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Saturday, 09 August 2014 00:00

Il desiderio di Francesco Piccolo di essere come TUTTI

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Ricordo che il mio articolo di esordio, o giù di lì, su Il Pickwick fu dedicato al contestatissimo Premio Strega 2013 Walter Siti. Per inciso, a me Resistere non serve a niente è invece parso un libro meritevole (e credo si possa rintracciare quella recensione). A distanza di un anno torno sul luogo del delitto e affronto Il desiderio di essere come tutti di Francesco Piccolo. La premessa mi corre d’obbligo perché abbiamo, forse, ancora dinanzi agli occhi la diretta tv della cerimonia di premiazione quando Piccolo e Scurati si sono contesi la vittoria voto su voto.

Lo Strega ha confermato di essere un po’ il Sanremo dei premi letterari; però come dal festival della canzone può uscire vincitore un motivo che non è solo una canzonetta, quella kermesse può partorire una medaglia d’oro di rispetto. E quello di Piccolo è un buon libro, scritto peraltro da un casertano per cui il sillogismo Caserta-Napoli-Pickwick, senza offesa per alcuno, mi porta a tornare su queste colonne.
Sia chiaro: immagino che non tutti siano attratti da una confessione-romanzata sulla storia della propria vita. Specie se questa vita è anche politicamente molto identificabile. Di come un ex comunista sia arrivato a votare PD, non rientra neppure tra i miei di interessi e poi sempre ’sto Berlusconi…
Perché va letto Il desiderio di essere come tutti, secondo me? Perché è una duplice sfida che riguarda chiunque: il tentativo di ricomporre la lacerazione tra privato e pubblico che ci portiamo appresso, almeno da Creonte e Antigone, più che ricomporre di non renderla una commistione farsesca, e di accogliere come viva e umana anche quella parte di mondo che giudichiamo diversa, perfino avversa. Comunque lontana e distante. Francesco Piccolo ci porta per mano lungo il suo percorso, fatto di profonda sofferenza sentimentale e politica per un regalo non accettato dalla amata compagna di classe del liceo e per i fischi subiti a un congresso socialista dal suo leader Enrico Berlinguer. Ci porta in seno alle fratture italiane più tragiche e feroci, il delitto Moro e lo scontro Craxi-Berlinguer, ci porta dentro il ventennio berlusconiano e il carattere della donna che ha sposato. Ci porta dentro la reggia di Caserta, in un punto preciso che spetta a voi scoprire, e il carcere di Caserta dove per qualche giorno è stata rinchiusa Sofia Loren, ci porta in un cinema dove un bambino ha paura di avere contratto il colera. Ci porta in casa sua e la fa diventare la casa, la vita, di tutti. Attenzione, il "tutti" a cui Piccolo allude si staglia in copertina e non è un TUTTI casuale visto che è proprio il titolo della prima pagina de l’Unità, 14 giugno 1984, il giorno dopo i funerali di Enrico Berlinguer. Noi allora dovremo fare riferimento a questoTUTTI.
Partiamo comunque dal singolare: tutto è nato in un soggiorno durante una partita dei Mondiali del 1974, una partita non qualsiasi, il derby, unico nella storia di questo sport, fra le due Germanie. Già perché all’epoca c’erano ancora Ovest ed Est. Magari ci sono ancora come condizioni economiche e snobismo strisciante ma prima c’erano due seggi all’Onu e due diverse nazioni negli atlanti geografici. E due squadre di calcio. Pochi ricordano che la Germania Ovest futura campione del mondo dopo quel torneo, vincitrice in finale niente meno che contro la mitica Olanda di Johann Cruijff, perse nel girone eliminatorio contro i derelitti cugini della Germania Est che neanche avevano le tute d’ordinanza da mostrare in mondovisione. Ebbene, "il 22 giugno 1974, al settantottesimo minuto di una partita di calcio, sono diventato comunista". Il goal, per la cronaca, del decisivo 1-0 venne segnato dal centravanti Jürgen Sparwasser e una partita che chiunque dava segnata in partenza divenne fondamentale per portare Piccolo, all’epoca piccolo anche anagraficamente, dalla parte dei più deboli e dei meno abbienti.
Dopo questa agnizione, è il caso di dividere il libro in due parti: la prima La vita pura: io e Berlinguer, la seconda La vita impura: io e Berlusconi. Berlinguer… sì il leader che aveva detto con molta chiarezza che una garanzia di democrazia non sarebbe esistita nemmeno se la sinistra unita avesse raggiunto il cinquantuno per cento dei voti, memore dei fatti cileni. Ecco perché parlava di alternativa democratica, non di alternativa di sinistra, cioè della prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica, oltre che con formazioni di altro orientamento democratico. Un’apertura al dialogo, a tutti gli effetti, ben distante dalle posizioni che negli anni a venire avrebbero preso i partiti d’ispirazione comunista in Italia, a cominciare dallo stesso PCI di Berlinguer dopo la fine della stagione del compromesso storico determinata dall’epilogo drammatico del sequestro Moro: il rifugio nella purezza, nella vita limpida, noi di qua, la parte migliore del Paese, civile, onesta, il resto, la maggioranza peraltro, brutta e cattiva. Ma governante. Tra l’omicidio di Moro e il periodo craxiano, certi progetti non si realizzarono e Berlinguer si arroccò in una chiusura che da allora divenne il tratto caratteristico della sinistra italiana. Pura, appunto, ma irresponsabile. Quest’ultima parola non va equivocata, non è un’offesa ma va letta in senso weberiano. Non a caso Piccolo richiama la famosa conferenza del grande Max Weber quando il sociologo tedesco mise in risalto la contraddizione tra etica dei principi ed etica della responsabilità. Il richiamo è frequente a partire da un’occasione specifica: il momento in cui Bertinotti, per il quale Piccolo aveva votato nel 1996, fa cadere il governo Prodi, nel 1998. Per una cieca ostinazione nel percorrere l’etica del principio. Una purezza senza fertilità che riconsegna il paese nelle mani di Berlusconi e che, più genericamente, non fa porre una domanda essenziale: se faccio bene a me stesso, a quanti faccio male? E poi perché provo gusto a perdere?
I venti anni di Berlusconi, anni durante i quali Piccolo ammette di essere stato più felice, nel privato, degli anni di Berlinguer, portano a una progressiva maturazione che affonda le sue radici nella vita… degli uomini primitivi. Sì, quelli delle caverne, che uscivano per procurarsi cibo sfidando animali ferocissimi ma uscivano anche per procurarsi i coralli per fare le collane. "Rischiavano allo stesso modo, sia per la sopravvivenza sia per la vanità" − così scrive Piccolo. Conclusione: la superficialità ha diritto di esistere. Quanto la profondità. Non si può fare di un essere umano un tutto politico, non se ne può fare neppure un tutto privato, la vita contemplativa e quella dedita ai piaceri sono sempre esistite assieme. "La sinistra, mi pare, ha imparato a conoscere  a fondo i grandi problemi di questo Paese mentre è geneticamente maldisposta verso un’altra parte, preponderante per costume e forza, superficiale, spensierata. Ed è così geneticamente maldisposta che non sa nemmeno più che Paese è".
Bisogna oltrepassare il confine della purezza per capire chi sta di là, come ragiona. Per portare i nostri di ragionamenti. Per fare in modo che pure la sinistra si occupi, certo, del cibo per sopravvivere, ma anche di qualche corallo. Che parli a TUTTI, perché al funerale di Berlinguer, lo aveva capito Natalia Ginzburg, si strinse attorno a questa persona l’intero Paese, non c’erano solo i comunisti. Magari questi stavano in Piazza San Giovanni ma chi non c’era guardò la televisione e rese omaggio, anche soffrendo, a un uomo che mai aveva votato ma che riteneva inclusivo, collaborativo. Italiano.

 

 


Francesco Piccolo

Il desiderio di essere come tutti
Torino, Einaudi, 2013
pp. 264

 

 

 

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