“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 14 February 2014 00:00

L'epifania della parola

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Lo spazio scenico del Ridotto del Teatro Mercadante è piccolo, soffocato dalle pareti nere. Al centro della scena svetta un grosso foglio bianco dell’altezza di circa due metri, un grosso formato A4 che attira lo sguardo con il suo candore. Il regista e narratore/protagonista Andrea Renzi emerge da dietro il foglio-sipario, avanza quasi circospetto e inizia a raccontare la storia del piccolo Tonino e della sua scoperta delle parole.

Il bimbo è il protagonista de La neve del Vesuvio di Raffaele La Capria, una raccolta di racconti autobiografici che seguono il fanciullo dall’età di due anni al primo ginnasio frequentato nel 1939. Renzi è vestito come un distinto professore di liceo, come immaginiamo fosse anche il padre di Tonino con giacca e camicia nelle tonalità autunnali. La storia della fanciullezza di Tonino è tutta interiore, agganciata a quei pochi momenti della vita che sono rivelatori, epifanici e che restano attaccati dentro a formare l’ossatura morale e la storia personale di ognuno. Tonino è un bimbo di due anni che vuole un palloncino rosso. La madre lo accontenta, ma subito dopo vola via nel cielo, sparendo per sempre. Il momento rivelatore che sconvolge il piccolo è che le cose scompaiono, ci sono, ma non ci sono più. La sua è una percezione, una voragine che gli si apre dentro e che non riesce ancora a verbalizzare, ovviamente per l’età, perché non ha le parole. Non le possiede ancora. Quella sensazione sorprendente della scoperta si ripresenterà quando Tonino alle elementari, su un foglio bianco, dovrà dare prova di conoscere le parole e comporle in immagini. È bravo a scuola, consegna sempre il compito per primo, però lo sgomento lo coglie quando avverte che le parole che usa non sono le “sue”, ma quelle che gli altri si aspettano da lui. Le parole prevedibili, derivate da altre parole. Queste gli apparterranno davvero solo quando un canarino giallo si poserà sulla sua spalla con sorpresa, oggettivato da un piccolo foglio bianco che Renzi stacca dalla scena in fondo per trasformarlo da foglio del tema a canarino, appunto. Un’emozione forte, è la scoperta della parola che definisce, che crea appartenenza. Tonino apre la sua coscienza alla scoperta di se stesso. Più tardi scoprirà che alcune parole nascondono problemi, mettono il padre in difficoltà, creano precarietà, senso di morte. Così il bimbo si trasforma in adolescente e le parole daranno corpo alle fantasie di quell’età. I suoi turbamenti vedono al centro la crudele eroina Uraza invece che la bionda e più reale compagna di liceo, la signorina Dohrn, figlia di colui che ha fondato l’Acquario di Napoli. Le parole delineano quella fantasia, si trasformano nello scrigno che custodisce questo segreto che lo fa sembrare così diverso da tutti gli altri compagni.
Così Tonino e il suo segreto, il suo stupore sul mondo, la sua sincera ricerca della verità nelle parole rivivono nella narrazione di Renzi tutta gestita dalla modulazione della voce e dalla intensità dello sguardo. L’attore non gesticola, non conquista lo spazio a grandi falcate, ma con piccoli passaggi da una parete all’altra della scena, per poi tornare al centro e a farsi ancora più avanti a ridosso quasi degli spettatori in prima fila. Le luci cadono dall’alto, ora illuminandolo in pieno, ora creando zone d’ombra dove i passaggi della narrazione si fanno più intimi e malinconici. Nelle sfumature della voce di Renzi troviamo la madre amorevole di Tonino, il padre, il professor Haberstumpfs e Tonino stesso. La sua voce e lo sguardo raccontano la storia della crescita, un teatro fatto di sola parola e di interpretazione.
Nell’inverno del 1939, nell’aula del liceo Umberto, il professore Haberstumpfs, supplente venuto da chissà dove, chiede agli adolescenti che ha di fronte di definire un oggetto banale: un ago. Tonino ci prova, ma non riesce a trovare le parole giuste. I fascisti sono in strada a manifestare contro la Francia che è entrata in guerra, urlano slogan, rumoreggiano, gridano parole. Il preside dà loro il permesso di uscire, ma il professore li ferma un attimo invitandoli ancora una volta a riflettere. Ai giovani inconsapevoli come Tonino chiede di imparare a riconoscere le parole, a definirle, perché “le parole sono sacre, non le idee, le idee non sempre sono sacre”. Come quelle scritte in grande, che si ripetono ovunque che non sono parole sacre, non posseggono la verità. Il professore maestro di vita consegna a Tonino l’ultima epifania, solo allora dirà: ”Ora potete andare. Andate”.
Il racconto pregno di sfumature, di acutezze e di umorismo di La Capria è portato sulla scena con abile maestria semplicemente da una voce e da uno sguardo.
Parole, soltanto parole. E mondi che si aprono come voragini.

 

 

L’armonia perduta
La neve del Vesuvio
di
Raffaele La Capria
regia Andrea Renzi  
con Andrea Renzi
scene Luigi Ferrigno
costumi Zaira de Vincentiis 
disegno luci Gigi Saccomandi
produzione Teatro Stabile di Napoli
durata 1h
Napoli, Ridotto del Teatro Mercadante, 11 febbraio 2014
in scena dall’11 al 16 febbraio 2014

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