“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Denise Cuomo

Beauty is truth, truth beauty – that is all

“Forse non si desiderava tanto essere amati, quanto essere capiti”
(George Orwell)

 

Da quando mi sono imbattuta in questa frase ho riflettuto spesso sul suo significato, su come nella struttura stessa del periodo due parole apparentemente affini si trovino, in realtà, in netta subordinazione l’una con l’altra. Essere amati e essere capiti. Amare non vuol dire forse capire, comprendere, essere empatici con l’amore e il dolore dell’altro? E capire non vuol dire forse trascendere la propria dimensione per abbracciare la mente dell’altro, i suoi pensieri, la sua prospettiva, i suoi stranieri bisogni? Forse a una prima lettura potrebbero essere scambiati per sinonimi, una sorta di sintesi senza la quale le relazioni sarebbero monche in partenza.

Un filo bianco che s'annoda intorno alla vita

"Il fatto è che mia figlia Irene stava morendo, o stava nascendo, non ho capito bene..."


C'è un filo bianco e asettico che attraversa e imbastisce l'intera storia. È annodato ai due poli e nel mezzo, fluisce per ostacoli e corre una corsa spesso fuori pista, fuori traiettoria. Per questo perde, alla fine, il bersaglio. Quello che manca a questo filo è la pertinenza, infatti delude ma commuove, perché i nodi occupano più spazio di una sottile fibra bianca che non inciampa.

Quel corvo nero che chiamiamo "tempo"

“Credo che presto sarò guarito. Qualcosa si romperà in me o in qualche parte dello spazio. Partirò verso altezze sconosciute. Sulla terra non c'è che la mietitura, l'attesa insopportabile e l'inesprimibile silenzio”.

 

"Des Inconnues" – Patrick Modiano

Non ho mai comprato un libro in base ai premi vinti dall'autore. Mai, tranne in questo caso. Ed ho fatto bene, anzi, benissimo. Patrick Modiano lo conoscevo superficialmente, avevo sentito parlare di lui in qualche speciale di letteratura, l'avevo trattato senza troppo interesse e avevo rimandato di anni il momento in cui mi sarei avvicinata. Quando ho scoperto che l'Accademia Svedese aveva assegnato il premio Nobel proprio a lui, sono rimasta colpita, mi sono recata in libreria e ho cercato tra le edizioni italiane un titolo che potesse ispirarmi qualcosa, un nome o un'indicazione che sormontasse la fascetta rossa alla fine della pagina. Mentre cercavo e leggevo le sinossi delle proposte editoriali, mi sono imbattuta in una copertina bianca con su un’elaborazione grafica di una rosa rossa – poi ho scoperto essere un olio su tela di Magritte – il titolo recitava Sconosciute e l’autore era lui, Patrick Modiano. Sono felice di averlo scelto in mezzo ai tanti, perché la prima volta di un lettore con uno scrittore è un momento fatale, almeno lo è per me, nel caso di delusione, in passato, c’ho messo molto tempo prima di avere il coraggio di riavvicinarmi all’autore. Invece qui abbiamo inaugurato un felice sodalizio.

Tūnus

"J'ai toujours aimé le désert. On s'assoit sur une dune de sable. On ne voit rien. On n'entend rien. Et cependant quelque chose rayonne en silence...”.
Antoine de Saint-Exupéry

Tutti viaggiamo, spesso e volentieri prediligiamo come meta capitali europee, luoghi di divertimento, oppure stazioni esotiche, ma che ci assicurino un discreto confort al quale siamo affezionati. Le nostre foto ritraggono piazze barocche, chiese rinascimentali, archi gotici, castelli faraonici con le merlature e i cannoni, ricordano i nostri amici, con i quali abbiamo visto la bellezza di un mondo artistico e ornamentale che ci appartiene, come un patrimonio di simboli indimenticabile. Però il viaggio che voglio raccontarvi è un po' diverso, i viaggiatori sono quasi tutti miei coetanei, ma la meta che hanno scelto è magica e terrificante, l'eredità che Matteo Pedicini ci offre è uno sguardo curioso e affascinato, una smania perfetta di raccogliere il più possibile tracce di un mondo arcaico ma incredibilmente vivo, ancora giovane e capace di libertà e cultura.

Della luce e di altri demoni. Franco Fontana, "Full Color"

La curva e l'orizzonte sono il principio della forma. Ma cosa succede se la linea alla fine della vista è una diga che esplode, da una parte e dall'altra, in preda a un rigurgito di colore vivo, pulsante, fagocitato dalla luce e dal giorno? Guardando le foto del maestro della fotografia a colori si ha la forte intuizione che la sensibilità venga sopraffatta da un'immagine irreale, dove le tonalità accese sembrano dipinte e accecanti. Franco Fontana, fotografo modenese, ha sempre dimostrato, per tutti gli anni della sua carriera, quel gusto particolare che si accorda a un talento speciale, un occhio lungimirante che ha saputo trovare la sua personale risposta al mondo degli spazi naturali dove l'uomo è il punto zero, l'escatologia fallita.

Un cuore indaco

“Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù” .
(Pier Paolo Pasolini – Supplica a mia madre

Never let me go

“Guardate la torreggiante scienza dagli occhi aguzzi, come da eccelsi picchi domina il mondo moderno, e promulga una serie di comandi assoluti”.
Walt Whitman

Kazuo Ishiguro è uno scrittore inglese, originario del Giappone. Il suo nome è spesso associato a quello che molti considerano sia il suo capolavoro: The Remains of the Day.
Il tocco delicato che possiede è inconfondibile, anche qui in Never Let Me Go, non si smentisce e si riconferma, a mio avviso, una garanzia inglese con quel retrogusto giapponese che lo rende unico e inimitabile. L’ho sempre immaginato come un lord equilibrato, maturo e alle prese col suo thè e la sua penna, intento a scrivere in disparte, in un ambiente comunque elegante, prodigo nell’infondere il suo animo asiatico in ogni uomo o donna dei suoi romanzi.

Per sempre Le ore – The Hours

“Vorrebbe aver fatto qualcosa di meraviglioso,
qualcosa che appaia meraviglioso anche a chi non la ama”

Mi piacerebbe raccontarvi una storia a tratti noiosa, senza azione e lieto fine, una storia universale e spalmata nel tempo, che non conosce l’usura della vecchiaia, che non è mai anacronistica, mai rattrappita, mai finita. È una storia di donne, di mamme, di poeti e bambini, di fragili musei nei quali il silenzio e il boato coabitano in teche di sorrisi e fossili. Se doveste annoiarvi abbandonate la lettura, non sperate migliori, perché oltre questa teoria di esposizioni arriva una piccola stanza vuota, ma piena di voci e lamenti, con le pareti come mostri marini che avviluppano tutte le pietre, lasciandovi decidere se morire o vivere.

Henri Cartier-Bresson – Un voyeur

Se la storia incontrasse la poesia, probabilmente la violenza dei fatti e la monotonia dei resoconti non sarebbero cosi terribilmente noiosi: la guerra e la morte, gli encomi, i Re, le brame e il potere risulterebbero più armonici, meno ineluttabili, sprovvisti della gravità che un tempo meccanico impone agli eventi. E di tempo e letteratura è intrisa l'opera di Henri Cartier-Bresson, come un romanzo storico sull’avventura umana. Sembra essere stato questo l’obiettivo primario della mostra romana dedicata al fotografo: il curatore Clément Chéroux nella disposizione e nel lavoro didascalico-narrativo, apportato ai fotogrammi, ha ricostruito con lucidità organica la simultaneità della carriera del maestro del negativo, senza tralasciare però l’elemento primordiale che innerva tutta la sua opera.

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il Pickwick

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