“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 21 October 2014 00:00

La casa di carne

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Prima di entrare nel vivo del libro, mi soffermo per poche righe sulla sua autrice, anzi, meglio, sulla scrittrice. C’è tra i due termini una differenza intuitiva, sulla quale non mi dilungo, perché mi sembra chiara. La scrittrice, dicevo, ha trent'anni, è nata a Verona, ma vive a Bologna, le sue esperienze di pubblicazione sono di nicchia e si dilungano su riviste on-line.

Il ritratto potrebbe adattarsi a innumerevoli suoi/sue coetanei/e, tutti a fare i personaggi, più o meno in movimento, di un quadro dipinto a tinte precarie, incerte, spaesate. Chi scrive in questo contesto, con il bagaglio umano ed esperienziale che ne consegue (e del quale sappiamo quasi tutto, grazie ai quotidiani bollettini del disastro socio economico che ci imprigiona), ci ha abituato all’esplorazione sistematica del proprio ombelico, ora in chiave divertente/dissacrante, ora con la maschera di anoressia/bulimia, ora attraverso l’ormai eterno tunnel della droga, talmente celebrato da non fare più neanche notizia.
Casa di carne non è così: questo è un romanzo vero, una prova di scrittura di gran buona scuola, uno sguardo su di sé e sul proprio mondo che riesce a farsi esemplare, e nello stesso tempo peculiare, di quello sterminato universo che si nasconde in ognuno di noi.
La storia è in fondo semplice, e assolutamente verosimile: una trentenne acculturata e padrona di diverse lingue straniere arranca in una quotidianità in cui non può permettersi una completa autonomia, quindi condivide casa, bollette e vita con altre coetanee, a loro volta precarie. Ma lei neppure sa davvero bene cosa vuole e dove vuole arrivare, e in fondo tutto le sta stretto: la laurea, la casa, gli spazi conosciuti. Tutto, meno le biblioteche: il suo tempo libero lo passa lì, in una crescita continua tra le letterature, col sottofondo di Dante Alighieri e dei grandi classici che l’hanno stregata fin da adolescente, e che fanno parte integrante del suo essere quotidiano. Eppure una casa serve ad ogni essere umano, e anche la nostra protagonista arriva a chiedersi che profili debba avere un luogo in cui sentirsi davvero “a casa”.
Il luogo in realtà è una persona, "LA" persona, insomma chi sia in grado di reggere, animare, sognare, vivere una vera storia d’amore. Angela, sempre con lo zaino pronto a partire, mettendosi in gioco senza limiti, né scudi protettivi, cerca l’amore: forse è la sua amica Miriam, forse Alessio, rocker di Rovigo, ramingo per l’Europa, forse Tiago, splendido ragazzo brasiliano. In loro Angela cerca la sua “casa di carne”, un terreno per le sue radici, e per questo scopo non esistono neppure confini e difficoltà spaziali. Infatti all’itinerario interiore corrisponde un percorso di viaggio vero e proprio, che porta l’azione da Trieste a Brest, passa per Rio de Janeiro e si proietta a Lisbona, città che non per nulla rappresenta un confine degno di Giano Bifronte, dove l’Europa (un mondo) ha inizio e fine.
La storia, ripeto, non si discosta da altre già lette, ma stavolta trae forza dai tempi del racconto, dalla sua dinamica narrativa, e soprattutto dal suo stile letterario. La ricerca linguistica di Francesca Bonafini ha qualcosa di vorticoso, il suo pensiero logico sembra perdersi nei mille meandri che contribuiscono a formare il pensiero compiuto. La fatica della ricerca interiore si riflette nella fatica della ricerca linguistica, ed entrambe sorreggono il racconto, si evolvono con il suo stesso dipanarsi. Più Angela è confusa, più complessa e stridente è la sua prosa; più si avvicina al suo Graal, più riconosce la sua “casa di carne” e più fluido diventa il suo discorso scritto. Esemplari sono le primissime pagine, che introducono il mondo acquoso e ondivago di Angela, e da subito marchiano la storia: “I miei trent’anni hanno il sapore agrodolce dell’inquietudine. Sono abituata a cambiare casa, cambiare città, cambiare per poi ritrovarmi a piedi in strade sconosciute e imparare a camminarci. Alla fine, scoprire che non ho capito niente e che ancora mi confondo”.
Questo è un romanzo contemporaneo, con tutto il carico di angosce, entusiasmi, follie, incertezze e incoscienza di quei ragazzi di cui tanto si parla, ma per i quali ben poco si fa, e che spesso appaiono come sconosciuti, maldestri, superficiali. Francesca Bonafini ci aiuta a non cadere negli stereotipi, ha l’ardire di aprirci a quello che davvero è il mondo dei suoi coetanei e lo fa attraverso la finestra della cultura letteraria e del bello scrivere. Il che, a soli trent'anni, sa quasi di miracolo.

 

 



Francesca Bonafini

Casa di carne
Roma, Avagliano, 2014
pp. 148

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