“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 12 March 2014 00:00

“Aspettando i barbari” di J. M. Coetzee

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Non si può fare a meno di associare Aspettando i barbari al libro di Buzzati, Il deserto dei tartari.
Si richiamano i paesaggi, il confine, la fortezza, il ruolo dei protagonisti.
Entrambi i libri sono ambientati in un luogo di confine: una cittadella fortificata all’estremo margine dell’Impero, anche all’estremo margine dell’ecumene, che tra la città e le montagne dove vivono i barbari c’è un deserto, e la fortezza Bastiani, simile avamposto.

Il magistrato protagonista del libro di Coetzee e il sottotenente Drogo sono entrambi tesi ad aspettare qualcosa:  il processo,  il nemico, la giustizia, un senso, “…come uno che ha perso la strada tanto tempo fa, ma continua per una via che forse non lo porterà da nessuna parte”.
Per  scovare altre similitudini dovrei rileggere Buzzati, i cui echi giungono dal pleistocene.
Tuttavia.
Nel corso della lettura l’asse delle somiglianze si è alquanto spostato.
Un romanzo politico, più che esistenzialista, questo di Coetzee, a partire dal legame tra la donna barbara e il magistrato.
La barbara è sopravvissuta alle torture che gli uomini della Terza Divisione, “custode insonne dell’Impero”, le hanno inflitto quando è stata catturata in una battuta di caccia al nemico insieme ad altri barbari.
Storpia e cieca si aggira lungo le mura della cittadella, e il magistrato la prende con sé, la porta nella sua casa, nel suo letto.
Nel racconto della relazione non vi è un vero svelamento dell’intimità del protagonista, piuttosto una riflessione dal traslato “antropologico”: “E poi, se devo dire la verità, il piacere che ho trovato in lei, quello di cui ancora rimane traccia sensibile nel palmo della mia mano, non arriva in profondità. Il cuore non ha un sussulto, il sangue non mi pulsa con più violenza nelle vene, se la sua mano mi sfiora. Non sto con lei per il rapimento dei sensi che mi promette o mi produce, ma per ragioni diverse che continuano a sfuggirmi, come sempre”.
Anzi, non riesce neanche a guardarla, a fissare i suoi tratti nella memoria.
Con grande fatica, una volta riesce a evidenziarne la bruttezza.
“È davvero così priva di fisionomia? Con uno sforzo mi concentro su di lei. Vedo una figura con un cappuccio e un pesante cappotto sformato che si regge in piedi, a malapena, curva in avanti, con le gambe storte, appoggiata a dei bastoni. Che brutta, mi dico. La mia bocca articola la parola brutta. Sono sorpreso io stesso, ma non resisto: è brutta, brutta”.
È l’atto della lavanda dei piedi, in cui il più grande si fa servo dei servi, ciò che cerca di compiere con insuccesso il magistrato sulla donna barbara, a cui unge e massaggia i piedi e le gambe martoriate dagli aguzzini.
La lava e la riempie di tenerezze, ma non riesce ad amarla.
(Quanta fatica a vedere davvero il diverso da noi, ad entrarci in sintonia, nonostante la pietà, la compassione, la richiesta muta di perdonare l’odio).
Se ne Il deserto dei tartari perno di ogni cosa è l’attesa, in Aspettando i barbari non c’è nulla da attendere.
È tutto qui ed ora.
Il magistrato prima che arrivasse la Terza Divisione a mettere i puntini sulle “i” e gli aghi incandescenti negli occhi del nemico e sulla dignità di chi veniva accusato di essere amico del nemico, si dilettava negli scavi archeologici: sotto la sabbia, da chissà quanto tempo, le vestigia di civiltà passate e sepolte e dimenticate.
Quanto spreco nel voler difendere i confini dell’Impero!
Chi sono i barbari di cui aver paura, i barbari da combattere a tutti i costi, da respingere sempre più lontano, oltre gli spazi ecumenici?
Chi sono i barbari? Sono davvero gli uomini che armati di frecce e archi minano le fondamenta della civiltà e dell’Impero che di essa si fa portavoce?
È dai barbari che ci si deve difendere?
O la barbarie è la civiltà stessa, che vive di sospetti, di pregiudizio, di inganno, di ingiustizie, di sopraffazioni?
E lentamente, dalla fortezza Bastiani sono arrivata ad un’altra fortezza.
Abu Ghraib.

 

 

 

 

 

J. M. Coetzee
Aspettando i barbari
(1980)
traduzione di Maria Baiocchi
Einaudi, Torino, 2005
pp. 198

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