“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 29 October 2014 00:00

I maschi politicamente corretti e le donne confuse

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Andrea De Carlo scrive questo romanzo in un italiano dove mischia un parlato raffinato, privo di emozione, noioso e, queste parole, sono le discussioni mattutine di marito e moglie. Craig Nelson, famoso antropologo inglese che si ritrova ogni estate a Canciale, un paesino italiano in Liguria, dove lo costringe a soggiornare Mara Abbiati, che è scultrice e fa gatti enormi, molto apprezzati dai galleristi.
La casa è vecchia e diroccata, Craig − che non ha nessuna abilità manuale − invece di aggiustare il soffitto della camera dal letto, casca, si fa decisamente male.
Il risultato è che la coppia di mezza età ha un buco nella camera da letto. Bisogna trovare un costruttore, il prima possibile, uno che non si perda in carte bollate, che abbia operai capaci, svelti, non possono dormire senza soffitto sul letto.
Si imbattono in Ivo Zanovelli, uomo fissato con le belle auto, con una vita dissipata e sensuale, ma capace, rapace, che guarda Mara, una moglie, come se spogliasse con gli occhi una ventenne.
Mara si accorge di attenzioni che risalgono lontane nel tempo: Craig, ormai, la guarda con un misto di complicità e di noia. Ogni personaggio parla per sé, il linguaggio di De Carlo va verso una polifonia, anche se l'italiano resta fin troppo elegante, anche nelle parole di Ivo.
Craig, il marito, non ha mai avuto un cuore primitivo, asserragliato nel politicamente corretto, nel suo inglese esangue, la sua sessualità vagamente "femminile" ("non ti farò del male, la penetrazione è una cosa violenta"). 
Mara, invece, vorrebbe giocare con il fuoco, vorrebbe un uomo che la trattasse come un essere inferiore nel sesso ("faccio io, tu godrai e basta").
Inutile dire che Craig detesta Ivo, l'animale, che arriva alla casetta con un macchina immensa, mentre l'inglese guida solo la bicicletta e vive per i tramonti e gli studi e per le sue studentesse, affascinate dal suo sapere, non certo dalle braccia possenti o dalle mani enormi di Ivo.
I lavori di ristrutturazione continuano, Mara rompe il tufo con cui stava facendo un altro gatto. Ivo la porta con sé a prendere un pezzo di marmo, che Mara non ha mai usato, trovandolo pretenzioso, banale, maschile.
Scappa un bacio, tra Ivo e Mara, niente di educato, ma labbra che si mordono, lingue che scavano. Il sesso sarà un magnifico dolore, niente "Scusa, ti ho fatto male".
Mara dimentica all'istante Craig: un pallone gonfiato, che le importa dei libri, delle sue apparizioni televisive, ha vissuto con un fratello "vagamente incestuoso".
Vicino alla casetta arrivano i carabinieri; che farà Mara? Lascerà il marito per una vita randagia o andrà a trovare Ivo in galera? De Carlo sembra parteggiare per i cuori primitivi, più reali. O forse no, perché nella società dei telefonini e degli urli sguaiati, siamo costretti a vivere a voce bassa, come eunuchi.
Le donne sono sempre state migliori, nei romanzi di De Carlo e chi immaginava mai che il suo libro più bello, anche se poco compatto e a volte un poco stucchevole, arrivasse dopo l'esprienza televisiva di un talent letterario, Masterpiece, dove solo il primo classificato aveva come premio duecentomila copie Bompiani.
Qualche recensione del tutto negativa, non importa, scritta da chi un libro non lo sa scrivere e si attarda sulle furbizie vere e presunte di un professionista come Andrea De Carlo – figurarsi, dobbiamo ancora abituarci a tutto il fango buttato su Alberto Moravia – e con distinguo e differenze linguistiche, questo libro, non fosse altro che per alcune suggestioni e personaggi, assomiglia a Il disprezzo.
Di Moravia, appunto.

 
 
 
 
 
 
 
Andrea De Carlo
Cuore primitivo
Milano, Bompiani, 2014
pp. 363

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