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Thursday, 15 May 2014 00:00

Bisogna avere orecchio: il senso di Moore per il dialogo

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Brian Moore è stato uno scrittore cattolico nordirlandese. Non si tratta di informazioni biografiche, o almeno non solo; intendo dire che nonostante il suo corpo l’abbia portato in giro in un continuo emigrare, prima in Canada e poi negli Stati Uniti, i romanzi non hanno mai smarrito le origini: la sua voce, ovunque si trovasse, giungeva sempre dall’Irlanda.
Moore ha scritto molte sceneggiature: il film di Hitchcock Il sipario strappato è suo, per intenderci. Questo spiega molte cose del suo modo di scrivere in generale, e del romanzo di cui sto per parlarvi: Cattolici.

In quanto cattolico, Moore ha vissuto da fedele e da scrittore la riforma, avviata dal Concilio Vaticano II, che ha portato al rinnovamento della liturgia cattolica: il latino, fino a quel momento lingua liturgica veicolare e universale, fu sostituito dal vernacolo. Con questo libro affronta la questione come fanno i bravi narratori: “avvicinandosi in modo obliquo a ciò che gli interessa” (John Barth), e nel farlo ci mostra in sole novantacinque pagine quel che accade quando al talento del narratore si aggiunge quello dello sceneggiatore avvezzo all’arte del dialogo. Riuscire a far bene nei dialoghi non è cosa scontata, anche per chi di mestiere fa lo scrittore, e pare che questa dote abbia molto a che fare col carattere; Stephen King, nel suo saggio sulla scrittura, afferma che gli introversi, i ‘lupi solitari’, hanno qualche difficoltà in più rispetto ai narratori inclini alla ‘socialità’, il cui esercizio quotidiano nel parlare e ascoltare allena ‘l’orecchio’ naturale al dialogo. Anche il nostro Enzo Jannacci diceva lo stesso: per fare certe cose... ci vuole orecchio. E Moore ce l’ha tutto.
In Cattolici assistiamo al verificarsi di un qualcosa che costringe il Vaticano a porre fine al bonario permissivismo da genitore paziente alle prese col primogenito in fase di ribellione adolescenziale. Ecco il fattaccio: in un monastero situato su un’isoletta al largo delle coste irlandesi – un posto dimenticato da Dio, si potrebbe dire in un contesto diverso – uno sparuto manipolo di monaci albanesiani, capeggiati da Tomàs O'Malley, ‘abate recalcitrante di Muck’, si continua a celebrare la messa secondo l’antico rito. Tale disobbedienza alle norme conciliari ha origini lontane: è, infatti, dal Concilio Vaticano IV che i monaci riservano ai cambiamenti impartiti da Roma e recepiti ovunque, il cd. udito-selettivo-dei-vecchi. Le autorità vaticane, probabilmente, avrebbero continuato a contraccambiare quell’insistita ottusità con una pigra e mendace indifferenza se il fenomeno non avesse cominciato ad attirare folle di pellegrini estasiati provenienti da tutto il mondo e, di conseguenza, l’attenzione predatoria dei media.
Non si può più attendere che il ragazzo si rimetta in carreggiata da solo, è necessario togliersi mitre e zucchetti e indossare guantoni da boxe, è giunto il tempo di mettere in pratica il buon vecchio sistema “mazza e panella fanno i figli belli” (antico detto partenopeo, estremamente efficace). E così, dopo qualche camminata su e giù, braccia incrociate dietro la schiena, nelle stanze con affaccio diretto su San Pietro, viene presa la decisione: conferire i pieni poteri per risolvere la faccenda a un emissario, l’equivalente ecclesiastico del ‘liquidatore’ di Pulp Fiction o, se lo preferite, ‘dell’eliminatore’ di Nikita.
L’approdo all’isola non sarà facile per padre Kinsella (l’incaricato), ma l’ostilità di mare, cielo e dell’unico barcaiolo deputato al trasporto di chicchessia da e per l’isola, non sono nulla in confronto al conflitto interiore che sarà scatenato dalla prospettiva di questo incontro: “sarebbe stato diplomatico, ma inflessibile. Con un po’ di fortuna avrebbe chiuso la faccenda prima della notte”. Ma da questa lapidaria promessa con se stesso, capiamo che non sarà così semplice e nemmeno tanto breve.
La storia va avanti e i dialoghi incalzano e si accavallano con quelli interiori, che molto spesso divergono dalle parole ingabbiate dai ruoli e dagli obiettivi imposti, fino a raggiungere vibrazioni e tensioni assolutamente innaturali per un romanzo che non è un giallo ma un qualcosa di molto vicino ad un libro religioso. Sì, d’accordo, anche la Bibbia ha i suoi bei momenti di pathos, ma qui c’è la parola degli uomini di Dio e i dialoghi di Moore che, credetemi, non esagero nel dire che sono divini.
L’isola, il mare in tempesta, un uomo di fede che con insistita ostinazione crede nel miracolo della santa messa ma allo stesso tempo è incapace di pregare, e un altro che al contrario prega ma riduce il tutto a un livello simbolico: “Non credo che il pane e il vino vengano trasformati sull’altare nel corpo e nel sangue di Cristo, se non in senso puramente simbolico. Di conseguenza non credo che Dio sia davvero presente nel tabernacolo, come si pensava una volta”. A parlare è l’inviato della Santa Sede, ‘l’inquisitore’.
Chi pensava di essere senza fede scoprirà di esserne ricolmo e finalmente pregherà? Alla fine di questa storia, ci sarà un Prospero che rinuncerà ai suoi poteri?


 

Brian Moore
Cattolici
(1972)
traduzione di Pier Maria Allolio
Lindau, 2012
pp. 95

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