“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 07 November 2014 00:00

Il mare non bagna la scena

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Un bel quadro. Un bel quadro, statico, da contemplare. Un quadro animato dalla voce di Gaia Aprea, interprete di questo tableau vivant che è D’estate con la barca. Ciclo monografico che per la terza stagione consecutiva anima la programmazione del Ridotto del Mercadante, Storie naturali e strafottenti prende le mosse dall’opera di Giuseppe Patroni Griffi, che, rispetto agli autori dedicatari delle rassegne precedenti – Anna Maria Ortese e Raffaele La Capria – dovrebbe possedere una intrinseca teatralità, proprio perché fu Patroni Griffi autore (anche) teatrale.

Non che la prerogativa della “teatrabilità” sia in sé virtù imprescrittibile: basti pensare, con un esempio per tutti, per rimanere ai cicli succitati, come era stata felice la resa registica che Linda Dalisi aveva fatto di quello in apparenza meno teatrale dei cinque racconti che compongono Il mare non bagna Napoli (Il silenzio della ragione), riuscendo a cavare da un testo sostanzialmente antiteatrale immagini e visioni che rendessero la pagina in scena spogliandola del libresco, scollinando dalla narrazione alla visione.
Ebbene, questo preambolo ci è funzionale per dire che questo passaggio dalla pagina alla scena, dall’inchiostro alla visione, in D’estate con la barca resta come imprigionato in una bolla, in un contenitore/acquario che si specchia nel proprio compiacimento estetizzante.
Domina la scena un telo obliquo che proietta il mare, sormontato da una barca (vera) su cui Gaia Aprea condurrà il racconto, con voce screziata ne scandirà i toni e con allusive vestizioni e ri-vestizioni ne sottolineerà i momenti di climax passionale.
Elegante e rotonda la scrittura di Patroni Griffi, racconta di due coppie di giovani amanti degli anni Cinquanta che inseguono (e consumano) la sensualità dei loro vivi ardori in barche che galleggiano alcove; racconto di una gioventù d’un tempo, indotta a vivere lontana e discosta dagli sguardi indiscreti la propria esuberanza, i propri amori, scegliendo il mare come testimone muto e sicuro ricetto dalle convenzioni borghesi.
La voce di Gaia Aprea è al timone del bastimento drammaturgico, che sostanzialmente resta ancorato alla fonda di una scelta registica che ripete se stessa: il grande velario proiettivo su cui poggia la barca, e che proietta immagini del mare, di un obliquo raggio di sole che lo illumina di taglio, di barche che stazionano al molo, della città immersa in un grigiore acquoso, nel tentativo ridondante di insistere sul medium equoreo, sembra rappresentare per Luca De Fusco, che firma la regia, più una facile scappatoia registica (una scialuppa, ci verrebbe da dire, rimanendo nell’ambientazione marinaresca), improntata ad un vacuo gusto estetizzante, piuttosto che un preciso stilema rispondente ad un ben delineato disegno; in sostanza, ritorna con insistenza l’uso di videoinstallazioni – come nei precedenti lavori firmati dal Direttore dello Stabile – senza che ciò appaia funzionale ad una idea registica di cui la messinscena si giovi. Un’idea registica piatta come il mare che sulla tela proietta e che la barca sormonta, e che finisce per dar luogo ad una rappresentazione anodina del racconto di Patroni Griffi.
Unico elemento che conferisce pàthos narrativo (e non drammaturgico, quasi come se si trattasse – per stasi – di una lettura drammatizzata) alla scena è la voce di Gaia Aprea, che si plasma lungo le pieghe del racconto, che segue l’onda narrativa accompagnandone con opportune modulazioni le variazioni tonali e le evoluzioni sensuali; purtroppo la gestualità che l’accompagna rimane sulla soglia di una scelta non presa, non decide se far accompagnare davvero alle parole le movenze del corpo, o se semplicemente alludere con gesti parzialmente accennati all’evocazione del narrato: spogliarsi e rivestirsi della camicetta finisce per essere gesto solo parzialmente esplicativo del libero e impudico amore a cui si abbandonano le due coppie di giovani negli anfratti concessi dal mare, ed il cambio cromatico del costume – in un breve controluce – per segnare il passaggio dal quadro di una coppia a quello dell’altra è espediente che poco rende.
Delicato contrappunto tonale è offerto dalla musica di fondo, che sottolinea felicemente coniugandosi alla voce di Gaia Aprea, i passaggi più intensi del racconto, di questo racconto che resta racconto e fatica a farsi teatro. Fatica perché, del teatro, finisce per mancare quasi del tutto la capacità evocativa affidata all’allusione, al gesto scenico che sappia fare della pagina un’immagine. Si opta altresì per l’elemento opposto, per l’immagine (proiettata) che evochi il contesto, senza che questo contesto evocato si animi di sostanza drammaturgica.
Rimane così un quadro, magari anche bello da contemplare, ma proprio in quanto quadro, caratterizzato da una sostanziale staticità, come una barca in piena bonaccia, che sembra scontare l’assenza di una mano ferma al timone, contumace il comandante (De Fusco), che lascia a chi ha tracciato la rotta (Patroni Griffi) ed al Primo Ufficiale (la Aprea) il destino di questa imbarcazione (la messinscena) in mare aperto, la quale lascia dietro di sé una scia avviata a precoce dissolvenza.

 

 

 

 

 

 

Storie naturali e strafottenti
D’estate con la barca
regia
Luca De Fusco
con Gaia Aprea
scena Luigi Ferrigno
costumi Zaira de Vincentiis
disegno luci Gigi Saccomandi
musiche Ran Bagno
realizzazione video Alessandro Papa
direttore di scena Teresa Cibelli
elettricista Fulvio Mascolo
fonico Italo Buonsenso
materiale elettrico, fonico e video Emmedue
sartoria Lorenzo Zambrano
produzione Teatro Stabile di Napoli
lingua italiano
durata 1h
Napoli, Ridotto – Teatro Mercadante, 4 novembre 2014
in scena dal 3 al 13 novembre 2014

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