“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 19 February 2014 00:00

Una scorciatoia per la felicità

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L’essere umano è imperfetto, si sa, e per la maggior parte della vita schiavo dei suoi stessi sentimenti. L’essere umano ama e soffre per amore, gioisce per un'amicizia e si arrabbia di fronte al suo tradimento, lavora per guadagnarsi il pane e lotta contro le ingiustizie, si pone degli obiettivi e s’impegna – in genere, ma non sempre – per raggiungerli. Se non ci riesce, si colpevolizza e cade in depressione. La sua vita è un lavoro (un altro!), una missione senza fine alla ricerca di qualcosa che probabilmente non c’è.

E allora, cosa serve per essere felici? Al netto delle religioni, che promettono ricompense in una vita nell’aldilà (ma perché non posso stare bene “aldiqua”?) e di quelle che spingono a cercare dentro noi stessi l’illuminazione, l’equilibrio e la forza, a suon di “Nam myoho renge kyo” (recitato per ore e ore e ore)… esiste una via molto più breve, che consiste nel prendere coscienza dei propri limiti e accettarli con benevolenza. Ovvero, più sinteticamente, “Il metodo sticazzi”. Una vera e propria filosofia di vita che promette di condurre il tormentato essere umano verso la felicità assoluta, di fargli trovare la serenità, forse la ricchezza, e di fargli guadagnare l’approvazione di tutti coloro che lo circondano. Di che cosa si tratta? Come si impara? Di certo “sticazzisti” si nasce. Esistono, infatti, veri e propri talenti con cui la natura è stata generosa. Ma “sticazzisti” si può anche diventare. Quindi il lettore travagliato si consoli pensando che il metodo è di facile apprendimento e richiede solo un po’ di buona volontà. Il merito di aver messo nero su bianco i principi di cotanta saggezza va alla scrittrice Carla Ferguson Barberini, che nel suo libro, Il metodo sticazzi, enuncia i fondamenti di tale condotta di vita e illustra le sue applicazioni nel quotidiano: “Con il metodo sticazzi leggi un giornale intero in tre minuti… neutralizzi i venditori porta a porta… lavori meno e guadagni di più… diventi invincibile!!!”. E promette il raggiungimento di grandi traguardi: “In poco tempo non si tratterà più di quello che puoi fare con il metodo sticazzi, ma di quello che il metodo può fare per te!”. E, infine, aggiunge un’esortazione a cui non si può resistere: “Diventa uno sticazzista assoluto e raggiungerai l’imperturbabilità zen”.
Come in tutti i manuali che si rispettino, l’autrice non prescinde da un’approfondita disamina dell’etimo e delle numerose sfumature di significato che il termine assume nell’uso quotidiano, applicabili ai più diversi ambiti dell’esistenza: “L’espressione sticazzi deriva dall’unione di un aggettivo dimostrativo, questi, e di un sostantivo di registro informale, cazzi. Per quanto riguarda il secondo dei due componenti dell’esclamazione, la parola “cazzo”, essa deriva dal latino capitium, diminutivo di caput, capo, dunque piccolo capo, il che evoca la forma fisica dell’organo sessuale maschile”.
“Il termine è spesso inteso come rafforzativo nelle proposizioni esclamative o interrogative (che c... vuoi? Che c… di caldo!!”). In romano contemporaneo la parola, impiegata al plurale, si adatta anche ad altri scambi dialogici, ad esempio quando inserita in espressioni come “e quanti c…i!!”, volta a significare l’eccesso di pretese o di problemi con i quali il soggetto parlante è costretto a confrontarsi”.
E via dicendo… ma, attenzione! Qualora il lettore voglia aderire al metodo, diventare un adepto e praticarlo con assiduità, sia cosciente del fatto che tale espressione, potrebbe essere fraintesa se proferita al di fuori di Roma, città dove nasce e si consolida. Nel nord Italia, infatti, lo stesso termine può assumere significati differenti… il rischio di essere fraintesi è alto. E anche se, fino ad oggi, il metodo non era mai stato formalizzato, risulta essere una corrente di pensiero e un modello di comportamento antico, radicato nell’essere umano da tempo immemore. Forse, addirittura, insito nella natura umana. Secondo l’autrice infatti, la storia è ricca di modelli di “illustri” sticazzisti: da Ponzio Pilato (“mi lavo le mani” = sticazzi), a Giulio Cesare (“il dado è tratto” = sticazzi), fino a Dante Alighieri (“Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”… più sticazzi di così?). Lo “sticazzi”, oltre ad essere liberatorio, ci mette al sicuro dagli stress della vita quotidiana. Ci aiuta a sopravvivere nel mondo del lavoro, dove ci si richiedono altissime prestazioni: “Fai domani quello che puoi fare domani, e dopodomani quello che puoi anche fare dopodomani. Se poi non è necessario farlo, non farlo e basta, chi te lo fa fare?”. Ci protegge dalla valanga di informazioni inutili da parte dei media: “La torta di matrimonio di Will e Kate era di 18 piani… e sticazzi?”. Ci aiuta nella guida: “e sorpassa, e non ti far fare la prepotenza, suona il clacson… ma non è meglio andare ognuno per la propria strada, mostrandosi gentile di fronte alle altrui scorrettezze, magari con l’aiuto di un cd di musica classica? Oppure, prendere i mezzi pubblici?”. È un’ottima terapia di coppia che invita le donne a prestare meno attenzione alle piccole cose: “anniversario, complimenti che si ricevono o non si ricevono…”, e gli uomini ad aiutare le loro partner ad aprire gli occhi e a vedere quello che conta davvero: “se lei vi accusa di non aiutarla nelle faccende domestiche, voi ditele: sticazzi, tesoro, dei pavimenti brillanti. Una mattonella appiccicosa non ha mai ucciso nessuno. Molla il mocio e andiamo a fare una passeggiata”.
E, ovviamente, è un’ottima arma di difesa dai logorroici che vogliono a tutti i costi condividere con noi le loro esperienza di vita. Lo sticazzista, insomma, se ha praticato con costanza, ha imparato ad accettarsi con tutti i suoi limiti, si vuole bene e gli altri gliene vogliono. Non lascia spazio a fraintendimenti, ma mette subito le cose in chiaro allontanando, seduta stante, disturbatori e personaggi inopportuni. Attenzione però, il metodo “sticazzi” è valido in molte delle circostanze di fronte alle quali la vita ci pone, ma non in tutte. Un bravo sticazzista, infatti, deve sapere quando non può usarlo. Le precauzioni per l’uso si trovano in fondo al manuale. Buona lettura!

 

 

 

Giulia Ferguson Barberini
Il metodo sticazzi
Roma/ Reggio Emilia, Aliberti, 2011
pp. 105

 

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