“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 21 September 2014 00:00

"Il Federiciano", diario d'un viaggio nella poesia (I parte)

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Si è svolto dal 23 al 31 Agosto 2014 il Festival Poetico Il Federiciano, giunto alla VI edizione. Ideato dall’editore e poeta Giuseppe Aletti, da sei anni ha annoverato tra i suoi partecipanti più di settemila iscritti, richiamando a sé artisti provenienti da tutta Italia e oltre, dato il suo carattere internazionale. È uno dei pochi concorsi di poesia la cui partecipazione è gratuita. Offre, inoltre, un ricco calendario di appuntamenti che, quest’anno, hanno avuto la loro acme con due presenze di spicco: Alessandro Quasimodo, figlio di Salvatore, premio Nobel per la Letteratura, e Mogol, il famoso paroliere italiano. Inoltre, il setting in cui si svolgono gli eventi è notevole: un borgo antico, sovrastato da uno dei castelli edificati da colui che era soprannominato “stupor mundi”: Federico II di Svevia.

Attraverso queste pagine, in forma di diario, vorrei condividere la mia personale vicenda in questa terra bellissima, Rocca Imperiale, nell’alto Ionio, che ho potuto conoscere solo grazie a Il Federiciano. Un grazie a tutti coloro che hanno reso possibile ciò, offrendo ricca e preziosa testimonianza di un meridione fervido, pieno d’anima e di poetici (dalla radice greca del verbo “poièo“, “Io creo”) sogni.

26 Agosto 2014

È un’alba come tante, qui, nel cuore del Cilento. Il cielo, come una spuma umida dell’essenza degli ulivi, lentamente sbiadisce, lasciando spazio ad un sole che rammenta una lampadina ad incandescenza. È un’alba come tante, dicevo, non fosse che, per qualche strana ragione – o richiamo al mio giovanile senso dell’avventura, stamane ho deciso di partire. Meta: Rocca Imperiale, in un qualche dove nella scoscesa (come l’ho sempre immaginata io) Calabria.
Carico il mio bagaglio in auto: un trolley, un borsone e una borsa monospalla. Ho scelto un mezzo ardito per giungere a Rocca: il treno offerto dal servizio regionale. È la fetta di onere che condividiamo noi del sud con tutti quei paesi bellissimi, trascurati dalle esigenze di essere perennemente raggiungibili, com’è invece per le grandi città meticce del resto d’Italia che hanno sposato i canoni newyorkesi. In cambio abbiamo tutto il resto da guadagnare: un paesaggio che assomiglia a sé stesso, fatto di identità precise, dialetti, lontano dalla pialla della globalizzazione – per quanto globalizzati lo siamo divenuti un po’ tutti, nostro malgrado. È della Bellezza dei nostri paesaggi che mi stupisco, quando il treno scorre lungo i binari verso questo paese di cui ignoravo l’esistenza fino a pochi giorni fa. Sono partita da “vera meridionale”: non ho un tablet o un I-phone, non posso essere costantemente aggiornata su tutto quello che accade nel mondo e, perciò, mi vivo il viaggio – e le sue incombenze: la paura di perdere la coincidenza e abbrustolirmi presso una stazione nel fondo del caro sud, con possibilità pari a zero di poter raggiungere la meta prestabilita. Se salta una delle quattro coincidenze che devo prendere sono fottuta. Se non riesco a lanciare al volo uno dei bagagli attraverso il pertugio che mi offre il portello di una delle carrozze, al cambio del treno, sono fottuta lo stesso. Perciò, metto da parte le preoccupazioni e mi godo il viaggio. Dal finestrino emerge un fiorire di litorali meravigliosi, che mi accompagnano dalla partenza fino alla destinazione. Attraverso di essi posso scorgere istantanee di paesi, la gente che li contempla, inamidata dalla crema solare, posso immaginare “se un giorno d’estate un viaggiatore” percorre il mio stesso tragitto, magari un quarto di secolo addietro (Trenitalia permettendo). E così macino il percorso Palinuro-Paola, Paola-Castiglione Cosentino, Castiglione Cosentino-Sibari; prendo in quest’ultima l’autobus sostitutivo del servizio regionale Trenitalia per poi giungere dopo un’ora a Rocca Imperiale. Non ho di che lamentarmi. Viaggio panoramico. Litorale selvaggio ed incontaminato. Sapori di antichità che mi salutano dal Castello di Roseto Capo Spulico, affacciato a precipizio sul mare – un’estasi. Siamo in Italia, penso, ed io continuavo ad ignorare tutto questo?
Dovevo ancora mettere giù il piede dal pullman, ma la Calabria per me aveva già vinto.
L’autista fa la sua fermata presso la stazione di Rocca Imperiale – la Marina di Rocca, mentre invece il borgo medievale è raggiungibile tramite navetta comunale, con una tempistica di dieci minuti di viaggio.
Io ho prenotato i primi tre giorni di questa “vacanza” all’insegna dell’otium letterario presso il Bed and Breakfast La Poesia, di cui mi sono innamorata consultando le strutture ricettive presenti sul territorio online. Ubicata a pochi minuti di passeggiata dal Castello Svevo, la struttura si presenta come unica nel suo genere: è realmente il tripudio della poesia! Tanti colori a creare vivacità negli ambienti, diversificati in minuzie e particolari con un gusto elegante e semplice al contempo, basti pensare che ad ogni stanza corrispondono un colore e un autore famoso, per cui, quando si va a fare colazione nella zona lounge comune, ci si siede al tavolino “addobbato” del medesimo colore e impreziosito da un originale centrotavola: pietre marine dai colori pastello, tinte a mano, con su scritti versi del poeta che ci è stato attribuito. Il frigo, ugualmente, è diviso in ripiani cromatici cui corrispondono i diversi ospiti delle stanze di cui la struttura dispone. Nulla è lasciato al caso, anche i corridoi sono arredati con poesie, nonché da una graziosissima vetrinetta in cui sono esposte le creazioni artigianali della proprietaria. Un’ultima chicca: nella stanza, quando si spengono le luci, anziché la classica lampada da comodino, si accende un pannello satinato, en pendant con il resto della stanza, con su riportata una poesia.
Appena arrivata a La Poesia mi ha accolto Magda, assieme al marito, Lorenzo, due persone cordiali e disponibilissime, di cui ho apprezzato sin dal principio la rispettosa discrezione, che subito mi hanno fornito tutte le informazioni che mi occorrevano, oltre a darmi una “piantina” del paese con su riportate tutte le stele poetiche affisse negli ultimi sei anni a Rocca Imperiale, assieme al programma del Festival.
Oggi, presenza di spicco, Alessandro Quasimodo, figlio del premio Nobel, racconta sé stesso e il rapporto con suo padre in due preziosi appuntamenti: il primo, al Chiostro dei Frati Osservanti, il secondo, presso il Castello Svevo. Unanimemente, ascoltando l’opinione di tutti gli accorsi, anche quelli presenti nel pomeriggio di ieri, 25 Agosto, Alessandro Quasimodo si è distinto per le grandi doti comunicative, le sue capacità attoriali, l’intensità con cui ha interpretato i versi paterni e la grande semplicità con cui si è proposto, conquistandoli tutti, ai convenuti agli incontri, conclusisi in serata con lo svelamento della stele poetica dedicata a Salvatore Quasimodo, alle pendici del Castello Svevo.
La serata non si conclude qui: è indetto il primo Poetry Slam de Il Federiciano, cui ho scelto di partecipare anch’io. È la prima volta che partecipo ad una manifestazione simile ed è emozionante emozionarsi delle emozioni di tutti questi cantori dell’anima provenienti da tutta Italia. Conosco, e mi innamoro, di Annamaria Ghirardello, poetessa logico-matematica, che concorre con una meravigliosa poesia sull’Amore e la sua Pienezza. Altri poeti, di cui non conosco ancora il nome, si avvicendano sul palco, tre minuti di tempo ciascuno. Io non so cosa proporre. Ad istinto, dalle mie risme scelgo Delle Memorie, che ho presentato alcuni mesi fa al Teatro Civico 14 di Caserta in occasione di un Certamen poetico. Passo il primo turno, con mia grande sorpresa. Voglio precisare che per me non è una gara, anzi, è più un’offerta di cibo. È un invito a provare la crostata che ho cucinato con le mie parole, con l’auspicio che possa innescare la voglia di fare un grande pic-nic della parola detta e scritta: assaggiare gli enjambements altrui, intingere un biscotto nel latte delle altrui memorie, apprezzare la sapiente lievitazione del pane che qualcuno ha sfornato dal suo cuore… condividersi è magnifico!
È così che ho conosciuti quelli che sarebbero stati i miei cari, nuovi, poetici amici: Umberto Donato di Pietro, Vittorio Fabbricatti, Pinella Pistis, Silvia Racanicchi, che mi ha profondamente emozionata, emozionandosi, leggendo una poesia al suo bocciolo di mamma, Matteo.
Tutti i poeti si sono cimentati in questo “banchetto” di versi, mettendo un ricciolo di panna al dolce della Poesia con gli occhi colmi di emozione, i cuori accesi, vividi, come tempere su una tela bianca. Una successione di cuori-pennello, un rito “da strada” americano. È dalla strada che nasce, è delle persone che si compone questo patchwork.
Il Poetry Slam, per dirla breve, è quando la poesia più che mai appartiene al popolo, è come la “festa dei folli” di cui ci parla Victor Hugo in Notre-Dame de Paris, il momento in cui il gioco si ribalta: niente critici, niente pubblico, tutte le maschere calano e resta, nuda, la Poesia.
A conclusione dello Slam, per decisione della giuria popolare, si classifica al terzo posto il poeta partenopeo Sergio Amata, seconda, io, mentre il primo posto è stato guadagnato dalla poetessa Margherita Bonfilio.
Quando tutto si scioglie e il pubblico si dilegua, ho un bellissimo scambio umano con Annamaria. Ci salutiamo calorosamente nel cuore della notte, con la presenza carezzevole del campanile della Chiesa Madre e dei lampioni che illuminano Piazza dei Poeti.
Mentre risalgo il sentiero asfaltato che mi condurrà alla mia temporanea dimora, mi illanguidisce il ritorno ciò che vedo oltre la ringhiera: le creste di una montagna friabile perdute nel velluto della notte. Io, così distante, affacciata da mescole artificiali su una natura selvaggia che mi attendeva, incontaminata nei secoli, per farmi sua vicina spettatrice.

27 Agosto 2014

È l’alba. Un’altra alba come tante, non fosse che ora sono in Calabria, la luce dalla parete mi dà il “buongiorno” con le parole di Madre Teresa di Calcutta e sul comodino si intravede la sagoma del premio che ho vinto la sera precedente al Poetry Slam: un cesto zeppo di leccornie tipiche locali.
"La prossima volta che qualcuno mi dice che la poesia non dà da mangiare, gli racconterò di questo cesto", penso, sorridendo. Trovo molto intelligente il voler far conoscere a chi non è del posto, attraverso un’arte eterea e sanguigna, come è la poesia, le meraviglie del proprio luogo d’origine. Tutti abbiamo una perla da difendere, ma non è chiudendosi che permetteremo alle sirene e ai pesci di ammirarne la bellezza. È dischiudendo le labbra della valva che la perla potrà trovare il suo giusto pubblico, testimone attivo della sua bellezza. Dopo una sana e abbondante colazione a base di ciambella marmorizzata bigusto e caffellatte gentilmente preparatemi dalla signora Magda, mi risolvo di andare a visitare il gioiello di Rocca: il Castello Svevo.
Adesso, per poterlo descrivere bene, dovreste immaginare una calda giornata estiva, in cui tutto è luce e i campi sono strinati dal sole.
Se socchiudete gli occhi e guardate il mare in lontananza, potete vedere quello che vedeva Federico II di Svevia o un suo servitore, oppure uno dei suoi accompagnatori fedeli. Potete sentirvi signori di tutto quello che c’è davanti a voi e alle vostre spalle, in latitudine e in profondità, attraverso i secoli che hanno conservato la memoria di questa fortezza inespugnabile, virginea sentinella assisa sulla roccia. Dopo l’emozione iniziale nel constatare l’ottimo stato in cui versa la struttura, nonostante i saccheggi che l’hanno devasta a partire dal 1835 (fino al suo tempestivo recupero – per approfondire l’argomento, cliccare qui), giù di corsa a fingere di essere una sentinella del re!
Attraverso feritoie di varie dimensioni mi balocco ad immaginare fantasiosi – o forse no? – assalti al castello, ad immaginare di dare il segnale d’allarme e apprestarmi a scagliare una lancia da una feritoia attraverso cui il castello respira, come fosse una branchia. Quanti passi hanno camminato in questo colosso, quante erbacce hanno sposato in segreto i lineamenti misti dell’impiantito, quanti visi si sono affacciati a quelle terrazze e hanno ammirato in lontananza il mare?
Impossibile saperlo, anche se il treno del mondo ospita sei miliardi di persone, una vita per volta, tra una stazione e l’altra del Tempo.
Se si pensa come un concetto astratto, il Tempo, allora è facile capire il nesso tra quelle pareti di roccia e l’ippogrifo in legno che si trova lì in mostra permanente. L’Essere è tutto ciò che è, essenzialmente e ontologicamente, per cui, se il Tempo per me è infinito, il Tempo esiste in maniera infinita ed… ecco che trovo la maglia, il buco slargato della catena attraverso cui far passare l’ago di Federico, come una cruna, attraverso l’ordito dei secoli. Ho ritrovato la mia dimensione d’eternità.
Discesa dalla nuvola di questo sogno a mezz’aria, mi godo una gustosa e panoramica pausa pranzo presso La Casetta, il pub che si trova alle pendici del castello, da cui, quando il cielo è terso, c’è una vista mare meravigliosa.
Il pomeriggio incontro nella saletta lounge de La Poesia e stringo amicizia con la poetessa Pinella Pistis e l’amica romana Carla. Passiamo un intero pomeriggio a chiacchierare, a confrontarci, scambiarci poesie ed emozioni. Il tempo di una vacanza, penso, è anche questo: avere il lusso di chiacchierare per ore con le persone, senza avere lo stress di dover fare mille cose in un minuto, godendosi gli incontri nella loro meravigliosa qualità. Il tempo, a Rocca, è un pochino così: è il lusso di incastonare gli sguardi tra le pietre delle singole costruzioni, di innamorarsi dei dettagli, degli scorci, delle rampicanti che adornano di verde beltà lo scheletro gentile di un palazzo, di perdersi nell’affondo di un dirupo che ti fa sentire lontano ed inespugnabile, vittorioso abdicatore del tuo tempo.
Stasera c’è l’incontro con i cinquanta autori selezionati per il CET, la scuola dei cantautori del Maestro Mogol, che con le sue parole ha navigato attraverso più generazioni, compresa la mia e la successiva ancora.
Cinquanta autori stasera, presso la Marina di Rocca Imperiale, leggeranno un loro componimento al pubblico che, in veste di giuria popolare, decreterà quali tra questi cinquanta potranno passare alla selezione successiva, l’indomani: sarà lo stesso Mogol a scegliere a chi attribuire una borsa di studio presso il CET.
Sono un po’ malinconica e, prima di rincasare, osservo nel silenzio Piazza dei Poeti e l’affaccio a precipizio che offre la ziqqurat calabrese che è Rocca Imperiale.
Nella notte, mille luci punteggiano, come lucciole, il crinale di questa altura. Tutto sembra sospeso nel tempo – e nel buio.

28 agosto 2014

Oggi ho deciso: dopo aver fatto colazione, si va a mare.
Prendo la navetta e, ad un colpo dalla stazione – ma c’è anche una fermata autobus per il lungomare, apprenderò poi – si arriva agevolmente in spiaggia.
La spiaggia – questa spiaggia – è tutta pietre.
La spiaggia dal lido La Baia.
È la prima volta che vado su una spiaggia di sassi, eppure non lo trovo fastidioso: lo Ionio mi culla tra le sue braccia e dalla mezzaluna di montagne, alberi e pianure che si estendono alle mie spalle, io, la terra e il mare formiamo un cerchio perfetto.
Appuntamento alle ore venti con i miei amici poeti, per recarci tutti insieme al Castello Svevo: stasera potremo deliziarci della presenza di Mogol.
"Questo castello ha qualcosa di magico", penso. "Di giorno è una cosa, di notte diventa tutt’altra. I rilievi delle pietre si 'stondano', tutto il paesaggio intorno sfuma, nell’abbraccio della notte e il castello sembra quasi una nuvola che ha il sapore di arenaria".
Inoltre, stasera è una serata speciale: a Mogol verrà dedicata una stele con su riportate le parole di Emozioni, brano che ha colorato di colline e aironi i sogni di me, bambina, quelli degli adulti che mi hanno visto bambina e quelli dei bambini che incontro, ora, da adulta.
Allo svelamento, tra giornalisti e ammiratori del paroliere, l’emozione sale, fino a sublimarsi in uno scroscio di applausi.
Adesso, tutti sulla terrazza del castello, dove accoglie i convenuti il sindaco Ranù, assieme all’editore Aletti.
Il poeta parla col poeta; chiacchierano amabilmente, i due, mentre il Maestro parla del suo rapporto con la parola e del suo amore per la semplicità e, con grande ternura da parte di tutti, del senso di meraviglia che lo coglie dinanzi alla coscienza pura dei bambini.
La “chiacchierata” è intervallata da piacevolissimi intermezzi musicali interpretati dal cantante Sammy (nome d’arte di Alfonso Greco), che presta la sua sensazionale voce alle parole musicate di Mogol.
L’atmosfera è rilassata; tesi, invece, profondamente emozionati, gli autori che sono stati scelti ieri dalla giuria popolare, che dovranno leggere i loro brani dinanzi a Mogol, il quale sceglierà a chi attribuire la borsa di studio per il CET.
Sono Diego Baldassarre, Domenica Rita Buda, Yuleis Cruz Lezcano, Francesco De Filippo, Daniela Ferraro, Manuel Franceschetti, Valentina Gangemi, Ambra Proto, Giovanni Sorge, Francesco Stagliano, Anna Ventre ci regalano le loro emozioni, i loro brani, la loro trepidante attesa.
È Ambra Proto, visibilmente emozionata, a vincere la borsa. Il suo componimento, semplice e sentito, Anziani, conquista il paroliere, che le rivolge delle simpatiche battute, per metterla a proprio agio. Ambra è giovanissima e la cosa mi fa profondamente piacere perché è importante che i giovani facciano, sperimentino, dicano, si provino e che mai si arrendano, come scrive anche lei dalla sua pagina Facebook, per accarezzare la guancia ai loro sogni, che li vedranno vittoriosi, sorridendo a una generazione che troppo spesso viene bistrattata e messa all’angolo nel ring delle occasioni.
È l’ultima sera che risiederò a Rocca e già mi sale la malinconia, per le pendici di questo castello, vestite di notte, per le luci rade che scorgo tra le campagne, per quella fetta di montagna che mi accompagnava durante i miei ritorni al bed and breakfast.
Dopo un aperitivo con Pinella, Carla, Silvia, il marito e il loro figliolo, ne approfitto per fare quattro passi in paese. Voglio salutare, a modo mio, questo paesino “incantesimato”, il buco nella mela scavato dal bruco, il “Castello errante di Howl” che ho trovato alle pendici di un altro castello.
Se avete modo, scegliete di passeggiare nel paese di notte, quando le imposte sono chiuse e non c’è nessuno a turbare la vostra quiete. Tra i vicoli scoprirete dettagli, piccole salite scoscese e discese con intelligenti corrimani cui chissà quante mani si sono aggrappate!
Alle volte sembra di trovarsi in Grecia, tanto le case sono vicine tra di loro, strette strette, come i pinguini per difendersi dal freddo.
E, strette strette, loro ti lasciano entrare, ti lasciano passeggiare per la Via dei Limoni – prodotto tipico del luogo – e ti lasciano contemplare la campagna che le avvolge con lo sguardo, da lontano.
L’anello nuziale del Silenzio avvolge il pensiero, come una panacea. Galleggiando nel blu metilene di questo paese, i pensieri si stornano e vanno a letto presto.
Pace.
È questo quello che ho trovato qui.

 

Fotografie: Maria Pia Dell'Omo, Fabrizio Campana, Maria Giovanna De Santis (fotografa professionista, i cui lavori sono fruibili sul sito www.mariagiovannadesantis.com), pagina Facebook de Il FedericianoIl Paese della Poesia, dove troverete una ricca gallery delle foto inerenti al festival, ai suoi ospiti ed ai suoi partecipanti.

 

(CONTINUA)

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