“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Dalila Tassoni

Amarillide

Amarillide aveva vissuto per quarant'anni a Montequadrato senza troppi impedimenti. Era difficile per lei spiegare cosa volesse dire, né sapeva se e cosa fosse effettivamente cambiato nella sua vita. Le rimaneva solo una precisa sensazione di quello che era passato e di quello che adesso restava. Viveva in un appartamento in Via degli Ulivi n. 4, in una palazzina color pesco appena costruita sul limitare del paese circondato dalle campagne. Era sposata da quindici anni con Antheo e, tra momenti di crisi e di gioia, il loro rapporto di complicità e sostegno reciproco non era mai cambiato. Si erano conosciuti alla scuola media di Montequadrato e da allora non si erano più separati. Erano stati grandi amici e compagni di bighellonate fino alla quarta liceo, quando si erano irrimediabilmente innamorati. Se prima giocavano a schiacciarsi il naso con le dita, da quel momento avevano cominciato a passarsi le stesse fra ciocche di capelli con sguardo imbambolato e perso. Antheo era bello, Amarillide lo ricordava ai tempi della scuola, con il fisico magro e il viso elegante.

il Pickwick

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