Extra La locanda delle chiacchiere
«Il viaggio s’arresta in una locanda: scoppietta la fiamma, una musica dice il suo tono, il bisbiglio di voci vi domina legando i tavoli ai tavoli, gli uomini agli uomini. È qui che i racconti s’incontrano».
C’era una volta...
C’era una volta in una terra lontana lontana, il regno incantato della città di Pietra. Nel regno vi era una città costruita ai piedi di un’altissima torre di roccia che da sola saliva al cielo in mezzo alla pianura verde dove tranquillo e lento scorreva il grande fiume Vallon. Gli abitanti di quella città vivevano sereni e felici perché a governarli c’erano un Re e una Regina molto buoni, che vivevano in un grande castello e avevano una figlia: la Principessa Gaia.
Alla Biblioteca Ambrosiana c’è voluto poco per entrare in contatto. Dopo la laurea mi ero preso un anno sabbatico, come si usa nei Paesi anglosassoni. Volevo riflettere senza condizionamenti. Poi avrei deciso sul tipo di lavoro che mi permettesse di puntare in alto. Valeria, che ha quattro anni meno di me, frequentava il corso di laurea magistrale in arti visive per passare in seguito a quello di filmaking.
Da qualche settimana la mattina mi fermavo un paio d’ore nel salone di lettura per fare ordine in certe mie confuse idee, consultando libri di ogni genere con particolare riguardo alla saggistica politica. Lei se ne stava seduta sempre al primo banco, seminascosta dai numerosi volumi che sfogliava con aria concentrata. Ogni tanto si alzava, puntava dritto al reparto computer che le era di fronte, premeva velocemente alcuni tasti e fissava il video per qualche secondo. Al termine dell’operazione annotava qualcosa su una minuscola agenda mentre tornava al banco. Ogni volta, prima di sedersi, scuoteva la testa come fosse delusa. Poi gettava all’indietro i capelli rossorame e lanciava un’occhiata panoramica verso il salone.
Mi manca. Cazzo, quanto mi manca. Dico a mia moglie: “Dài, apriamo un po’ ‘ste finestre. Non vedi che sole? Godiamocelo”.
“Certo che un inverno così sarà meglio dimenticarcelo” Kitty.
Per tante ragioni, penso.
Da oggi, dopo tre giorni, scorre vivace il traffico automobilistico sotto di noi. Il blocco è cessato, le polveri sottili rientrate nei limiti. C’è stato uno smog senza tregua.
La via dove abitiamo è stretta, i marciapiedi sui due lati lasciano poco spazio ai pedoni, non è certo un luogo da movida. Mi affaccio alla finestra dopo aver aperto le tende bianche, e subito mi torna alla mente quel marciapiede diviso in due della movimentata Rambla Santa Monica di Barcellona, così largo che è un piacere passeggiare, soffermarsi davanti alle vetrine dei negozi, alle bancarelle, lanciare lo sguardo in alto dove si affacciano elegantemente bizzarri balconi dal tratto architettonico che sembrano volerti ricordare un surrealista Gaudì.
Nella (non troppo) amena e ridente cittadina di B. – giacché provatevi voi ad essere ‘ameni e ridenti’ quando nel vostro territorio insiste una discarica di rifiuti oltremodo invasiva, senza neanche (tra l’altro) che ne deteniate la titolarità effettiva, sicché ne “godete” tutto il lezzo senza però che la si conosca nemmeno come “la discarica di B.”, finendo così per non essere nemmeno riconosciuti come titolari di un degrado, bensì due volte vittime: dell’inquinamento e dell’oblìo – in questa cittadina, dicevamo, insisteva, oltre a detta discarica – e oltre ovviamente a tutta una serie d’altre normalissime attività – la bottega, o meglio il salone, di un barbiere.
Ricky
Lui è un bambino di sette anni. Gli piace contemplare le fantasiose evoluzioni aeree delle rondini dalla terrazza di casa che svetta su una collina dolcemente digradante.
Di ritorno da un lungo viaggio in volo dall’Africa, ogni anno − sempre meno numerose a causa del surriscaldamento della Terra e dell’inquinamento atmosferico − nelle stagioni propizie le rondini roteano, volteggiano, si separano con scatti verso svariate direzioni, planano all’improvviso, si rialzano e il gruppo si ricompone dando corpo a imprevedibili forme geometriche nel cielo di un azzurro intenso a tratti cangiante sul dorato, poi di nuovo si separano.
Ricky è irresistibilmente attratto da quello spettacolo della natura, che cerca di seguire con il movimento degli occhi in larghe volute. Fantasticando.
Come possa raccontare questa storia, ho l’impressione che non mi sia per niente chiaro. Ma sento di doverlo fare.
“Sono solito pensare che un libro nasce de un’insoddisfazione, nasce da un vuoto, i cui perimetri si delineano strada facendo e al termine del lavoro. Sicuramente scriverlo equivale a...“. È Enrique Vila-Matas, nell’incipit del primo racconto della raccolta Esploratori dell'abisso.
La libertà ritrovata. Sarà poi vero? Sono le undici di un sabato mattina, sto cazzeggiando qui in casa, il libro in mano, passo da una stanza all’altra senza una meta definita o in via di definizione. Caroline, mia moglie, sdraiata sul divano in totale relax sfoglia distrattamente un insulso settimanale americano per donne. Lei è nata nella West Coast. Eravamo colleghi nella multinazionale dove abbiamo lavorato.
- racconto
- Esploratori dell'abisso
- Enrique Vila Matas
- Magolfa
- Nastro di Moebius
- principio di indeterminatezza
- fisica quantistica
- secondo principio della termodinamica
- entropia
- Thomas Pynchon
- Taverna Moriggi
- Milano
- Oltrepò Pavese
- teoria della punta dell'iceberg
- Ernest Hemingway
- Dan Brown
- Jorge Luis Borges
- Bartleby e compagnia
- Arthur Rimbaud
- J D Salinger
- Juan Rulfo
- La Fucina delle Scritture
- Il senso e nessun limite
- Enrico Brega
- Il Pickwick
Se ne sta seduto a un tavolino di un bar, all’aperto, in Piazza Amendola.
Lo spritz di quelli che piacciono a lui, una briosa bevanda originaria del Triveneto. La sua famiglia paterna proviene da quei luoghi. Da tempo ormai lo spritz è diffuso in tutto il Paese, e qui a Milano è aperitivo trendy.
Contempla lo skyline, i tre nuovi grattacieli: Il Dritto, Lo Storto, Il Curvo, che si slanciano in un cielo di rilucente cobalto; all’altezza del suo viso una brezza a tal punto sottile e tiepida e calma che quasi gli sembra di avvertire solo col pensiero. Non se la sente proprio di andarsene da lì, è in armonia con tutto il suo essere, ma sa che tra un po’ dovrà farlo.
- Serendipity
- racconto
- Milano
- Il Dritto, lo Storto, il Curvo
- lavoro in banca
- Frammenti di un discorso amoroso
- La morte dell'autore
- Roland Barthes
- Università Bocconi
- Bosco verticale
- Stefano Boeri
- FieraMilanoCity
- MilanGames Week
- verticalità
- Steve Jobs
- Apple
- hightech
- Detective Selvaggi
- Roberto Bolaño
- La Fucina delle Scritture
- Enrico Brega
- Il Pickwick
‘È con immenso dispiacere che oggi riprendiamo un’antica diretta, quella del dolore. È infatti da poco venuta a mancare la figlia del nostro amato supervisore ai dialoghi, il tanto stimato dottor George Buchman, il quale ha anche deciso di abbandonarci per andare a morire nella sua casa in montagna, abbiamo quindi pensato di aprire con un suo breve commiato questa nuova edizione de Essere, ente e dirette tv, così per ricordarvi che in fondo la vita è sempre, comunque vada, una schifosissima valle di lacrime e che non dovete mai permettere che una bella giornata possa rovinare la vostra miserevole e triste esistenza’.
Subito dopo quel disastro − pur in assenza di una qualsiasi prova o possibile indizio sulla causa che l’aveva provocato − Matteo provò a immaginare un mondo senza confini dove l’accoglienza fosse un valore condiviso non meno di quanto possa esserlo un’auto di cilindrata medioalta dalla carrozzeria metallizzata con cerchioni in lega leggera. Ma fu un pensiero volatile.
Matteo e Toni, due cugini. Vivevano in un minuscolo paese − talmente insignificante che il suo nome è quasi impossibile da ricordare − alle falde delle Alpi, dove il Piave taglia per il lungo la vallata che congiunge Belluno a Feltre.
Toni se ne andò via presto, poco più che ventenne. In paese girava voce che avesse delle idee tutte sue su come fare fortuna tra gente straniera. Matteo aveva quattro anni meno di lui, e stava terminando gli studi.
LA TEORIA DEI COLORI. I Campionati Italiani Young riders di salto ostacoli si svolgono a San Giovanni in Marignano, Horses Riviera Resort. Una bambina di sette anni con un calippo in bocca mi passa accanto, mentre cerco di capire dove sono i cessi. Fa caldo. È la prima volta in vita mia che assisto ad una gara di equitazione – e, a ben pensarci, che vedo dei cavalli dal vivo. Non sono preparato: non ho alcuna nozione che possa aiutarmi, non conosco nessuno, non voglio conoscere nessuno.
- Corri, Fontana
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- La Fucina delle Scritture
- Tommaso Gazzolo
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FINO IN FONDO
Non avvilirti per la modestia dei tuoi progressi.
Ho gioito per gli sprazzi di luce che hai prodotto,
tra le crepe del muro che ci divide.
Ho udito il silenzio che hai creato
e per qualche istante ti ho parlato.
Non essere impaziente di conoscermi,
Perché per me una vita è come un battito di ciglia.
(VII messaggio)
Quel mattino dovevo essere impaziente anche nel profondo di alzarmi, perché aprii gli occhi che fuori era ancora buio pesto e un rapido sguardo all’orologio mi informò che mancava qualche minuto alle cinque, la stessa ora in cui mi da molti anni mi alzavo a casa mia.
Non avevo alcuna intenzione di alzarmi a quell’ora impossibile e riuscii a rinviare la mia uscita dal letto fino alle sette, ora a partire dalla quale era consentito l’uso del bagno.
Ripercorre col pensiero i sentieri della sua vita che l’hanno portato fin qui, quasi una sinossi esistenziale. Espressione di vicende e sentimenti tumultuosamente calmi. Il senso della contraddizione da lui vissuto in una società ormai avviata senza sosta lungo uno scenario digitalizzato. Sta cercando una qualsiasi credibile possibilità di intravedere almeno un sia pur sfocato profilo della realtà in divenire.
Per Luca Girondi è giorno di debutto. Dopo un periodo di consensuale isolamento − canonica quarantena − nel salone della CRWDOC, che sta per Casa Recupero Web-Disturbo Ossessivo-Compulsivo, salirà in cattedra, si fa per dire, e parlerà della sua esperienza a una ventina di altri ospiti della Casa.
ANGELI CONFUSI
Sii dolce con te stesso, mio amato carceriere
ed io vedrò più spesso la luce quando tu sei sveglio.
Quante notti ti ho chiamato per condurti con me,
ma la lotta della vita rende troppo denso il tuo corpo.
Se smetti di lottare e di resistere al corso delle cose,
sarai più leggero di una piuma e volerai con me.
(VI messaggio)
Dopo alcuni giorni di latitanza, quel mattino la mia sveglia interna riprese a funzionare ed aprii gli occhi molto prima del dovuto, scivolando silenziosamente fuori della stanza, ma ben deciso ad evitare anche quel giorno la meditazione dinamica.
Appena possibile, mi recai nella sala da pranzo dove mi servii una colazione molto ricca, iniziando a sperimentare anche alimenti che sino a quel giorno avevo evitato, con lo scopo di allungare la mia permanenza in quel luogo per cogliere gli eventuali sviluppi del dibattito in corso nella Comunità.
Fiction's about what is to be fucking human being
Written by Enrico BregaQuel Baronetto ti sorprende ogni volta che lo ascolti. Sir Gary Brooker, dopo mezzo secolo − da quand’era poco più che ventenne − la sua voce non ha subìto i danni del tempo, ti cattura e ti perdi − ogni volta meravigliandoti − tra le criptiche parole della canzone. Ho attivato YouTube: A Whiter Shade of Pale diffonde il suo fascino tra le pareti del mio studio, le note dell’organo Hammond ne esaltano l’armonia. Quando i Procol Harum la lanciarono non ero ancora nato.
Sono un che non più di due anni fa ha partecipato a un convegno, organizzato in più sezioni, sull’Era Digitale. Uno che, in coerenza col suo forte interesse per la parola scritta, era ormai da tempo alla ricerca − sia pur agli inizi nebulosa − di un modo, un veicolo, per ritagliarsi un ruolo di protagonista, non necessariamente di primissimo piano ma comunque di una qualche rilevanza, nell’ambiente delle umane lettere.
- Fiction's about what is to be fuckng human being
- racconto
- webmondo
- Gary Brooker
- youtube
- Whiter Shade of Pale
- Procol Harum
- Era Digitale
- Claudio Magris
- Corriere della Sera
- Logomania
- Jorge Luis Borges
- Omar Calabrese
- Umberto Eco
- l'Unità
- Paperino
- David Remnik
- New Yorker
- Europa addio Il romanzo è americano
- Robert Musil
- editoria
- L'Aleph
- La casa di Asterione
- Enrique Vila Matas
- Bartleby e compagnia
- Juan Rulfo
- Pedro Páramo
- Julio Cortázar
- Rayuela
- shitty world
- David Foster Wallace
- Infinite Jest
- Solomon Silverfish
- Piccoli animali senza espressione
- Thomas Pynchon
- Don DeLillo
- La Fucina delle Scritture
- Enrico Brega
- Il Pickwick
Nisi Dominus – Cum dederit – Vivaldi – controtenore Andreas Scholl
La nebbia si diradava nella sua mente. Lentamente. In bianco e nero vide uno stanzone immerso in una penombra interrotta da una piccola oasi di luce a mezza altezza, fuori dalla portata dei suoi occhi.
Nell’aria brevi borbottii, colpi di tosse insieme a parole oscure snocciolate in una lingua sconosciuta eppur a lui comprensibile.
Mosse un braccio ma il movimento rimase impigliato: la sua mano era trattenuta e non poteva toccare il suo viso. Una pressione nauseante gli risalì dallo stomaco. Uno strattone dell’altra mano confermò quella nera sensazione: era legato sopra un letto. Un lieve movimento del piede, incerto e riluttante a confermare la parola che gli affiorava nella mente, si arrestò subito. Bloccato.
Era sedato su un “letto di contenzione”.