“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

La fucina delle scritture

Extra La locanda delle chiacchiere

«Il viaggio s’arresta in una locanda: scoppietta la fiamma, una musica dice il suo tono, il bisbiglio di voci vi domina legando i tavoli ai tavoli, gli uomini agli uomini. È qui che i racconti s’incontrano».

Monday, 17 March 2014 00:00

Gazza’s Superstar Soccer

Written by

Un giorno noi amici d’infanzia ci trovammo tra le mani una cassetta con un gioco di calcio nuovo per il commodore 64. Si chiamava Gazza’s Superstar Soccer, dal soprannome di un giocatore inglese che non conoscevamo ancora. Era divertente perché potevamo scegliere le squadre di club europee più prestigiose e le nazionali che avevamo da poco visto nel mondiale italiano. I giocatori piccoli, il campo di calcio enorme, non c’era proporzione. Quando ti mettevi in posizione diagonale rispetto alla porta, poco prima dell’area di rigore, e caricavi il tiro, era sempre gol: il portiere che sembrava un granchietto era anche lui troppo piccolo per la porta, e la palla allora, se angolata, non la prendeva mai. Io giocavo col Real Madrid, perché il Napoli non aveva più Diego, perché Diego era scappato, perché vedevamo i suoi gol su VHS come piccoli new romantic del pallone: qualcosa, senza saperlo, era quasi finito.

L’arrivederci

A mezzanotte si sentiva a pezzi. Vedeva spazi alberati. Palazzi gentiluomini. Ufficiali di terracotta. Fermi e infermi. Dolori senza urla. La casa di zucchero e marzapane. Una storia senza pane. Forni spenti e la voglia di accendere un fuoco. Divampò. Avvampò e poi andò. Verso altri spazi.

 

Il viaggio e il ritorno

Appese il lume della ragione in strada e aspettò. Le onde del mare così alte non le aveva mai viste. D’altronde la sua era una città a picco sul nulla e il mare non c’era. Riuscì a scorgere un gabbiano, di cartone. Un vento così lui non l’aveva mai incontrato. Del resto la sua era una città ferma e il vento non soffiava, restava a guardare. Non aveva mai visto una luna così sorridente. Sulla sua città sogghignavano le nuvole. Toccò il cielo con un dito, il mare con i piedi e si lasciò accarezzare dalla brezza. Ore ed ore. Albeggiò. Mise il lume in tasca e si sedette in strada, ad aspettare che il sole tramontasse ancora. Era così lontano pochi secondi prima… Ora gli occhi fissi sull’asfalto e contava i secondi. Quattrocentoventi secondi di cammino lo separavano da casa.

 

L’addio

Sciolta. La casa si era sciolta. Dissolta. Un fiume dolce. Ritornare. Controcorrente anche lo zucchero diventa sale. Scale, niente più scale. Nessuna casa sopravvissuta, neanche la sua. Avrebbe dovuto pensarci prima di divampare. Affanno. Non sarebbe più stato lo stesso, non era più se stesso. Un lume senza casa è senza ragione. Pensò alle onde del mare. Ne prese una. Non sarebbe più tornato. Né lì né altrove.

Saturday, 22 March 2014 00:00

Roulette russa

Written by

La signora Bianca è due stanze più avanti, mi aspetta distesa sul lettino della sala visite. Sono venuta di qua per poter leggere le sue lastre del torace sulla lavagna luminosa.
Il suo dolore alla gamba è il mio nemico degli ultimi giorni, un nemico più tenace di quanto mi aspettassi. Lei mi guarda con quegli occhi liquidi, azzurrissimi, velati dal dolore che la attanaglia e le toglie il sonno, ma non la speranza. "Lei è il mio angelo" mi dice.
Io non vorrei essere un angelo, vorrei non avere cuore e anima e pelle. Vorrei non sentire nulla, a volte.
Se non portiamo più sangue al suo piede rischia di perdere la gamba. Il chirurgo si rifiuta di operare, dice che è troppo rischioso, che ha poche possibilità di riuscita. Sono andata a protestare dal mio primario: "È lui che rischia, è lui che decide".
La signora Bianca ha quarantotto anni e quegli occhi imploranti avvitati nel mio cervello come una vite da dieci.

Tuesday, 11 March 2014 00:00

Sole

Written by

Il fumo s’agita nel vento caldo, massa densa premuta dalla polvere, dilatata in macchie infauste. Il Cielo non vuole questo olocausto, il Cielo è inclemente e ci fa tossire sui nostri stessi incensi, che ci tornano in volto mischiati alla polvere. Il Lume divino è oggi forte e grande: l’ira lo gonfia e lo allarga e noi non ne guardiamo i confini, per timore del fuoco nei nostri occhi.

Tuesday, 04 March 2014 00:00

L’incontro

Written by

Marta era sul treno, seduta dalla parte del finestrino, e guardava scorrere i paesaggi davanti ai suoi occhi: tutto sembrava far parte di un grande flusso di luci, colori e forme. Di quel paesaggio in movimento non riusciva a distinguere nulla, la sua mente era simile a quella visione: fulminea e confusa.
L’aria condizionata le faceva ghiacciare le ossa e strofinò le mani sulle spalle, per scaldarle. Erano passate già tre ore e Marta aveva voglia di sgranchirsi le gambe, ma non voleva disturbare l’austero uomo d’affari che, seduto al suo fianco, scriveva freneticamente numeri al computer. “Che vita triste dev’essere la sua", pensò.

Monday, 24 February 2014 00:00

10 Accendini Neuro

Written by

(storia mal raccontata di un personaggio che in gioventù era chiamato Uanem’ ‘e Jeppson)

Non andavo di fretta quel giorno e nei miei occhi, sono sicuro, brillava una luce particolare. Ne sono sicuro soprattutto per un motivo: quel giorno lì, per una serie di coincidenze terrene favorevoli, non dovevo correre in su e in giù per tutta la città al fine di racimolare quello che solitamente mi serve per pagare l’affitto, bere e mangiare (l’ordine non è puramente casuale, la casa è al primo posto, perché per la strada, c’ho provato, creperei dopo troppo poco tempo e in definitiva c’ho ancora voglia – di campare si intende, al secondo posto metto il bere, la trovo un’attività che non soltanto regala bei momenti, anche brutti chiaramente, ma che dà anche il suo apporto organico di calorie, non fa sentire freddo e a volte sembra che sazi, infine mangiare soltanto al terzo seppur onorevolissimo posto perché mangiare veramente e mangiare bene costa, e non era quello il periodo in cui me lo potevo permettere).

Tuesday, 25 February 2014 00:00

Una serata impegnativa

Written by

“Devo andare in bagno”. La cena proseguiva spedita, ma lei aveva bevuto decisamente troppo. E poi aveva bisogno di un paio di minuti di pausa per rispondere ai messaggi. Questa cosa stava diventando peggio di un lavoro. Avere troppi galli nel pollaio era decisamente un toccasana per l’autostima, ma la stava snervando.

Wednesday, 19 February 2014 00:00

L'appartamento

Written by

Quel giorno l’appartamento non era come lo ricordava. Gianni l’aveva portata là varie volte, e non aveva mai notato quella porta. Una porta bianca, anonima, come le altre.
− Gia’, ma questa porta?
Nessuno rispose. Gianni stava prendendo le misure in cucina, aprendo finestre, alzando tapparelle. C’era da verificare la possibilità di realizzazione di un nuovo bagno, e per quello erano in attesa dell’architetto.

Monday, 17 February 2014 00:00

En la jugada de todos los tiempos

Written by

Ahi la tiene Maradona. Le marcan dos. Pisa la pelota Maradona.
Il campo è una pozzanghera di fango e terreno, un’informe distesa marrone su cui l’erba ha deciso di non crescere: come a non voler dare illusioni, vantaggi, un minimo di comodità; come a non voler concedere neanche un po’ di bellezza a questo morto pezzo di terra di una morta periferia meridionale.
Assenti le linee di fondo, il cerchio al centro del campo, gli spigoli negli angoli, l’aria del portiere; assente il dischetto, lo si misura coi passi: uno, dos, tres, cuatro, cinco…

Sunday, 16 February 2014 00:00

La Dama

Written by

A quei tempi non avevo ancora vinto il concorso, così lavoravo da sola, in proprio insomma. Cioè a dire il vero il concorso lo avevo anche vinto, ma aspettavo che mi chiamassero. Scorrimento della graduatoria, così si dice. Prima chi vogliamo noi poi tutti gli altri, così dico io. Comunque, nell’attesa continuavo a fare il giro delle case, tutti i giorni. Avevo un motorino, un Ciao scassato che sopportava paziente i miei capricci e i miei chili. Non so perché, ma quelle che fanno il mio lavoro, e lo fanno bene come me, sono sempre belle in carne. Così ero io, e ancora oggi non so se sono io che ho scelto il mio lavoro, dandoci dentro con arancini e sfoglie ripiene, o è il lavoro che ha scelto me, proprio a causa di questa mia passione per i carboidrati, come si chiamano adesso. Pane, pasta, pizza, dolci, insomma.

Monday, 10 February 2014 00:00

Ambidestro

Written by

Ero un ragazzino di nove anni felice quando un signore barbuto mi raccattò per strada dove stavo giocando con amici più grandi di me mi tirò per il braccio nonostante gli amici urlassero e lo prendessero a maleparole e mi buttò in macchina con forza e io resistevo ma invano lui il signore barbuto mi stava rapendo e io il ragazzino sudaticcio magro con la maglia strappata e il pantaloncino azzurro e le scarpe consumate che siamo tutti così quando giochiamo in strada non perché manchino i soldi ma perché le cose non ci mettono niente a consumarsi dicevo io venivo rapito nel bel mezzo di un pomeriggio estivo e per me non c’era nulla da fare ero vittima di uno stupratore che in macchina si accendeva il sigaro e faceva partire la musicassetta dei Santana dico io i Santana che sarebbe stata la prima e ultima volta che li avrei sentiti e li sentivo mentre quel signore barbuto mi avrebbe toccato e mi avrebbe costretto a fare cose brutte come solo chi le vive sa: io però non lo avrei saputo.

Monday, 03 February 2014 00:00

Difesa e contropiede

Written by

A volte rischio di promuovere oleograficamente il calcio a metafora di una nazione, me ne assumo la responsabilità, ma la stanchezza e l’implosione hanno coinvolto in contemporanea le pareti del corpo statale, partiti e parrocchie, e questo sport vissuto alla maniera dei Boniperti e dei Viola.
Un calcio da album delle figurine, da foto di gruppo in piedi e accosciati, da bianco e nero inteso come unico accostamento di colori possibile date le tecnologie a disposizione. Le poche trasmissioni erano gestite come una pesca a premi alla festa di fine estate. Vi smanettavano con un foglio di appunti che riportava le occasioni principali delle partite, o forse la lista della spesa da fare appena sfuggiti dallo sguardo indiscreto della telecamera, personaggi strapaesani che credevo confinati a discutere nei bar e nelle panchine dei parchi.

Friday, 07 February 2014 00:00

Yuliy

Written by

Quel giorno ero a casa di Yuliy. Non lo vedevamo più da mesi: non veniva a scuola, non giocava nel cortile del suo palazzo, non era in giro con la sua bicicletta da corsa, regalo del nonno, ex ciclista polacco. Quel giorno, però, avevo deciso di andare a trovarlo: potevo farlo, in qualità di suo migliore amico, e potevo permettermelo: avevo risparmiato per tutto il mese precedente quanto bastava per prendere il treno.
Il treno passava solo due volte al giorno e impiegava trenta minuti per percorrere quei cinque chilometri di binari che dividevano le nostre case. Dai finestrini si potevano vedere i comignoli dei caseggiati: molti erano in periferia. Distrutti. Più grigio del grigio fumo che usciva dalle bocche delle canne fumarie era il cielo.

Saturday, 01 February 2014 00:00

Caterina ha le scarpe nuove

Written by

Caterina ha le scarpe nuove.
Quando le ha provate al negozio, avvolta da un fascio di luce fulgido come la grazia divina in un’opera di Caravaggio e abbagliante nemmeno fosse Heidi Klum alla settimana della moda di Milano, la commessa l’ha guardata, si è fermata, ha posato le scatole che aveva appena prelevato dal magazzino e ha detto: – Ogni tanto bisogna fare una pazzia –. È rimasta a guardarla per qualche secondo, fissando la sua espressione interrogativa dallo specchio di fronte.

Sunday, 26 January 2014 00:00

Il tempo ed io

Written by

Sono nato a mezzanotte. Minuto più, minuto meno. Perciò i medici ed i miei hanno deciso il giorno, non è stato il giorno a decidere. Dieci ma poteva essere nove. Meglio guardare avanti, si dice. Giugno ottantasette, il muro di Berlino doveva ancora cadere, le guerre che si studiano a scuola erano finite. Le altre c’erano, sì, ma più quotidiane. Quasi innocue, striscianti. Molto meno importanti.

il Pickwick

Sostieni


Facebook