“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 13 April 2014 00:00

Brunori Sas live al Duel:Beat: il bacio invocato

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Quando varco la soglia dell’amplia sala 3 del Duel:Beat certo non m’aspetto quanto vedo. Il locale è pieno, ma proprio pieno, e io resto con lo sconforto di dover rimanere dietro, nei pressi del bar, a vedere Brunori Sas e cioè Dario Brunori e la sua band piccoli piccoli come quando si va allo stadio San Paolo e dalle curve i giocatori si vedono piccoli piccoli come quando una volta si giocava a Sensible Soccer all’Amiga, ma questa è una cosa che possono capire solo quelli che erano ragazzi negli anni Novanta, Brunori incluso e quelli che sono stati al San Paolo e quelli che ieri sono stati dietro.

Comunque varco la soglia mi guardo intorno con spaesamento e Brunori prende a suonare Nessuno dal suo ultimo album Vol. 3 – Il cammino di Santiago in taxi (Picicca Dischi, 2014) che è una ballata struggente di uno che fa grandi cose tra la gente ma poi alla fine è un tipo malinconico e quando piange non ci deve essere nessuno, insomma mi becco a concerto iniziato ‘sto pezzo che è come un monito alla vanitas di chi brilla inutilmente struggendo da solo e il pubblico gradisce e io pure. Mi piace questa canzone, e mi piace Brunori col suo cantautorato classico che urla testi tristi ma non troppo deprimenti su ricordi da over 30 (lui è classe ’77) amori passioni illusioni e mi piace forse perché mi ricorda Rino Gaetano che magari con lui c’entra poco ma per me è così.
Non solo per dovere di cronaca, è d’uopo nominare i componenti della band che accompagnano Brunori in tour: Stefano Amato, Dario Della Rossa, Simona Marrazzo, Mirko Onofrio e Massimo Palermo.
Ottemperato al dovere, torno al concerto e intanto il pubblico è esaltato: difficile vedere tanta gente (giovanissimi e giovani, pochi i non giovani) che ascolta sorridendo, canticchiando, ondeggiando, momentaneamente felice forse, sinceramente divertita, ecco. A tratti si elevano cori da stadio a inneggiare a lui, Brunori, chiamandolo per nome “Dario! Dario! Dario!”, a conferma di una ben sviluppata empatia tra frontman e ascoltatori. Brunori è un tipo caldo, è simpatico, tra un pezzo e l’altro parla, fa qualche battuta, e anche con la musica ci gioca, come quando parte insieme alla band con un’improvvisazione jazz volutamente brutta e dice che in realtà stanno suonando a caso e che però tutti dovrebbero apprezzare e far finta che si tratti di un grande momento di grande musica e allora invita tutti a fare un “aaaaaaaaahhhhh” di approvazione e alla fine se ne esce dicendo che qui è “il pubblico che imita il pubblico in una sorta di spinometria” e lo dice dopo che tutti – e sono tanti – hanno emesso fiato. Oppure come quando gli riparano la chitarra sul palco e lui nell’attesa improvvisa una canzone su uno che sta in un concerto e insomma da queste cose ti accorgi che Brunori è anche naturale, come se gli riuscisse tutto facile e dilettevole e come se vivesse un momento magico tutto suo che per uno che dal 2009 al 2014 ha pubblicato tre album molto ben accolti da critica e pubblico e gestisce, non da solo, un’etichetta indipendente (Picicca Dischi), ci può stare. Qui si tratta di mettere da parte lo stereotipo del cantante maledetto destinato a cose inenarrabili e grondante il fascino terribile di chi vive quotidianamente sull’orlo di un abisso, perché Brunori non è così, Brunori sembra uno che fa una cosa che gli piace e se la gode e si diverte e a chi lo ascolta certo non dispiace. È bello ricordare come momento allegro della serata anche quello in cui gli fanno le foto e lui lo sa e si mette in posa statuaria sperando che non si noti troppo la pancia, perché lui per fortuna sa essere anche molto autoironico.
Per quanto mi riguarda Brunori m’è piaciuto quando ha cantato due sue vecchi pezzi, Italian dandy e soprattutto Guardia ‘82, che fanno parte di quel primo album, vol. 1 (2009), da me preferito tra i tre come spesso capita coi primi album forse perché sono quelli che ti fanno scoprire un cantante, una band, un sound o forse perché c’è dietro un periodo di gestazione diverso – è pur sempre la prima volta – o forse niente di tutto questo, per motivi miei e basta. Sono storie agrodolci sui primi struggenti amori quando tutto sembra più difficile e irripetibile e un po’ è vero un po’ no, è difficile valutare a freddo gli anni delle primordiali sconvolgenti pulsioni e fa sempre un certo effetto ricordarli e lui ti racconta come poteva essere che non si sa mai uno se li dimentica o li rimuove, capita anche questo.
Poi m’è piaciuto quando ha sorpreso tutti con la cover di un pezzo di Pino Daniele, A me me piace ‘o blues, che io proprio non me l’aspettavo e m’ha fatto tanta tanta simpatia.
Poco dopo le 23 il concerto è finito, è presto, e lui e la sua band escono e c’è il momento consueto del bis che da tempo è diventato un obbligo, e loro allora rientrano ma c’è fretta, devono finire subito perché poi in sala 3 ci sarà altro e me ne accorgo dopo quando vado via e all’ingresso c’è una fila di giovanissimi pimpantissimi pronti a spaccare tutto tra balli e cicchetti. L’ultima canzone è Rosa, dall’album vol. 2 – Poveri Cristi (2011), che al pubblico pare piaccia tanto, e la cosa veramente bella è che a un certo punto il pezzo giunge alla fine e Brunori canta-urla “bacio, bacio, bacio, bacio…” e il flauto incalza e io alzo la testa e vedo una coppia che si bacia come se la felicità in questo mondo fosse possibile in qualsiasi momento. Finisce tutto così, con un bacio.


 

Brunori Sas
chitarre e piano
Dario Brunori
basso e archi Stefano Amato
tastiere Dario Della Rossa
cori e percussioni Simona Marrazzo
batteria Massimo Palermo
opening act: La Bestia Carenne
Napoli, Duel:Beat – Sala 3, 11 aprile 2014

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