“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 12 January 2013 17:21

Streghe, preti sadici e crapuloni, diavoli. Häxan di Christensen

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Ci sono film che colpiscono lo sguardo e “divertono” l’intelletto dello spettatore – poi spiegheremo in che senso un film del genere possa ancor’oggi interessare – pur non essendo dei capolavori. La stregoneria attraverso i secoli (lasciamo perdere il titolo italiano) è un film che a tratti si potrebbe definire non riuscito (eravamo stati tentati di utilizzare il termine “brutto”) se la stessa potenza di alcune scene o lo humour grottesco e nero che lo puntella non rendessero a tal punto godibile la visione da far mutare completamente il giudizio.

Insomma se il cinema è anche (e soprattutto) visione, questo è un film che ancor’oggi (e all’epoca ovviamente enormemente di più) riesce ad avere un impatto visivo d’eccezione. In questo senso si tratta veramente di una carrellata di figure, simboli e immagini che, seppur nella loro quasi banalità, risultano forti e all’epoca probabilmente shockanti, per cui si va dalla figura del prete grasso che, laido e lercio, divora cosce di maiale intere mentre la sua “perpetua” si reca da una fattucchiera per un filtro d’amore, perché vuole che quell’uomo che divora carni masticando a bocca aperta e che beve vino facendoselo colare addosso e che si pulisce la bocca con il saio, la possegga sessualmente (lasciando intendere che alla donna piacerebbe qualcosa che si avvicini alla violenza) oppure, le scene più famose del film, la rappresentazione del sabba di streghe che adorano il diavolo in una rutilante messa in scena registica capace di essere credibile pur facendo sorridere e allora streghe sulle scope che attraversano la città in volo (scena difficilissima per l’epoca da girare) e che poi si dedicano all’attività per eccellenza, baciare a turno il deretano del diavolo suscitando le risa sguaiate dei preti inquisitori che ascoltano la storia confessata (cioè inventata) da una donna sotto tortura atroce o ancora il classico dei classici, il pasto di diavoli e streghe a base di bambini non battezzati (evidentemente più saporiti) o la suora che, posseduta, brandisce un coltello e comincia a cacciare fuori la lingua in maniera sguaiata trascinando con sé in una danza folle tutte le altre suore, infine le due donne che compiono un particolare incantesimo contro un uomo, fuori la sua casa alzano i vestiti, si siedono ognuna sul proprio pitale, evacuano e poi ne rovesciano il contenuto contro la porta dello sventurato. 

Ma il cinema non è soltanto visione, è anche costruzione a tema. In realtà questo film è poco riuscito proprio perché si trova ad essere a metà strada tra un documentario di denuncia contro l’oscurantismo di tanti secoli di Cristianesimo (la satira contro i preti è feroce e ci chiediamo se oggi, un secolo dopo, qualcuno produrrebbe un film del genere!) e un film di finzione in cui questi temi dovrebbero venir fuori dalla storia e dalla trama. In effetti il film è diviso in più parti: la prima racconta in maniera “documentaristica” come figure demoniache e questioni di stregoneria siano sempre esistite in tutte le culture, la parte centrale è un insieme di scene e storie a volte intrecciate tra loro a volte no, la più importante delle quali è quella di una mendicante accusata di stregoneria da una donna (soltanto per il fatto che un medico-curatore le aveva annunciato l’arrivo di una persona, strega chiaramente, che era la causa della malattia del marito) la quale, però, si vendica sotto tortura, raccontando di come avevano partecipato insieme, lei cioè la mendicante e la donna che l’aveva accusata (con la sorella e la madre, alle quali piaceva particolarmente baciare il deretano del diavolo), a un sabba, tutta questa parte è intervallata da scene di carattere “documentaristico” in cui vengono presentati e raccontati, ad esempio, gli strumenti di tortura o come avveniva la ricerca della colpevolezza (il tutto però senza alcun rigore scientifico e in maniera molto ma molto superficiale), l’ultima parte infine è ambientata ai nostri giorni attraverso la costruzione di un parallelismo tra ciò che veniva ritenuto stregoneria nel passato e che oggi (cioè negli anni ’20) era chiamato “isteria”, tipico disturbo femminile, mediante un escamotage che a tratti presenta lo psicologo come un novello diavolo.

In poche parole il film è poco chiaro dal punto di vista ideologico: c’è la critica ad ogni forma di oscurantismo di stampo razionalistico se non positivistico ma c’è anche un’indecisione nei confronti della scienza, dal momento che lo psicologo ha a tratti, come si è detto, le fattezze del diavolo. È un film che piaceva molto ai surrealisti per il suo anticlericalismo ma per essere un film di critica grottesca e sagace si intrattiene un po’ troppo sulle scene più demoniache e irrazionali, tanto più che il regista stesso recita la parte (riuscitissima) del diavolo. Da che parte sta allora il nostro Christensen? A noi non interessa saperlo e probabilmente lui stesso ha voluto creare più un qualcosa di potente dal punto di vista visivo che non un film a tesi.

Non mancano parti comunque pienamente riuscite dal punto di vista narrativo (e non soltanto registico), soprattutto quella in cui viene raccontata una delle tecniche per estorcere la confessione da parte della presunta strega, e che viene ottenuta non attraverso la tortura fisica (c’era evidentemente chi riusciva a resistere) ma attraverso la tortura psicologica: alla presunta strega viene offerto da un prete la fuga qualora la donna gli insegni come si evoca un fulmine dall’acqua, la donna ovviamente non lo sa e geme, allora le viene portato il bambino, suo figlio, che resterà solo e senza madre e marchiato a vita se lei non sarà capace di guadagnarsi in quel modo la libertà, e così la donna in lacrime cede e inventa una storia qualsiasi, a quel punto è pronta già per il rogo, tra preti domenicani ubriachi dalla gioia per aver trovato un’altra strega.

Insomma Christensen, regista danese, non è Dreyer ma non fa nulla. Del resto nella vita non si vive di soli capolavori.

 

Retrovisioni

Häxan (La stregoneria attraverso i secoli)

regia Benjamin Christensen

con Karen Winther, Emmy Schnfeldt, Astrid Holm, Benjamin Christensen

produzione Aljosha Production Company, Svensk Filmindustri

soggetto Benjamin Christensen

sceneggiatura Benjamin Christensen

paese Danimarca-Svezia

lingua originale muto

colore B/N

anno 1922

durata 88 min.

 

           

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