesiano.
Pare che i cervelli dell’Aginter Press abbiano a cuore la civiltà cristiana occidentale. Il terrorista nero Vincenzo Vinciguerra, il quale afferma di aver conosciuto personalmente Guérin-Sérac (un uomo di cui quasi non esistono fotografie e, secondo alcuni, potrebbe essere ancora vivo, da qualche parte in Portogallo), lo descrive come profondamente religioso, uno che ogni sera recita la preghiera del paracadutista e come tutti i cristiani di razza – aggiunge l’autore della strage di Peteano – sarebbe pronto a fare massacri immani pur di salvare la Chiesa. L’Aginter Press si occupa anche di questo. Ha dei campi di addestramento in Algarve e propugna la pratica della strage: colpire alla cieca, ma prendendo bene la mira. Bisogna installare il caos per destabilizzare e poi ristabilire l’ordine in una nazione. Ancora una volta i portoghesi ignorano la fortuna lessicografica (e non solo) dell’espressione “strategia della tensione”, mentre in Italia, già nel dicembre del 1969, una nota dei servizi segreti segnalava questa agenzia e il suo direttore Guérin-Sérac come la mente dietro la bomba di piazza Fontana, fatta esplodere proprio in quei giorni. Ma i nostri inquirenti all’epoca erano intenti ad afferrare (o forse a lasciar cadere) i pericolosi anarchici del Ponte della Ghisolfa, così la nota rimase a lungo lettera morta.
Oggi, parafrasando la famosa immagine cara a meteorologi e “teorici del caos” (non terroristico), sappiamo che un battito d’ali di farfalla a Lisbona potrebbe aver provocato quella tempesta a Milano. Il colore di una città, in fondo, è sempre una questione di meteorologia.

 

 

 

 

NB. Il brano, che forma l'articolo, è tratto dal volume di cui si offrono i crediti in gerenza.

 


Marcello Sacco
Salazar. Ascesa e caduta di un dittatore "tecnico"
Lecce, Besa, 2014
pp. 88

 

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