“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 16 September 2014 00:00

Chiamiamo le cose con il loro nome

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Lucrino (Napoli), Stufe di Nerone. Un paradiso diurno prometteva deliziose derive notturne, musica e parole al largo di una zattera, al centro del laghetto termale. Complici gli eventi atmosferici, tuttavia, ci si è dovuti accontentare di un salone. Un po’ di delusione, ma meglio di uno spettacolo annullato. Sedie da aspetto, una tela bianca fa da sfondo. Ospiterà immagini e filmati e le ombre dei musicisti, dell’attore e del conferenziere. Già. Il conferenziere. Cominciamo col chiarire che la performance cui abbiamo assistito non è uno spettacolo teatrale, come è stato subito chiarito da Giovanni Meola, direttore artistico del festival, nella presentazione.

Il festival del resto si intitola Teatro alla deriva, chissà se in questo caso non si possa intendere come messa in scena di qualcosa che deriva dal teatro, ma teatro più non è. Ma andiamo per ordine e godiamoci la conferenza/lezione. Forse potremmo parlare di un percorso evolutivo con andata e ritorno. Tutto nasce da una complessa ricerca di archivio sulla letteratura degli italo-americani di prima generazione, quelli arrivati nei neonati Stati Uniti d'America alla fine dell'800 e all'inizio del '900. Francesco Durante, scrittore, giornalista, docente di letteratura italoamericana, ha scandagliato archivi e biblioteche sulle due sponde dell’oceano, alla ricerca di testi, documenti, libri, giornali, libercoli, partiture, programmi teatrali, cinematografici, fotografie. L’enumerazione sembra sterile e banale a scriverla, ma solo chi si è tuffato in uno schedario, tra le carte di un archivio, alla ricerca di un nome, un cognome, un patronimico, una traccia, una notizia, anche apparentemente banale, sa quanta fatica costi spremere una goccia di succo dalla carta ingiallita, polverosa, umida e magari rosicchiata da chissà quale bestiola. E dopo aver raccolto, dopo aver catalogato, dopo aver analizzato, un nuovo sforzo titanico attende l’autore della ricerca: far parlare quei dati, collegarli, dar loro una forma, costruire una narrazione, riconoscere i pezzi di un puzzle a disegno variabile di cui si intravedono i contorni mano a mano che si fanno combaciare tra loro. Non si sa dove si va a finire. Ci sono delle domande di fondo, ma altre domande sorgono e le risposte, quelle, escono fuori da sé, capricciose, ballerine, a seconda dei frammenti che si riesce a tirar fuori. Seguendo i capricci del caso, delle circostanze anche. Favoriti dalla fortuna. E dalla tenacia. Ma non è finita. Quando tutto ciò assume una forma, come presentare il prodotto, la creatura che è nata? La ricerca si fa monografia, Italoamericana. Poi è venuto lo spettacolo, Santa Maria d’America, scritto da Andrea Renzi, Tony Laudadio ed Enrico Ianniello. E infine lo spettacolo è tornato in aula, nell’alveo di studio che lo aveva generato, trasformandosi in una conferenza spettacolo che cresce di volume con il progredire della ricerca. Una buona ricerca, una buona lezione. Con tanto di slides, fotografie, video. Le parole narranti si alternano con musica e parole cantate, interpretate da Federico Odling (violoncello e pianoforte) e Vittorio Ricciardi (flauto traverso e clarinetto) dei Virtuosi di San Martino, da Tony Laudadio e dallo stesso Francesco Durante.
Poveri, sporchi, fisicamente, culturalmente, linguisticamente, religiosamente diversi dai WASP (White Anglo-Saxon Protestant), questi Italiani d’America daranno vita in poco tempo, lo spazio di una generazione, ad una cultura nuova, che contempera lingua e valori del tempo passato, l'Italia umbertina che hanno lasciato, con la realtà del Nuovo Mondo. La musica è un aspetto fondamentale di tale cultura. Le sonorità del vecchio mondo incontrano i ritmi nuovi che stanno nascendo e recheranno nel loro codice genetico anche gli alleli della cultura italiana. Ritmi e parole nuove, ibridazioni linguistiche di cui Durante ci fa apprezzare le sfumature, segnalando opportunamente nelle slides e commentandole nelle canzoni le parole inglesi storpiate o trascritte in napoletano, valga per tutti l’esempio de la giobba (the job) o tecche ccenza (take a chance). Riccardo Cuordiferro, Guglielmo Onofri, Eduardo Migliaccio, Jimmy Durante, per chiudere con Frank Zappa. Core ‘ngrato, fino ad un cartoon di Betty Boop del 1931 sulle note di Where Do You Work-a John? (Push-a, Push-a, Push-a) o la divertententissima parodia di Show Me the Way to Go Home, che diventa ‘Mparame 'a via d’a casa mia.
Il risultato è gradevole. Una meritoria operazione culturale, da diffondere nelle scuole. Un bell’esempio di come divulgare la ricerca. Una di quelle lezioni che segnano la differenza tra chi trasmette semplicemente un contenuto e chi ha messo l’anima nel suo lavoro e si è posto il problema di far sorgere lo stesso entusiasmo nel destinatario del messaggio. Ma non chiamiamolo teatro. Non lo è più. Lo è stato, in un’altra fase della sua vita, ma ora è diventato qualcos’altro. Chiamiamo le cose col loro nome.

 

 



Teatro alla Deriva
Una notte a Little Italy
di
Francesco Durante
con Francesco Durante, Tony Laudadio
con la partecipazione di Federico Odling, Vittorio Ricciardi
regia Francesco Durante
lingua italiano, napoletano, inglese
durata 1h 45’ (più dibattito intervista 35’)
Lucrino – Bacoli (NA), Terme Stufe di Nerone, Salle Dumas, 12 settembre 2014
in scena 12 settembre 2014 (data unica)

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