“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

La fucina delle scritture

Extra La locanda delle chiacchiere

«Il viaggio s’arresta in una locanda: scoppietta la fiamma, una musica dice il suo tono, il bisbiglio di voci vi domina legando i tavoli ai tavoli, gli uomini agli uomini. È qui che i racconti s’incontrano».

Wednesday, 04 September 2013 02:00

Il CIRCO(LO) VOLANTE PICKWICK - QUINTA PUNTATA

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Pubblicità del documentario sulla vita di Flusso di Coscienza

In attesa del lungometraggio che racconterà la vita di Flusso di Coscienza, noi cercheremo di indagare la sua figura avvolta nel mistero. Perché è la storia di un uomo che ha fatto, fa e farà la storia, perché lui, lo si voglia o no, è la storia di tutti noi, perché lui è tutti noi ma anche forse no. “Forse no!” e noi lavoreremo su questo “forse”, com’è tipico della nostra serie di documentari del sabato “You are not alone – il forse potrebbe essere dietro l’angolo”. Chi può dire di aver conosciuto veramente e in profondità il Flusso di Coscienza? Chi può dire di non averlo mai incontrato? Lui è conosciutissimo ma ben poco sappiamo di lui e del suo passato, c’è chi dice che non sia mai nato, che avrebbe la forma di un serpente che si morde la coda e che esisterebbe da sempre come sostiene lo studioso di para-antichità Joseph Fitzcarraldo ma c’è chi dice – e dobbiamo citare almeno il socio-psico-antropo-filo-anticologo Aguirre Furoredidio – che è già morto perché un’antica iscrizione ritrovata in un ghiacciaio sulla Maiella sosterrebbe, a quanto dicono studiosi del settore che l’hanno tradotta grazie a nuovissime tecniche di decodifica, che “l’uomo che come un flusso bagnerà le nostre coscienze, presto si inaridirà e ritornerà a essere polvere”, l’iscrizione è firmata con un’impronta di mano, databile a ventimila anni fa, di tal Giuseppe Everyman. Noi come sempre ci posizioneremo nel mezzo, non proporremo nessuna ipotesi ma sguazzeremo in tutte, perché nulla è facile nel cammino del forse, e i nostri telespettatori più affezionati sanno che a volte c’è capitato di incontrare, nostro malgrado, una verità, ma – anche se non dovremmo svelarvi questa sorpresa – il signor Flusso di Coscienza sarà con ogni probabilità nostro ospite e forse svelerà l’arcano, forse ci dirà se è mai nato o se è già morto. Ma anche forse no. Un saluto e vi aspettiamo numerosi!

Friday, 30 August 2013 02:00

La bella estate

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La mamma era stata categorica: “Niente bagno dopo pranzo altrimenti muori.”
“Muoio?” chiese Elena, “Ma...Come... Subito?”
“Ti viene un mal di pancia fortissimo e affoghi. Stai zitta e aspetta un'ora” tagliò corto l'altra.

Zia Betty, lontana, lontanissima zia mai conosciuta, è passata a miglior vita; suo figlio ha invitato anche me per l’estremo saluto. Un end party in tipico stile americano, la morte una festa d’addio, un arrivederci nell’altra vita, mangiando dolci e guardando fotogrammi, video, oggetti, testimonianze indelebili di chi non è più. E sorseggiando un caffè nel salotto della sua intrigante casa, un caffè fatto di ricordi ed aneddoti, dove lo zucchero diviene voglia di vivere e il roteare del cucchiaino è immersione pura in immagini di vita passata.

Monday, 26 August 2013 02:00

Il gatto sul petto che scotta

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Il gran bel gatto nero miagolò miaooooooo sul gran bel petto bianco della dama di picche e io davanti a loro non capii. Il gattaccio mi fissava come se la sapesse lunga proprio lui con quella pellaccia nera da jettatore e miaooooooo insisteva miaooooooo, io ero esterrefatto. Aprii bocca per dire e mentre dicevo lui miaooooooo mi miagolò con una certa autorità, il gattone era eloquente con i suoi occhi lunari e il miagolio imperioso, e per di più la comandava lui sul petto regale della dama di picche con la faccia bianca girata dall’altra parte, rispetto alle picche intendo; lui era il gran gatto re sul gran petto della regina e per questo poteva ordimiagolarmi qualsiasi cosa e io dovevo solo starmene a capo chino al cospetto della sua grandezza.

Dopo anni di analisi e di ricerche, sono finalmente riuscito a ricostruire le ultime ore di vita di Lev Trotsky. Come il suo assassino Mercader del Rio entrò indisturbato nella sua casa, quali furono i temi di carattere politico che affrontarono, quale la dinamica dell’efferato omicidio. Dopo oltre settanta anni da quella terribile notte, porto per la prima volta a conoscenza il risultato del mio lavoro, fiducioso che sia di aiuto e di lezione alle future generazioni.
Intriso di  stima e affetto verso il Direttore de
Il Pickwick e la Redazione tutta, ne faccio loro dono affinché avvenga la pubblicazione e il giusto risalto della mia opera.
Il Pickwick infatti, nei grovigli della rete, colma di trappole ed insidie è l’unica testata virtuale nella quale cultura, conoscenza e ragione interagiscono in modo equilibrato e mirabile alla ricerca filosofica della verità.
Ecco quivi, la risultanza del mio studio che porterà, concedetemi questo slancio di immodestia, ad una nuova analisi storica della travagliata e spietata vita politica nella Russia del ventesimo secolo.

Sunday, 04 August 2013 07:26

Ho baciato Mick Jagger

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   quella mattina m’ero svegliato con una gran voglia di andare con una donna… desiderio tutt’altro che raro: ad ogni mio risveglio infatti sono pervaso da siffatta prurigine talvolta riuscendo addirittura a compiacerla: circostanza – quest’ultima – però invero rarissima
   quando la Fortuna si ricorda di carezzarmi le gote allora basta un paio di telefonate a delle ragazze giuste che conosco (dalla dubbia moralità) anch’esse assalite da medesima (e fors’anche più incalzante) foia mattutina per soddisfare così la mia personale fregola e la giornata è da reputarsi tutta guadagnata – indorata da nuova luce

Thursday, 01 August 2013 02:00

Uno dei miei più grandi trionfi

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Ancora una volta (e non riesco neanche più a contarle) quel mio caro amico (l’amicizia – e non posso farci nulla ma mi scappa sempre un sorriso quando penso a quel sentimento) di cui forse non ho intenzione di parlarvi troppo a lungo, perché non è poi una persona tanto interessante da necessitare una trattazione specifica, uomo che potrà forse incuriosire qualche nostro studioso della psiche (all’erta psicologi, psichiatri, psicanalisti, pedagoghi, educatori, sociologi e antropologi!) ma che per quanto mi riguarda in un mondo benfunzionante non sarebbe capace di suscitare una qualche emozione in nessuno, mi disse che si sarebbe sparato un colpo di pistola in faccia, perché la sua vita faceva schifo (come dargli torto?) e anche la sua morte non doveva essere da meno, sangue e pezzetti di cranio e poi materia grigia e occhi schizzati chissà dove, grida di persone disgustate e infine qualche incubo durante le notti di chi per sua disgrazia lo avrebbe trovato spappolato nel suo studio. Come un immenso affresco del dolore contemporaneo, proprio così mi disse e io quasi quasi gli ridevo in faccia (ma, come sempre, seppi controllarmi).

Per me che uscivo dal liceo classico, doveva essere tutto più semplice perchè, a detta di molti, lo studio del latino e del greco mi avevano dato un’apertura mentale superiore, una forma mentis tale che avrei potuto fare veramente tutto.
Perciò sapevo di non voler fare niente.

La contessina Maria Rosaria Galateva, la matura cugina americana Michelle Rabby con la figlia Ketty e poi c’ero io; come un redivivo Quartetto Tetra giravamo per la Florida cantando canzoni improbabili, in un afoso giorno di fine agosto, pronti per una visita guidata all’Everglades, una vera e propria palude attrezzata. Avevamo appena parcheggiato nel Parking l’auto col cambio automatico, che ormai ero solito guidare. Visto che tutte le volte che Michelle Rabby aveva guidato era stata una tragedia: la prima volta aveva preso l’autostrada, ’a Turnpaich, nel senso opposto; la seconda, era stata inseguita e bloccata da un’auto della Polìs, con tanto di 100$ di multa; la terza, guidava così veloce che sembrava stessimo decollando, tanto che ad un certo punto era apparsa l’hostess per indicarci le uscite di sicurezza.

Tuesday, 09 July 2013 08:29

Il Vampiro (Versione 2.0)

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Scosta piano la tenda e il suo volto bianco appare dietro il vetro, la luce è come uno schiaffo sulla faccia, un sole sporco di pulviscolo filtra i raggi, nel riflesso del vetro un’immagine vaga, luce crudele, pelle appassita bianca e smorta, Valeria richiude la tenda, il buio nasconde le cose, la notte è pietosa, la notte è buona papà la notte riesce a dormire e la tormenta meno… ma che pensa, papà non la tormenta affatto, povero papà… da quando è caduto a letto malato la sua vita è tutta dentro quella stanza, e la sua in quella casa spenta, povero papà, la sua vita confinata in una malattia, l’attesa della fine, e che arrivi lenta e meno dolorosa possibile… oppure che arrivi in fretta e non ci pensi più… ma povero papà, speriamo che guarisca, un miracolo è sempre possibile…

Thursday, 11 July 2013 02:00

MATTINO IN ROSA 04: Made in USA

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di Attilio Faroppa Audrino


Cara Peggy, è proprio vero: Gentlemen Prefer Blondes! Ma a volte non resta che la fede!

Negli anni ‘50, le tre sorelle Franzenstein − Cherry la bassetta, Molly la moretta e Sydney l’occhialuta −, che erano proprio nate a Little Rock, Arkansas, passavano per tre graziose e vispe bimbette. Il loro sogno era quello di diventare: la prima come Marilyn Monroe, la seconda come Jane Russell e la terza... be’, Sydney sperava solo di diventare una qualsiasi Lady Beekman, quella della tiara di diamanti per intenderci. Ma crescendo presero una piega bizzarra e, come Piero Chiara descrisse le sorelle Tettamanzi, andarono sempre più ad assomigliare a delle zucche degenerate.

Le lettrici del Pickwick protestano:

Siamo indignate per la linea misogina che il vostro editoriale sta prendendo ultimamente. Ci riferiamo alle posizioni manifestate attraverso i loro scritti dagli autori del “Circo(lo) Volante Pickwick”, Delio Salottolo e Daniele Magliuolo. Chiediamo l’immediata sospensione della suddetta serie accompagnata dalle scuse della Redazione. Grazie.

 

AUTORI, AVETE LETTO?

(la Redazione)

 

Alle 7:30, puntuale e un po’ reticente, Chiccumma mi era venuta a prendere a casa, accompagnata da Simoncello a bordo della fantastica “16”, il modello della Fiat più “fortunato”. Sul raccordo sembravamo andare sempre in “prima” ma dall’alto dei nostri sedili superavamo tutte le auto che viaggiavano nella corsia di destra; ad un certo punto uno strano tipo con gli occhiali da sole e gli occhi chiusi guidava una Citroèn bordeaux: “Ma chill’ è Gennaro!”. Dal finestrino tentammo di attirare la sua attenzione, Simoncello iniziò a suonare anche il clacson, uno dei sedici, ma niente, il Ray Charles del Cilento continuava dritto per la sua strada: “Sta’ proprio durmenn!”.

Friday, 28 June 2013 02:00

MATTINO IN ROSA 03: Peggy e il polpo

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di Attilio Faroppa Audrino


Oddio Peggy. Nemmeno l’abate Zanella, pur uso ad accomodarsi davanti alla sua conchiglia fossile, incocciando con quel polpo moscio tipo blob sulla tua augustissima capa, riuscirebbe a mettere giù due righe che non sappiano di aglio e prezzemolo.

Sunday, 30 June 2013 02:00

Les boutades de Lubylu – Defensor legis

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Era sicuramente un giorno di fine giugno, stavo come sempre per partire alla volta di Roma, che era diventata un po’ la mia seconda casa.
Non avendo impellenze lavorative, ero solito fare il biglietto alla Stazione Centrale di Napoli, giusto in tempo per prendere l’adorato Eurostar.
Quel giorno le macchinette automatiche erano più occupate che mai, cioè le due funzionanti, le altre o erano fuori uso, o accettavano solo carte di credito; mancava poco alla partenza del treno, quando finalmente arrivò il mio turno. Con un occhio programmavo il biglietto, con l’altro iniziavo a prepararmi i soldi e con l’altro ancora (a Napoli bisogna avere cento occhi…) mi guardavo da extracomunitari equivoci, tossici in attesa della dose quotidiana e piccoli nomadi già esperti.
Divincolatomi con successo da tutto ciò, con la mia valigetta da pendolare mi avviai verso i binari, quando all’improvviso un poliziotto in divisa mi bloccò: “Documenti!”
“Perché ho la faccia sospetta?!” Incalzai io tra il serio e il faceto.
“Normali controlli”. Mi rispose accompagnandomi nel box della Polfer.
Pensai: “Questa sarebbe la giustizia di oggi? Questo sarebbe il mondo dopo l’11 settembre? Ce sta chellu ppoco ind’a stazione e controllano a me!?...”
Comunque il maresciallo seduto dietro la scrivania, con gentilezza si prese i miei documenti ed io, con la stessa gentilezza, gli chiesi di non perdere il treno.
Poi mi domandò cosa facessi nella vita, dove abitassi e soprattutto cosa stessi andando a fare a Roma. Un tragitto così lungo doveva avere una valida motivazione…
“Cerco lavoro!” Che poi non era proprio la verità, il lavoro lo avrei cercato qualche mese dopo, in quei giorni andavo, più che altro, per divertirmi.
“Fai bbuono! Sta -BIP- e Napule, è bella assai ma non ce sta ‘a fatica.” [Trad: Hai fatto la scelta giusta! Questo sperma di città di Napoli è meravigliosa ma non offre molti sbocchi lavorativi.] E poi aggiunse: “Comunque è tutto in regola, buon viaggio!”
Non persi il treno e quasi mi dispiacque per lui, che non aveva trovato niente di irregolare sul mio conto. Però ebbi la certezza che io ero un uomo pulito, un uomo rispettoso della legge che magari all’occasione sarebbe diventato un vero e proprio defensor legis.
E l’occasione arrivò, proprio due ore dopo.
Nel centro di Roma è raro che avvengano spiacevoli episodi di microdelinquenza, solo sui mezzi pubblici puoi rischiare di essere derubato, mezzi pubblici che sono spesso affollatissimi, malfunzionanti e maleodoranti (soprattutto nei mesi estivi).
Appena arrivato in Capitale, salii appunto su un autobus che mi avrebbe portato in viale Ippocrate a casa di una mia amica; avendo come al solito, un occhio verso la valigia, l’altro verso il mio portafoglio, l’altro ancora (quando c’è l’Atac, bisogna avere cento occhi…) che scrutava i potenziali ladruncoli.
A bordo, confuso tra la gente, c’era un ragazzo, certamente slavo o forse albanese (vabbuò un incrocio), che non me la contava giusta.
Oramai lo osservavo da alcuni minuti, osservavo i suoi movimenti sospetti, il suo volto poco affidabile, i suoi occhi sfuggenti.
Ed infatti all’improvviso, il ragazzino infilò la sua mano clandestina nella borsetta aperta di una signora, signora che guardava in direzione opposta e che quindi non poteva accorgersi del gesto furtivo. Passarono alcuni secondi mentre la mano continuava a frugare abusiva.
In quei secondi mi passò davanti tutta la mia vita, in quei secondi mi chiesi se era giusto restare indifferente, rimanendo nell’anonimato o se era giunto il momento di far sapere al mondo che il defensor legis era arrivato.
Scelsi questa seconda possibilità.
Con uno scatto afferrai il braccio del giovine delinquente, lo tenni stretto con tutta la forza che avevo e gridai: “Fermo! Fermo! Stai fermo!”.
E fu proprio in quel preciso istante che la signora, vittima designata di quello scippo, si voltò, mi guardò negli occhi e mi disse: “Veramente è mio figlio…”.
Una risata collettiva riempì l’abitacolo.
Immediatamente tutti i colori possibili della vergogna si palesarono in modo alternato sul mio volto: decisi di scendere, sei fermate prima.
Io, defensor legis sotto un sole cocente, giunsi a piedi, sudato, stanco, puzzolente a casa della mia amica.
E per l’imbarazzo, arrivai con gli occhi chiusi: uno, l’altro e l’altro ancora…

il Pickwick

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