Extra La locanda delle chiacchiere
«Il viaggio s’arresta in una locanda: scoppietta la fiamma, una musica dice il suo tono, il bisbiglio di voci vi domina legando i tavoli ai tavoli, gli uomini agli uomini. È qui che i racconti s’incontrano».
Due parti di sangue fiammingo − preferibilmente quello di Bosch ma va benissimo anche quello di Gijsbrechts − una parte di sangue austriaco nel senso di austroungarico e una parte di sangue italiano, del genere Marco Polo: agitare bene, al di là dell’Atlantico ed ecco Paul Rooms euro-americano trapiantato poi giovanissimo a Firenze dove compie tutti gli studi.
Filtra timido dalle persiane un velo di luce mattutina. Ha gli occhi socchiusi, Alex, avverte nell’intimo segnali emotivi che ben conosce. Gli capita con l’approssimarsi di possibili scosse del suo quadro di vita difficilmente controllabili. Non ama farsi sorprendere impreparato. Lei dorme.
Quella nuova macchina del caffè a cialde è davvero comoda e veloce, se ne fa uno doppio e cremoso come piace a lui. Pochi attimi dopo è sotto la doccia.
Io e Andrea siamo cresciuti così, su una poltrona di ricordi, spesso a rimuginare i giochi antichi e le risate bambine mentre le nostre gambe si allungavano e la schiena si faceva più salda nella nostra giovinezza. Con le mie dita ormai sfilate come disegni a china non ebbi mai paura di carezzargli i capelli ricci e nodosi, ribelli, e non ebbi mai nemmeno la vergogna di guardarlo negli occhi e stringerlo al mio petto che ancora non cresceva. Ci incastravamo sull’unica poltrona di casa sua, quella dove suo padre era solito trascorrere le ultime ore della giornata, dopo cena.
"Un libro dev'essere un'ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi".
Franz Kafka
Come te lo spiego il momento esatto in cui i bambini diventano grandi e i grandi ritornano bambini? Mi sembra di non poter raccontarti quel momento con parole umane, sensibili, ho paura che tutto quello che possa dire sia alla fine troppo lungo o troppo breve, della misura sbagliata. Io ho visto una volta quest'attimo accadere, un adulto e un bambino davanti a un libro. Erano entrambi distanti, trasparenti, pronti a cambiarsi i panni di dosso per indossare qualcosa di nuovo. Il bambino leggeva e nel leggere non si distraeva, non c'erano immagini che potessero divertirlo, solo parole una dietro l'altra, in fila indiana, come soldatini in marcia e perfettamente allineati.
Dal 1996 Cristina Seravalli ha lavorato come animatrice, sceneggiatrice e direttore artistico. Nel 1998 ha fondato, insieme ad altri soci, la casa di produzione Stranemani, da cui è uscita nel 2007. Dal 2008 si è dedicata alla produzione artistica personale. Nel 2009 ha iniziato a studiare affresco con il maestro Vico Calabrò. Per vivere gestisce un Art Hotel nel centro di Firenze.
Mi sento sempre attratto dalle scoperte casuali. Ed era così anche quando studiavo. Cercavo una frase a effetto per la tesi di laurea, e il caso ha voluto che mi imbattessi in uno scritto di Carlo Sini − professore all’Università di Pavia − che così si esprimeva “La filosofia non è un’episteme enciclopedica, ma un esercizio connesso alla vita”.
Tutto ha avuto inizio da lì.
La città delle contraddizioni (parte III): la perla nera
Written by Eleonora CesarettiLa terza e ultima tappa del nostro viaggio si coagula intorno alla città di Braşov. Snodo obbligato lungo la via ben più gettonata verso Bran e il suo letterario castello, Braşov ha una storia lunga secoli che si dipana attraverso lotte, incursioni, incendi.
Paolo Balboni, fotografo autodidatta, da qualche anno entra timidamente nel panorama della giovane arte contemporanea, grazie ad una serie di esposizioni in Italia e nel mondo.
La sua attività artistica inizia per gioco. Macchina fotografica in spalla e tanta voglia di conoscenza lo spingono a superare i confini della sua amatissima “Bassa Emiliana”. Dopo i primi scatti, fatti di nebbia, paesaggi in trasparenza e colori rossastri di un’architettura tipica del bolognese, viaggia, infatti, in tutto il mondo, in Africa, a Cuba, in Sudamerica, in India, in Palestina e in tutta Europa. Per lui, ciascuno di questi luoghi ha qualcosa da raccontare. Lo sguardo di un passante, uno squarcio di porta dalla vernice grattata, un angolo di luce, un muro che parla di storie politiche o di intrighi amorosi.
per F.
Io so di te quel che altri non sanno
Io so chi sei
Io so quel che ti agita dentro
Io so della tempesta dalla quale sei uscita
In un giorno ventoso di marzo
Io so quando il tuo cuore ben serrato
Si apre incontrollato a chi ti chiede aiuto
La città delle contraddizioni (parte II)
Written by Eleonora CesarettiIl convoglio polveroso sul quale viaggiamo fende versanti irsuti, snodandosi tra abeti spruzzati di neve che si innalzano fino al cielo. Dal finestrino opaco, queste montagne hanno l’aspetto di un dipinto eseguito con la tecnica del tratteggio. Hanno una bellezza diversa dalle foreste alpine alle quali sono abituata, e non hanno nemmeno l’aspetto di quelle americane, maestose e soverchianti, che tanto si vedono nei film d’oltreoceano. Queste sono remote, sembrano voler restare in disparte, un po’ come tutta la vera bellezza di questa regione incastonata tra i monti e punteggiata di case dai curiosi tetti scampanati, simili al cappello di una strega: la particolarità sta proprio in ciò che scelgono di non mostrarti, in ciò che lasciano in penombra nel tentativo di impressionarti con la facciata ufficiale.
È Georges Perec che scrive “Sì, tutto potrebbe iniziare così, qui, in questo modo, una maniera un po’ pesante e lenta, nel luogo neutro che appartiene a tutti e a nessuno, dove la gente s’incontra quasi senza vedersi, in cui la vita dell’edificio si ripercuote, lontana e regolare... le scale restano un luogo anonimo, freddo, quasi ostile...“. Parole che vorrei definire illuminanti, puoi trovarle nel Capitolo 1 del suo romanzo La vita istruzioni per l’uso. Sto parlando − col pensiero − a me stesso, come fossi un’altra persona.
- Quel qualcosa che non ho trovato
- La Fucina delle Scritture
- racconto
- Georges Perec
- La vita istruzioni per l'uso
- meccanica quantistica
- Socrate
- Parco Monluè
- Milano
- Martin Eden
- Jack London
- Bob Dylan
- Van Morrison
- CSN
- Ray LaMontagne
- Radiohead
- Sailing to Philadelphia
- Thomas Pynchon
- Mason & Dixon
- Kurt Vonnegut
- Un uomo senza patria
- Enzo Jannacci
- Enrico Brega
- Il Pickwick
Quante disegnatrici di fumetti erotici vi vengono in mente se vi fermate a pensarci? Nessuna, avrei risposto io fino a gennaio dello scorso anno, poi ho scoperto Giovanna Casotto. L'ho contattata, ma l'intervista non sembrava realizzabile. Lei rispondeva ai messaggi con naturale gentilezza, ma non aveva tempo, non era il momento giusto, non poteva dedicarsi alle domande. Poi, come a volte accade, forse una congiuntura astrale favorevole o forse la mia tenacia, si è aperto uno spiraglino nella palizzata che ci divideva e da lì ho fatto filtrare il foglietto con le tredici domande. La sensazione che si ha guardando le sue tavole, i suoi acquerelli e le sue foto è quella di una donna libera, fuori dagli abituali schemi, una donna che gioca. Per i suoi disegni usa la fotografia e mostra una particolare attenzione per alcune parti del corpo. Nel rispondere alla tredicesima domanda decide di ribaltare i ruoli, annidando un'intervista già pubblicata in questa intervista.
Gli O.P.G. chiusi lo sono sempre stati. Grossi muri e reti di recinzione proteggevano la “gente normale” dai “matti”. Spesso, l’unica follia dei rinchiusi era quella di essersi trovati soli al modo. La solitudine era una colpa nei confronti di una società che avrebbe dovuto badare a una persona abbandonata, randagia, magari un minore, magai una donna. Questa e altre piccole o grandi colpe, come aver tentato di rubare un pacchetto di sigarette o essere omosessuale, tenevano le persone rinchiuse in celle piccolissime a scontare pene terribili.
- Passeggiata teatrale
- C'era una volta il manicomio
- Ex OPG Je so' pazzo
- Chille de la Balanza
- Claudio Ascoli
- OPG
- Sant'Eframo a Materdei
- Franco Mastrogiovanni
- Giuseppe Uva
- Stefano Cucchi
- Legge Basaglia
- Vito il recluso OPG: un'istituzione da abolire
- Gomorra
- Roberto Saviano
- San Salvi
- Vito De Rosa
- Espressioni
- Sara Scamardella
- Il Pickwick
Palazzo Mezzanotte, il nome di quel monumentale edificio dal singolare sviluppo architettonico, evocava nella giovane mente di Jolene pensieri vagamente oscuri. Quando suo padre l’accompagnò per la prima volta − lei aveva quindici anni − in Piazza Affari, nel tempio del mercato finanziario milanese, per mostrarle dove lui svolgeva la sua attività quotidiana, osservando dalla vetrata esterna al salone la frenetica, vorticosa agitazione di persone e cose, da lei mai immaginata prima, braccia nervosamente protese in alto verso svariate direzioni, dita puntate non si sa dove, l’incredibile vociare che le giungeva sia pur ovattato alle orecchie, Jolene si fece un’idea del tutto diversa di quel luogo. Un luogo pieno di vita, pensò, pur non comprendendone del tutto il significato. Quasi un gioco, le venne da dirsi. Un gioco carico di energia quasi allegramente schizofrenica.
il Pickwick
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