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Tuesday, 08 July 2014 00:00

Noterella gaddiana sul Mussolini teatrale

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“Un deficiente paranoico incantò in qualità di ‘genio’, di ‘profeta’, di ‘uomo inviato dalla Provvidenza’ milioni di italiani e di donne italiane (che pure loro ci ebbero a metter becco, le care pollanche, e vent’anni ci razzolarono in co-co-co-co gloriosi, su quel letame). Reperì nella sua immensurabile trivialità il pentacolo della facile magìa, la formula porca e lo strumento inane della incantagione. Si esibì e fece due doppî lustri una sola rota del tacchino: col bel pretesto psicagogico: che a trascinar le folle gli bisognava ingoiarle d’un mito, che fu quel funerario carnovale di coltella, di bande nere e di testoni di cartone, vuoti e funebri: e davanti a tutto quel nero funebre e tutti gli altri testoni funeratori il suo provolone alopecico di testa di cavolo massima e la sua facciaccia sozza e la su’ bocca sguaiata. Bagascia ladra, pescò su un letamaio dei miti un mito qualunque: lo spulizzì e grattò quanto gli venne fatto con le merdosissime unghie sue. Quel bandierone funebre lo issò all’antenna del fallo universo di fra il delirio d’un popolo delirante d’amore (finto), festante e commediante nel nero pantomimo delle smargiassate”.

Il “deficiente paranoico” è Benito Mussolini: la sua presenza pubblica è una mimica, il sua assito è un balcone, il suo pubblico è il popolo. La trama è il fascismo o meglio: il delirio verbale del fascismo, composto da un insieme di versi bugiardi e d’irragionevoli fanfaluche malevoli che Gadda nomina “miti teatrali”, “porgendo le anticipate scuse agli onesti mimici, ai sinceri istrioni, ai dignitosi buffi” per “l’ignominioso impiego dell’aggettivo”.
Il Benito Mussolini di Carlo Emilio Gadda – tiranno in bombetta, porfabacco carogna, taglieggiatore delirante d’Italia – è un attore consumato, che sgronda la sua logorrea gettandola in piazza dal davanzale di Palazzo Venezia.
È un attore, Mussolini, che preso dalla “convenzione del mimo”, si presenta con studio consumato alla ringhiera e, di colassù, propone e poi replica il suo cerimoniale corporeo fatto coi “berci, i grugniti, i sussulti priapeschi, le manate in poggiuolo, e ‘l farnetico e lo strabbuzzar d’occhî e le levate di ceffo d’una tracotanza villana”.
È un attore Mussolini e, come un attore ha la sua posa preferita, la sua preferita maniera di porsi: “al centro scenico del mimo” compie  il suo numero, ovvero “la esibizione del dittatorio mento e de la panza in orpelli”: prima “lo sporgimento di quel suo prolassato e incinturato ventrone”, poi “il dondolamento ad avanti-indietro, da punte a tacchi, irrigiditi i ginocchî, di quel mappamondo suo goffo e inappetibile”, indi “la reiterata esultazione di tutto ‘l corpo, come lo iscagliasse ad alto una molla, e di tutta la generosa persona”.
Talora in aggiunta, e soltanto quando la schiera di figure acclamanti si compone specificatamente di fanciulle in delirio, il finale è composto dalla “protuberazione di chella sua proboscide fallica, e grifomorfa in dimensione suina”.
È un attore Mussolini e, come un attore, ha il suo guardaroba di cenci e costumi: le “ghette color tortora, che portava con la disinvoltura di un orango”; i pantaloni a righe; il tight ed il tubino; i “guanti bianchi da commendatore” e la feluca; “gli stivali del cavallerizzo”; gli “speroni del galoppatore” ed il “pennacchio dell’emiro”; il cinturone, il coltello, “coltello del principe Maramaldo”: argentato, dorato, perché “di sul trippone figurasse”.
È un attore Mussolini e, come un attore, s’espone “davanti le genti in varie esibizioni del gesto”; declama battute ormai note (“Italiani!”, “Patria”, “gli immortali destini”, “L’Inghilterra ha da scontare i suoi delitti”); recita ruoli con ispirazione sagace (il contadino operoso, il poliziotto attentissimo, il costruttore meccanico e lo spalatore d’autostrade, il marito devoto, l’amante instancabile).

Alla sua propaganda, “enfasi scenica dello istrione e del mimo”, risponde “l’entusiasmo iperbolico scenicamente urlato di borghesi a ventre pieno”: è così che “frasi, frasi, frasi (prive di contenuto), parole, parole, parole entrano nella vita delle famiglie, si propagano da una famiglia all’altra, investono i celibi amici: ed ecco il contesto delle ragioni false è divenuto patrimonio sacro, intangibile”.
Da Palazzo Venezia ai salottini d’Italia; dai grugniti da palco ai sussurri detti tra i dipinti, i tappeti e i divani; dalla retorica nera di chi guida il regime alla nera retorica di chi il regime lo vive, lo sostiene o di chi al regime s’abitua, s’adatta, s’associa: la “foja pittorica e teatrale” di Mussolini – fissatasi “in modi di dire che divengono modi di essere, o addirittura l’essere” – si ripete in messinscene d’ambientazione domestica.
Di una Gadda fa descrizione in un breve articolo secondario, di scarsa importanza generale ma fondamentale per la nostra piccola notarella: s’intitola Teatro Patriottico anno XX, è pubblicato su Il Mondo e lo si può scovare soltanto nelle grandi antologie gaddiane della Garzanti.
La premessa: “Mi duole proprio di darvi dei continui dispiaceri. Ma non ci bisognano i lumi de’ maestri a percepire in molte delle etiche stabilite un sostrato di falsità derivante dalle preoccupazioni esibitive di chi le professa o dice di professarle. Da cotali professanti, voi lo vedete, le parole sonore del bene, la edificante scena del bene, si antepongono al bene: che non esiste se non a parole: o come pretesto scenico”.

“Salotto stile impero (del cavolo)”. Ritratti, piccoli vasi coi rametti fioriti, tavolini dai piedi dorati, con fregi che terminano mostrando brevi chicche cromate. Poltrone, una finestra che dà su una via, luci che mostrano volti truccati. Nell’aria s’impongono i tintinnii: un cucchiaino che tocca e ritocca l’interno della tazza; un vassoio di metallo appoggiato al marmo di una mensola; calici riposti in file dissestate, disordinate, oramai senza eleganza. Qualche chiacchiera appena avvertibile, qualche risata fin troppo chiassosa. Falsa allegria di un convivio pomeridiano: in pieno fascismo.
“La scena del salotto, del tè, dei biscottini, dei cucchiarini, dei tovagliolini, non era perfetta se non vi risonavano parole come ‘I nostri magnifici aviatori’, ‘il sacrificio eroico de’ nostri marinai’, ‘i granitici alpini della Iulia’, e altre del genere”.
La scena del salotto, invece, ha da essere perfetta: “i nostri magnifici aviatori”, “il sacrificio eroico de’ nostri marinai”, “i granitici alpini della Iulia” sono le frasi che s’odono tra la disputa sul colore di un abito ed il lamento per la distrazione di una cameriera.
Sono momentaneo oggetto di un appassionato pensiero anche “i morti del mare”, “gli arsi vivi”, “i brustolati”, “gli andati a pezzi su dalle cambuse e dalle sale di caldaia” nonché – naturalmente – i “granitici alpini senza maglie e senza calze fra due metri di neve”.
“I nostri ragazzi!”, sospira una.
“I nostri ragazzi!” sospirano tutte.
Brindano poi al duce, tornano a sospirare.
Infine passano al dolce.

Con brevità allusiva Gadda innalza pareti di cartapesta, le allinea e inchiodandole una all’altra sì da formare l’interno richiuso, poi sospinge nel centro un ammasso d’oggetti presi in prestito dai molti salotti veduti e vi piazza a far recita “queste care pollanche” capaci di blaterare “un amore verboso”, una “divozione stridula e gratuitamente uterina”, alla Patria. La loro adesione alla retorica del fascismo sembra nulla di più “di una prestazione scenica e salottiera” e tuttavia queste “fringuelline di nido” che fanno pissi-pissi coi deliranti strilli del becco, usando i proclami che il capo manganella al Paese, blaterando cinici e accorati riferimenti ai caduti, sono l’emblema de “le imitazioni e le vane ripubblicazioni” ch’ebbe il discorso mussoliniano “per ogni lembo dell’Italia”, per ogni quartiere, casamento o stanza in cui ci “si contenta sentirsi carezzare i timpani da dolce parole” non avvedendosi che “proprio quelle stesse parole dolcissime, che fanno tanto onore alla casata, e al salotto, sono le più lontane cose dal bene: quei moti scenici tanto decorosi alla persona sono il contrario del bene che si vorrebbe osservare e difendere”.
La collettività – per Gadda – subisce l’incanto d’un istrione millantatore, finendo “a scimmiare e a teatrare, fingendo fede a le parole d’altri e di mere parole e di mera scena corrisponderle”.
La “bocca patriottosa di certe isterizzate nostre conoscenze” si bea facendo svolazzare al soffitto le chiacchiere d’ordine. I tintinnii continuano ad imporsi nell’aria: un cucchiaino che tocca e ritocca l’interno della tazza; un vassoio di metallo appoggiato al marmo di una mensola; calici riposti in file in dissesto.
“I nostri ragazzi!”, sospira una.
“I nostri ragazzi!” sospirano tutte.
Brindano di nuovo al duce, tornano a sospirare.
Infine proseguono, sgranocchiando “petit-fours” mentre cala il sipario dell’articolo.




NB. Segue, per i più devoti all'ingegnere-scrittore, l'elenco dei nomignoli che il nostro affibbiò a sua (tragica e ridicola) eccellenza Benito Mussolini. Non se ne chiede lettura, naturalmente. C'è, come fosse una lunga filastrocca di Resistenza, di natura letteraria e filologica.

Amatissimo; Appestato Appestatore; Artefice; Batrace; Batrace Tritacco; Batràco; Bombetta; Buce; Caciocavallo; Caino; Ciuco Maramaldo; Ciuco Principe; Condottiero d'Italia in guerra Lampo; Cupo nostro; de Quo; Duce; Estrovertito; Ex-Bomba; Facciaferoce; Faba Magna; Faba Magna Optima Maxima Unica; Fava; Fava Marcia; Favente Genio; Fetente; Fondatore dell'Impero; Furioso Ingrogato; Gangàride; Generale Cassiodoro dell'Oca Beverona; Ginocchio; Giove Priapo; Giove Ottimo Massimo; Glorioso; Gradasso ipocalcico; Grande Imago; Gran Khan; Gran Maestro; Gran Pernacchia; Gran Somaro Nocchiero; Gran Tamburone del Nulla; Gran tauro; Grugnone Sanguemarcio; Inturgidito Modellone; Kuce; Kuce-Kuce-Kuce; Macherone fottuto di Predappio; Maldito; Maramaldo; Marchese delle Caminate; Marco Aurelio ipocalcico dalle gambe a ìcchese; Maresciallo; Masella d'asino Maltone; Mascellone ebefrenico; Mascellone ebefrenico Mago; Mascellone ebefrenico Unico; Merda; Merdonio; Minchiolini; Minchione Ottimo Massimo; Modellone Torsolone; Mugliante; Napoleone fesso e tuttoculo; Nero personaggio; Nullapensante; Paflagone energetico; Paflagone inturgidito; Pirgo; Pirgopolinice; Pirgopolinice Bombarda di Tripla Greca; Poffarbacco; Predappio; Priapo-Imagine; Priapo-Imagine d'Asino; Priapo Racimolatore e Fabulatore ed Ejettatore; Profeta forlimpopolo; Provolone; Pulcinella finto Cesare; Pupazzo; Pupazzo numero uno; Pupazzo a Palazzo Chigi; Quer Tale; Quirino; Rincoglionito Quirino; Scipione Affricano del due di coppe; Smargiasso; Somaro; Somaro dalle gambe a ìcchese; Somaro in ragli; Somaro in-tromba; Somiero; Sovrano seminatore; Stivaluto; Super Balano; Tauro zefireo; Testa di Morto; Trebbiatore; Trombone e Naticone ottimo massimo; Truce; Tuberone; Tutore della Italia; Verbo sterile; Vigile dei destini.

 

 

 

 

Carlo Emilio Gadda
Eros e Priapo
Milano, Garzanti, 2002
pp. 175

Carlo Emilio Gadda
Teatro patriottico anno XX
in Saggi Giornali Favole I
Milano, Garzanti, 1998
pp. 1672, pp. 911-914

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